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giovedì 21 dicembre 2017

Odio e rancore nel mondo postmoderno

L'odio per Trump è un odio antropologico per quello che Trump è e rappresenta. Il presidente americano rappresenta la fine del conflitto tra capitale e lavoro e la sconfitta di chi scommetteva su di esso per l'abbattimento del sistema capitalistico. Ma allo stesso tempo è un bersaglio perfetto per chi ora punta alle nuove tematiche ambientali, di genere e generazionali per abbattere il sistema. Trump è l'imprenditore che si allea con gli operai per combattere la concorrenza sleale della Cina e dei paesi emergenti, ma allo stesso tempo rappresenta l'antiecologista, insensibile alle tematiche ambientali e di genere, in nome della difesa della vecchia moderna società industriale, contro il nuovo mondo postmoderno equo e sostenibile, il maschilista che offende il neoprimitivismo matriarcale e la nuova psicosi collettiva egualitarista. La sinistra ex internazionalista, e ora cosmopolita, odia il patriottismo in nome di un disegno mondiale che omologa l'umanità sotto le insegne della diversità, la "borghesia" intellettuale odia la borghesia industriale e imprenditrice, ma anche i ceti medi e il popolo, perchè la secolarizzazione, la mercificazione della società consumistica toglie l'influenza religiosa degli ex chierici sulle masse, che scoprono l'edonismo, il tempo libero e il disimpegno. Il popolo raccoglie i vecchi valori della borghesia ottecentesca, patria, famiglia, ma non la scienza e la democrazia rappresentativa, la borghesia intellettuale invece odia sè stessa, la patria, la famiglia, la modernità, è ancora giacobina e leninista, ma in forme nuove, esoteriche e new age. Parte della borghesia vuole allearsi al popolo rancoroso per schiacciare i ceti medi, mentre un'altra parte vuole allearsi ai ceti medi contro l'oppressione statale e sindacale.

martedì 12 dicembre 2017

L'Intifada dei media europei contro la realtà

La decisione di Trump di riconoscere Gerusalemme come capitale d'Israele, decisione già presa anche da Putin nell'Aprile scorso, anche se con sfumature diverse (Putin ha riconosciuto solo Gerusalemme Ovest, ma lo stesso Trump non ha chiuso ad un futuro riconoscimento di Gerusalemme Est palestinese), ha scatenato una nuova intifada. Ma questa intifada non è scoppiata a Gaza o a Betlemme, dove poche centinaia di militanti di Hamas sono scesi in piazza, ne' a Gerusalemme, dove la calma è regnata sovrana, ma sui media europei e nelle cancellerie del vecchio continente, o forse dovremmo cominciare a chiamarlo anacronistico continente. Sì, perchè qualcuno ha scambiato i propri desideri con la realtà, titolando a nove colonne di "Intifada di sangue", "il mondo contro Trump", mentre in medio oriente si registravano poche scaramucce, con la propaganda di Hamas - che parlava di un numero di feriti (quasi mille) superiore ai manifestanti effettivi - subito pappagallescamente ripetuta dai media europei. E invece nel mondo, oltre agli europei, incendiavano la diplomazia dei comunicati solo Iran e Turchia, mentre la "condanna " di paesi come Egitto, Giordania, Arabia Saudita ed Emirati arabi era ponderata e formale. Ma allora, cosa sta succedendo realmente? Succede che mentre gli europei continuano a usare i palestinesi per sfogare il proprio antisemitismo represso, come da 70 anni a questa parte, e per mostrare la propria codarda sottomissione ai fratelli mussulmani di Erdogan e agli islamico-nazisti iraniani, il mondo va da tutt'altra parte. Usa, Giordania, Arabia Saudita ed altri paesi del golfo da una parte, Russia ed Egitto dall'altra con modalità e tempistiche differenti, ma con una sostanziale convergenza, preparano un processo di pace che costringa Abu Mazen e Hamas a riconoscere finalmente Israele e quindi la sua capitale, Gerusalemme, prima condizione per la creazione di uno stato palestinese entro confini che garantiscano la sicurezza e la libertà dello stato ebraico. A rompere le uova nel paniere Erdogan, che dopo il riavvicinamento ad Israele dell'ultimo anno, ora tuona e si candida a nuovo califfo dei palestinesi, oltre all'Iran. Toccherà a Putin, che si è accollato il medio oriente dopo il disimpegno americano, tenerli a bada. Ma intanto succede che gli arabi non ne possono più degli iraniani e dei loro accoliti palestinesi, che il processo di pace è avviato, a dispetto dei finti pacifisti e dei finti equidistanti, dei fanatici e dei disagiati che nelle metropoli occidentali giocano ancora all'intifada. Il mondo va avanti, anche senza di loro. Non sono gli Stati Uniti ad essere fuori dai giochi e dalla realtà, ma la vecchia Europa delle facce di cera alla Mogherini.

martedì 5 dicembre 2017

Con Israele, sempre

Non sappiamo se Trump deciderà di riconoscere Gerusalemme come capitale d'Israele, forse sarà una scelta avventata, propagandistica e controproducente in un momento in cui lo Stato ebraico sta riallacciando i rapporti con Turchia e Arabia Saudita, ma una cosa è certa: c'è una scelta di campo, che la nuova sinistra deve fare contro la vecchia destra antisemita e la solita sinistra antisionista, stare dalla parte di Israele. Sempre.

Leggere o non leggere?

Se leggi zero libri sarai un ignorante, se leggi un libro solo sarai un fanatico, se leggi dieci libri un fazioso, se ne leggi cento un ideologico, ma solo se ne leggi mille potrai capire il valore della cultura. Perciò, leggine mille, altrimenti è meglio che ne leggi zero.

Conflitti postmoderni

Il conflitto di classe oggi appare superato, così come in parte il conflitto destra-sinistra. Lo scontro oggi è tra un blocco patriottico e occidentale composto dalla borghesia sobria, dai ceti medi produttivi, dalla classe operaia disciplinata e dal buon senso contadino da una parte e dall'altra dalla borghesia sovversiva, i ceti medi fascistoidi, gli operai sbandati e il ceto contadino reazionario. Sul piano prettamente politico invece estrema destra ed estrema sinistra convergono sempre di più in un meccanismo antisistema, mentre sinistra moderata e destra moderata compongono il blocco della responsabilità democratico-liberale. Alle prossime elezioni i grillini puntano alla sponda sia con la destra populista di Salvini sia con la sinistra radicale, l'accozzaglia di Grasso, Vendola e D'alema, mentre il voto moderato si divide tra Pd e Forza Italia, oltre al centro democristiano, consapevole che in questa fase il proprio elettorato non è ancora pronto a giocare a carte scoperte e ha bisogno di essere rassicurato con imponenti dosi di sinistrismo tradizionale da una parte e conservatorismo massiccio dall'altra. Ma la tendenza è in atto. In futuro, a chi urlerà ipocritamente scandalizzato all'inciucio centrista bisognerà rispondere e l'inciucio tra grillini, postcomunisti e fascistoidi? Come la mettiamo?

mercoledì 8 novembre 2017

Dalle elezioni siciliane alle nazionali, il Pd alla ricerca del varco giusto

Immancabile dopo le ultime elezioni siciliane si è alzato il grido di dolore sull'astensione, in realtà è stata la stessa delle precedenti elezioni regionali, in una regione storicamente astensionista. Il Pd prende praticamente gli stessi voti del 2012, una sconfitta per il renzismo e la sua ambizione ad allargare il perimetro elettorale del partito, che però non si traduce automaticamente in una vittoria della sinistra antirenziana, come qualcuno pensa. Anche la sinistra radicale, infatti, raccoglie gli stessi (pochi) identici voti e percentuali della precedente tornata, mentre gli scissionisti non portano alcun contributo in più. In termini di coalizioni non bisogna dimenticare che il centrosinistra di Crocetta era sostenuto anche dall'Udc, con 200mila voti, oggi tornato al centrodestra. Il centrodestra era dunque diviso in tre e ora ritorna unito, vincendo inevitabilmente, ma in termini assoluti prende meno voti. Aumentano contemporaneamente i voti dei grillini, con il candidato governatore che prende però quasi dieci punti in più del partito, il contrario del candidato di centrosinistra, che prende quasi dieci punti in meno della coalizione che lo sosteneva. L'impressione è che ci sia stato un certo voto disgiunto da parte di circa centomila elettori siciliani che hanno votato per la coalizione di centrosinistra da una parte, ma per il candidato grillino dall'altra. Una componente della base elettorale, che sembra ancora sognare il governo dello streaming Bersani-Grillo, mandando messaggi un po' ricattatori con il voto disgiunto, che però escludono l'opzione Mpd, rimanendo di fatto ancorati al Pd, oscillando verso i cinque stelle. Ad ogni modo c'è un elemento di continuità, a parte l'incremento grillino, il quale non è tale però da farli vincere e che rende felice il partito 5 stelle, ben contento di arrivare sempre secondo in modo da essere il vincitore morale senza assumersi responsabilità di governo, ma tornando al centro del teatrino mediatico. A chi pensa a continui terremoti politici e rivolgimenti bisogna ricordare che in Italia dal 1945 al 1968 l'80% degli elettori votò sempre per lo stesso partito, che fosse il Pci, la Dc o il Psi, mentre un maggiore leggero rimescolamento nei due decenni successivi non provocò reali cambiamenti degli equilibri fino al 1992, quando il panorama politico mutò totalmente grazie a fattori esterni e cambiamenti epocali e internazionali. Dopo di chè, con la nascita di Forza Italia, dal 1994 al 2013 i blocchi elettorali rimasero sigillati, con i due poli a fronteggiarsi, dove il centrosinistra era in grado di vincere solo a fronte di un centrodestra diviso o accorpando una coalizione iperallargata, incapace poi di governare. L'irruzione dei grillini nel 2013 è il secondo terremoto politico dopo il 1992 nella storia della Repubblica, ma l'impressione è che ora si ritorni verso una stabilizzazione del voto, con il centrodestra che se unito torna ad essere fisiologicamente maggioritario nel paese, ma in realtà profondamente diviso tra i partiti che lo compongono. Il Pd, invece, non riesce ad allargare i propri consensi, ma allo stesso tempo non soffre le innumerevoli scissioni alla sua sinistra, mantenendo la sua base tradizionale, con la sinistra radicale ridotta all'irrilevanza come da dieci anni a questa parte, nonostante la sovravisibilità mediatica, e i grillini stabilizzati intorno al 25% . La mia impressione è che alle prossime elezioni nazionali ci sarà un risultato molto simile a quello del 2013, con la differenza che il centrodestra sarà unito, almeno formalmente, e una sola incognita: Cosa farà quell'area sopracitata che si trova a metà strada tra il Pd e i cinque stelle, i classici populisti rossi eternamente "delusi" dalla sinistra, che sognano di radicalizzare il Pd riportandolo a mitiche "origini" massimaliste mai esistite, ma senza la base popolare di un tempo ne' una solida sovrastruttura ideologica, esprimendo solo un malcontento postmoderno, gruppettaro ed esistenziale, un nostalgismo senza storia, un disagio vittimistico che esige uno stato d'animo esagitatorio rivolto sempre contro qualcuno e antiqualcosa? Ma allo stesso tempo, questa base elettorale, che coincide principalmente con i vari strati delle borghesie urbane, vuole incidere, rifiutando soluzioni elettorali velleitarie e marginali e in questi anni è per lo più rimasta ancorata al centrosinistra, seppur con atteggiamenti distruttivi, per la logica del voto utile contro Berlusconi, perchè le alternative con la falce e martello erano forse poco smart e marginali, perchè appunto c'era un nemico ben identificato. E ora Di Maio li attira a sè riprendendo in mano la bandiera dell'antiberlusconismo, ma anche cercando di far percepire il Pd come ormai terza forza e quindi voto inutile. Dall'altra parte si spiega il Renzi "populista" di queste ultime settimane, l'attacco alle banche, il ritorno dell'antifascismo militante, la testardaggine ideologica di parti del Pd nel mantenere accesa l'opzione Ius Soli, un modo per tenere a sè questa area elettorale, in grado di fare la differenza tra chi arriverà secondo (grillini o PD?) dietro ad un centrodestra ormai in fuga. La situazione in questo varco per il Pd è difficile, Di Maio cercherà l'effetto traino dalle elezioni siciliane, presentandole come una miniatura fedele del panorama italiano, dipingendo i giochi come già fatti e ormai irrisorio il Pd, presentandosi come la nuova opposizione al futuro governo Berlusconi in una logica di antagonismo conservatore. Inoltre, la natura stessa del Pd, nato per superare la sinistra dell'Anti, renderà difficile rispolverare l'antiberlusconismo, se non sconfessando la linea degli ultimi anni, mentre per i grillini, con la loro natura giustizialista e contro, sarà facile presentarsi come i veri antiberlusconiani doc. Riassumendo, la mia tesi è che dopo un periodo di mobilità elettorale, dipesa dall'instabilità economica, geopolitica e istituzionale degli ultimi anni, gli italiani stanno ritornando alla loro tradizionale fedeltà verso i propri partiti e aree politiche di riferimento. Se non ci saranno scossoni economici, geopolitici o giudiziari, la loro scelta è praticamente già avvenuta, rimane però per l'appunto quel 3% di elettorato indeciso tra il Pd e Grillo o che in qualche modo esprime una domanda di Pd grillinizzato. C'è però una via d'uscita, non sconfessare tutti questi anni, non farsi ricattare da queste frange e puntare invece ad acuire le divisioni nel centrodestra, smentendo l'immagine che Berlusconi dà di sè come argine moderato alla destra populista, ma al contrario presentandolo come succube di essa, riportando un po' di voto moderato al Pd. D'altra parte l'idea di un Pd alleato contemporaneamente con il centro e i radicalismi sinistri vorrebbe dire riproporre un ulivismo senza Prodi e D'alema. Non ha molto senso, mentre Renzi deve scegliere, o rompere con i radical-sinistri o rompere con il centro e i moderati. Un atteggiamento famelico, che in nome del mito del 40%, punta a prendere contemporaneamente i voti di Forza Italia e quelli sinistro-grillini, rischia invece di lasciare a bocca asciutta da una parte e dall'altra.

mercoledì 1 novembre 2017

La strategia di Togliatti per il potere

Alla base della strategia per il potere di Togliatti c'è l'alleanza tra la classe operaia e il ceto medio. Immune da un certo schematismo classista che per ragion di stato aveva dovuto riverire, il segretario del Pci sa che in Italia sono i ceti medi a fare la differenza, ma per ceti medi non intende i ceti medi riflessivi che saranno in futuro tanto cari ad intellettuali come Ginzburg e a una certa intellighenzia di sinistra, ma gli artigiani, i mezzadri, gli agricoltori, i piccoli imprenditori, i professionisti urbani, insomma, tutta la colonna vertebrale produttiva della nazione. Convinto che una certa violenza sindacale da bienno rosso, priva di una strategia per il potere e di uno sbocco politico, abbia gettato nelle braccia del fascismo i ceti medi, tutta la sua politica è volta a non spaventarli e a cercare una convergenza con essi. Ciò porta il migliore a vedere nel partito che li rappresenta l'interlocutore privilegiato, cioè la democrazia cristiana, più di un partito socialista e di un partito d'azione dominati da spinte massimalistiche ed estremistiche. Allo stesso tempo per Togliatti la borghesia non ha più nessuna funzione progressiva ed è in toto reazionaria, intesa nella sua fase suprema di capitalismo finanziario e imperialistico, perciò l'Italia è matura per il passaggio al socialismo, ma solo se la classe operaia saprà essere non settaria e in grado di portare dalla propria parte i ceti medi. Tutta questa architettura si scontra con la consapevolezza del capo dei ceti medi, De Gasperi, della inconciliabilità di obbiettivi futuri tra la prospettiva della dittatura del proletariato, seppur mitigata in un'idea di democrazia popolare, e la scelta di campo liberale, occidentale e democratica. Nonostante ciò Togliatti non demorderà e cercherà all'inizio degli anni '60 una sponda con il mondo cattolico, intravvedendo in maniera precorritrice quella che verrà in seguito definita la fuoriuscita dall'occidente della chiesa cattolica, cercando un dialogo non solo per l'appunto con il nascente fermento antioccidentale di certe correnti e settori ecclesiastici, ma anche con il concetto di dittatura, che Togliatti sa che settori della chiesa non rinnegano. Una convergenza quindi in chiave antiliberale e antiindividualistica, che è in qualche modo una costante nel progetto storico del dirigente comunista, che già con l'appello ai fratelli in camicia nera nella metà degli anni '30, aveva inteso la riconciliazione nazionale in senso antidemocratico e antiliberale, cercando la convergenza con quei settori del fascismo antioccidentali e anticapitalistici.

venerdì 27 ottobre 2017

I guerrilleros

La Lega come "costola della sinistra", bicamerale e riforme costituzionali con Berlusconi (da lì i media coniarono l'orrendo termine inciucio), al governo con Mastella e Dini (falce e mastella), streaming con Beppe Grillo e autoflagellazione in sala mensa, governo di larghe intese con Berlusconi e Verdini, con Monti premier e poi la Vergine Letta. Tutto questo non deve scandalizzare, (tranne lo streaming con il bandito a cinque stelle), si chiama far politica in democrazia, che è fatta di compromessi, l'opposto del partito unico che sognano i grillini. Ma quello che non si capisce è perchè improvvisamente baffino e testone si mettono a fare i guerrilleros alla soglia dei settant'anni. Demenza senile?

sabato 21 ottobre 2017

Il mosaico del Pci e le scelte di Togliatti

Fare un ritratto di gruppo dei principali dirigenti del partito comunista italiano è una cosa ardua, da solo perchè la loro carriera politica attraversa la storia italiana e internazionale dalla prima guerra mondiale fino - in alcuni casi - agli anni '90, vuoi per le profonde differenze di carattere e di temperamento personale, vuoi per le profonda diversità di analisi, che è comunque l'aspetto più interessante. I limiti dell'esperienza comunista italiana sono noti, lo scarso approfondimento economico, l'antiamericanismo viscerale, la concezione della democrazia non oltre i limiti della mobilitazione finalistica, per non dire tutto quello che concerne lo schematismo terzinternazionalista, eppure di volta in volta, in ordine sparso, ogni leader seppe travalicare il perimetro ideologico, spesso duramente ripreso dagli altri, per creare un mosaico di eresie e revisionismi mai dichiarati che rendono così diverso il comunismo italiano dall'omologazione sovietica. Stupisce come ogni sortita dissidente fosse portata in solitaria, non ci fu mai coordinamento tra le dissidenze di Terracini, Amendola, Secchia, che anzi spesso si combatterono tra loro, trovando l'interessata alleanza di Togliatti di volta in volta l'uno contro l'altro. Sarebbe altresì però sbagliato indulgere nell'immagine demoniaca di un Togliatti unicamente manovratore e tatticista. Lo stesso Togliatti, seppur più attento degli altri dal non uscire dal cono d'ombra sovietico, mostrerà di saper tracciare analisi non subalterne ai dettami dell'internazionalismo classista, come un'analisi del fascismo quale movimento di rivolta dei ceti medi in parte alimentato dall'estremismo sindacale, che per certi versi e dentro certi equilibrismi verbali, anticiperà di decenni quello che poi verrà interpretato da storici come De Felice, paradossalmente scomunicati dal partito. D'altra parte Togliatti verrà ricordato come l'uomo del brindisi ai carri armati sovietici che invasero Budapest, ma non bisognerebbe dimenticare che la linea moderata del Pci in Italia che evitò al Paese un'altra guerra civile e contribuì a suo modo alla costruzione della democrazia, era passata attraverso la cessione dell'Ungheria e di altri paesi come Polonia e Bulgaria all'Unione Sovietica, secondo gli accordi intercorsi tra Stalin e Churchill. Pretendere che Togliatti sconfessasse questa architettura anche solo partendo dal tassello ungherese, condannando l'invasione sovietica del '56, parlando come si è fatto "di occasione mancata", non tiene conto ne' della realpolitik ne' delle conseguenze che una simile azione avrebbe avuto, con l'Urss che avrebbe reagito con un'azione di destabilizzazione sull'Italia, alimentando elementi ben più settari, estremistici e irresponsabili, che già si agitavano dentro il Pci, come potrebbe aver fatto successivamente negli anni '70. Altre mi paiono le colpe di Togliatti, come aver censurato il dibattito su Stalin e il rapporto Kruscev e come aver creato una formula, "innovazione nella continuità", che si concretizzava nel voltare pagina senza realmente analizzare il passato, creando una doppiezza nei militanti e negli elettori le cui tracce si trovano ancora oggi. Questi sono solo alcuni degli aspetti di una storia che solo negli ultimi anni è uscita dalla storiografia di partito, che comunque rimane un riferimento importante, ma non più l'unico per un quadro sempre più completo e ancora da scoprire.

mercoledì 18 ottobre 2017

La natura dell'antiberlusconismo

Fu il celebre giornalista Montanelli ad individuare con il consueto acume nell'odio verso Berlusconi l'odio verso il parvenu, l'odio di classe della borghesia tradizionale verso un nuovo ceto capitalistico. Montanelli fu molto severo con Berlusconi e ruppe duramente con lui, non è storicamente ascrivibile di certo al berlusconismo, eppure capì come l'antiberlusconismo non era l'espressione di una battaglia di sinistra per la democrazia, ma il rancore snobistico di un ceto incancrenito, moralista e puritano. La lotta berlusconiani/antiberlusconiani ha così sostituito il rapporto destra/sinistra senza che ciò fosse certificato pubblicamente, in questo modo figure di destra come Di Pietro e Travaglio da campioni dell'antiberlusconismo divennero anche campioni della sinistra, in questo modo la tipica battaglia missina contro la democrazia corrotta e corruttrice divenne patrimonio anche dei salotti della sinistra bene.

venerdì 6 ottobre 2017

I martiri dello Ius Soli

Lo ius soli in Italia c'è già. Al compimento dei diciotto anni, chiunque sia cresciuto in Italia diventa italiano. Ma si è sentito l'emergenza, il bisogno, di dover fare una legge più che accogliente (l'Italia è già un paese accogliente), ma anche inclusiva. Per qualcuno lo Ius Soli è diventato non solo una bandierina ideologica da piantare a forza di scioperi della fame, ma anche una linea di demarcazione tra ciò che è di sinistra e ciò che non lo è (Pisapia dixit). Il ministro Del Rio dice: "Sui diritti non ci si astiene ne' ci si lega alla dsciplina di partito". ma caro Del Rio, per carità, nel Pci c'era una disciplina ferrea che negava la libertà individuale, ma a parte che oltre ai diritti bisognerebbe ricominciare a parlare di doveri, non si può passare da un estremo all'altro, bisogna anche attenersi al partito, non è che ogni giorno ci si inventa una questione di principio morale per andare contro il partito, perchè questa disobbedienza da martiri ha anche stufato.

La rottura Pisapia-D'Alema nasce da un paradosso, a differenza di quanto dice Cazzullo

Da tempo mi chiedevo come Pisapia avrebbe spiegato ai suoi elettori l'alleanza con D'Alema e viceversa come D'Alema avrebbe spiegato ai suoi elettori (se ancor ne ha) l'alleanza con Pisapia. Alla fine è arrivata la frattura tra i due, con Pisapia a chiedere a Dalemmah un passo di lato, modo di dire gentile che il rozzo "populista" Renzi avrebbe configurato sotto forma di rottamazione, ma la sostanza è la stessa. Eppure i due sono coetanei, ma così diversi, che davvero pareva difficile questo sodalizio. Ma in cosa sono diversi? Non mi convince il ritratto di Cazzullo fatto sul corriere, dove da una parte c'è il movimentista No War Pisapia e dall'altra il figlio del partito D'alema con le mani sporche della guerra in Kosovo, figlio di partigiani, ma sopratutto pupillo di Togliatti ed erede di Berlinguer. Quello che è andato in scena non è uno scontro secondo uno schema del genere, ma un incrocio, quindi un paradosso, come meglio ritratto sul Foglio. Da una parte quello che sarà anche "il figlio del partito", ma che in realtà da tempo si comporta come l'ultimo dei gruppettari, come un frazionista antipartito, un provocatore trotskista o una canaglia bordighiana, come si sarebbe detto un tempo, dall'altra il movimentista Pisapia che da tempo ha assunto i modi pacati di un Berlinguer e il realismo di buon senso di un Togliatti. Questa strana coppia, secondo i sondaggi non fa faville. Il comportamento di Pisapia forse è ancora da decifrare, D'alema a suo discolpa potrebbe ricordare che Togliatti in gioventù fu un bordighiano e in seguito si attenne alle svolta antibuchariniana di Stalin, lui considerato il Bucharin italiano, senza batter ciglio.

martedì 3 ottobre 2017

Catalogna, la piccola patria cosmopolita

Si consuma in Catalogna il dramma della dissociazione di chi si sente cosmopolita, cittadino del mondo, ma non può tollerare di convivere con i propri vicini, quelli che una volta chiamava charnegos (i lavoratori che provenivano dalle altre parti della Spagna e vivevano in baracche senza luce e gas), che considera inferiori, pur essendo riuscito ad arruolare tra le sue fila alcuni dei suoi figli e nipoti neutralizzando così l'accusa di etnicismo, ma anche il dramma di una minoranza che si autoproclama popolo, con la complicità di mass media che azzerano ogni voce dissidente interna. C'è poi il dramma di chi odia i propri simili in nome di un astratto amore universale per una umanità mondiale che non esiste, ma da costruire a forza di omologazione, nichilismo e sottomissione ai nuovi barbari. Nasce così la pantomina mediatica di questo sinistrismo pacifista e neoinquisitorio alleato ad un nazionalismo trasversale e ambiguo che organizza un referendum illegale e autogestito, senza osservatori indipendenti, che chiedeva solo di essere represso usando i soggetti più deboli come scudi umani per mettere in scena lo psicodramma teatrale intriso di arditi riferimenti storici novecenteschi. Ma compare anche il dramma degli onesti che odiano la corruzione dei politici e poi votano quattro volte ad un referendum più finto di un'elezione venezuelana, di chi vorrebbe abolire gli Stati-nazione dell'occidente strumentalizzando l'europeismo a proprio uso e consumo (gli stessi che per anni hanno gridato "UE stato razzista e imperialista" e inneggiavano a Varoufakis), ma vuole farsi il suo staterello predatandolo alla nascita delle nazioni moderne. Non poteva mancare lo psicodramma totalitario di un nazionalcomunismo da movida, di chi vuole la libertà senza stato di diritto, ma anche di chi è stato così superficiale da non predisporre le pur minime misure di sicurezza antiterrorismo in nome di un multiculturalismo a senso unico e di una tracotanza ideologica, facendo pagare duramente ai propri ciudadanos il prezzo della propria ignavia, di chi parla di democrazia delegittimando un governo legittimo e democratico, di chi considera il voto una prova di forza come nei regimi totalitari con il suo 90% bulgaro e farlocco, di studenti pecoroni, millenials ignoranti, artisti solidali e imbecilli, squadre di calcio e allenatori cool col golfino, pseudointellettuali politicizzati e fanatici, vecchi arnesi sempre in sella, pedine di un gioco geopolitico di destabilizzazione che soffia da Est e che non li rende tanto dissimili da quel populismo di destra che dicono di odiare, ma ne fa solo l'altro rovescio della medaglia. Per tutto questo io dico W la Spagna unita. El Pueblo Unido Jamas Serà Vencido.

giovedì 28 settembre 2017

I muri ideologici della sinistra senza confini

L'orwelliana riabilitazione di Craxi da parte di D'alema, strumentalmente e ovviamente finalizzata a escludere Renzi dal consorzio della sinistra rispettabile, non rende l'ex leader maximo particolarmente interessante nella sua ormai caduca e livorosa ripetitività, ma ci permette di fare alcune considerazioni storiche e politiche più ampie sulla sinistra antirenziana. Le scomuniche prima e le riabilitazioni postume poi, infatti, fanno parte della liturgìa della sinistra sovietica e postsovietica e non raramente sono servite in realtà unicamente a squalificare il nemico interno del momento, dalla socialdemocrazia degli anni '20-'30 bollata come socialfascista, alla sinistra anticomunista degli anni '50-'60 bollata come reazionaria e fascista, fino ritrovarsi essi stessi scavalcati a sinistra e bollati in senso dispregiativo come revisionisti e riformisti negli anni '70 dalla Nuova Sinistra, per ritrovare nuova linfa e centralità con la guerra ai socialisti negli anni'80, salvo magari poi fare una serie di mea culpa superficiali e di comodo a distanza di venti anni. E dopo aver riabilitato Berlusconi e Craxi per escludere Renzi, chissà che il monocorde mondo postsessantottino non riabiliti anche l'altro grande uomo solo al comando del secolo decimonono. D'altronde, Bettino è da riabilitare perchè era filopalestinese, a conferma che una certa sinistra negli anni '90-2000 si è rifatta un trucco riformista e occidentale, ma in realtà ha mantenuto tutti i capisaldi del leninismo da guerra fredda: Sì può cambiare linee politiche, alleati, nomi, simboli, ma l'odio per L'America e i suoi alleati, la demonizzazione degli imprenditori e il disprezzo per il ceto medio rimane immutato, con buona pace anche di Togliatti. La convinzione di essere un'avanguardia progressista in un paese profondamente reazionario in tutti i suoi strati è il cemento di un muro ideologico che confina questa sinistra in una realtà cristallizzata, proprio nel momento in cui dichiara di voler abolire i confini nazionali e creare il regno dell'inclusione attraverso l'abolizione totalitaria e internazionalista di ogni differenza e identità nazionale, culturale, etnica e religiosa, mostrando però il suo truce volto esclusivo e la sua xenofobìa ideologica verso ogni diversità nel proprio campo politico. L'egemonìa politica e culturale ammette solo stampelle di centro e di sinistra, o "destre" interne e "sinistre" interne da neutralizzare o eventualmente da espellere, ma non una sinistra liberale indipendente.

sabato 2 settembre 2017

L'individualismo comunista

Una delle critiche vincenti del liberalismo rivolte al socialismo reale, fu sempre quella riguardo la libertà individuale. I comunisti, secondo i liberali, annullavano l'individuo in una società totalitaria e collettivistica. Si tratta di un'affermazione vera, tanto quanto non è vero che il marxismo non abbia una teoria dell'individuo. In realtà, nel totalitarismo comunista, l'individuo poteva essere annullato tanto quanto esaltato. I capi comunisti erano esaltati come geni creativi, i quadri come intellighenzia raffinata e tattica, gli operai più produttivi come modelli da emulare, chi veniva distrutto era chi non si conformava, gli elementi asociali, i revisionisti, quelle classi sociali riottose, quei comunisti realisti che scorgevano pericoli e falle nella strada inesorabile verso il comunismo, gli appartenenti a minoranze etniche, religiose, nazionali e qualunque altro dissidente. In un contesto di relazioni interpersonali del genere, non mancava l'ambizione sfrenata e una feroce competizione tra individui per essere il cittadino modello o per fare carriera nei gangli dello Stato o del partito, ben amministrata e indirizzata dal soviet supremo e in un'ultima analisi dal leader del partito. D'altra parte il comunismo nel suo ultimo approdo da sempre significa "A ognuno secondo i suoi bisogni e da ognuno secondo le sue possibilità", in pratica il regno in cui ognuno fa quello che vuole senza dover dare nulla in cambio alla società, se non quello che lui ritiene di dover dare. E' certo che per giungere a questo regno dell'individuo il marxismo chiede un periodo transitorio fatto di sacrifici, denominato dittatura del proletariato, dove tutto deve andare ed essere per lo Stato al fine di creare lo sviluppo delle forze produttive per approdare a quella società dell'abbondanza delle merci chiamata comunismo, ma come abbiamo visto in precedenza anche in questa fase l'individuo, a suo modo, può essere esaltato o annullato, ma comunque esiste una concezione dell'individuo. Il movimento esploso nel '68 in occidente, invece, si caratterizzava in questo senso, come un movimento che contestava lo stato del socialismo reale, ma proprio da quel punto di vista individualista-comunista, rifiutando la logica, la disciplina, il sacrificio della dittatura del partito del proletariato e al tempo stesso, vivendo in una società a capitalismo avanzato nella piena abbondanza delle merci e dei beni di consumo (perciò per certi versi più potenzialmente prossima al comunismo degli stati socialisti) reclamandone i pieni benefici e il pieno uso senza dare nulla in cambio. Ma a partire dall'inizio degli anni '70 l'occidente stava chiudendo quel periodo di sviluppo economico senza precedenti seguito alla fine della seconda guerra mondiale. Il narcisismo-leninismo dei sessantottini rifiutava però di entrare nell'ordine di idee della nuova fase storica e alimentava dunque una serie di lotte studentesche e sindacali che rompevano con la politica togliattiana-amendoliana di responsabilità nazionale (sulla quale comunque non c'è unità di vedute nel dibattito storiografico), alimentavano una irresponsabile politica della spesa pubblica senza limiti da parte dei partiti che a loro volta non avevano il coraggio di arginare questa ondata, ma anzi in molti casi civettavano con essa, ma questo movimento si identificava anche per una ambivalenza che passava e si sovrapponeva dall'idea del soddisfacimento egoistico di ogni bisogno materiale al rifiuto neomoralistico della società dei consumi e delle merci approdando ad uno spiritualismo nel quale comunque la dittatura narcisistica dei bisogni non veniva meno. In Italia il '68, oltre a tutte queste cose, invero si caratterizza ancora per un persistente ancoraggio al leninismo, che sfocia in un terrorismo che non ha pari in altri paesi per vittime e durata nel tempo. Riavvolgiamo il nastro: Il comunismo è stato sconfitto sul piano della libertà, ma a differenza di quanto si crede, ha una teoria dell'individuo, questa teoria però, è sostanzialmente e paradossalmente, quella di un individualismo sfrenato e narcisistico. Oggi, la crisi (di consenso soprattutto, ma non solo) del liberalismo nasce da questo, il liberalismo ha combattuto e sconfitto il marxismo in molti suoi aspetti, alcuni dei quali erano in realtà complementari e non incompatibili con il liberalismo tanto da stimolarlo a migliorarsi e a rivitalizzarlo, ma non in questo, anzi questo "narcisismoleninismo" lo ha alimentato, con una tendenza suicida che andrebbe indagata a fondo. In primo luogo, la libertà è stata la bandiera che ha sconfitto la dittatura del partito del proletariato, ma è anche, nella sua versione individualistico-narcisistica, lo strumento che può distruggere la società liberale. L'eccesso di libertà può distruggere il sistema liberaldemocratico. Com'è possibile, infatti, che il capitalismo permetta che nello Stato, che secondo la teoria marxista dovrebbe essere espressione della classe dominante, si agitino coloro che lo vogliono annientare? Certamente il grande compromesso liberal-socialista avvenuto nei paesi avanzati rende superata e schematica la teoria marxista dello Stato, d'altronde sicuramente ciò è dovuto anche a quell'avanzata nella guerra di posizione che Gramsci aveva teorizzato, Togliatti iniziato, ma altri più individualisti, estremisti e totalitari di Gramsci e Togliatti hanno portato avanti, ma riguarda anche una forma di individualismo e di libertà totale di cui il liberalismo è fautore e vittima al tempo stesso. E' il liberalismo a disarmarsi e a dare le proprie armi ai suoi nemici. Per salvare la società liberale dai neototalitarismi (islamico, neocomunista, neocattolico di estrema sinistra, neofascista), il liberalismo ha bisogno di alleati che lo salvino da sè stesso, marxisti antitotalitari e democratici, nazionalisti antifascisti, liberalconservatori e liberalcattolici. Come andrà a finire?

Le fasi della storia e la sua negazione

La storia è fatta di fasi, è una somma di fasi diverse e contrastanti che però nel suo essere storia ritrovano un'unità. L'identità è data dalla storia, e la negazione della storia porta alla falsità.

giovedì 31 agosto 2017

La deriva estremista

Stiamo assistendo ad una deriva estremista da parte della sinistra radicale e anche di una parte della sinistra che si definisce riformista? Io credo proprio di sì. Guardiamo alle cose di dieci-quindici anni fa e confrontiamole con l'oggi. Partiamo dal conflitto israelo-islamico, centrale nel definire l'identità delle sinistre. Fino a dieci-quindici anni fa la posizione di un partito come Rifondazione Comunista, da molti considerato estremista e radicale, era quello di due popoli due stati, caro più alla sinistra israeliana che alle fazioni palestiniste, oggi Rifondazione non c'è più (o ne permane solo la sua corrente più populista) e tutto quel mondo centrifugato che ne ha preso il suo posto nega il diritto ad Israele di esistere, è appiattito sulle posizioni di Hamas, una organizzazione terroristico-fondamentalista che perseguita i gay e le donne. Spostandoci più in là vediamo come quando esplose la rivoluzione verde in Iran contro il regime islamico-fascista degli Ayatollah sciiti, gran parte di Rifondazione era schierata a favore di quella rivoluzione, anche se già si avvertivano degli smottamenti. Oggi quel campo è tutto schierato a favore degli Ayatollah, in buona compagnìa con ampi settori della classe dirigente italiana e della destra. Potrebbero fare eccezione i fischiettamenti rispetto al regime fasciocomunista di Maduro, ma qui ci troviamo di fronte all'ipocrisia di chi non ha il coraggio di difendere l'indifendibile e comunque il silenzio non è una presa di distanza da un regime a lungo sostenuto. Passiamo ai temi di politica interna, quello principale: l'immigrazione. Dieci-quindici anni fa nemmeno Rifondazione comunista avrebbe apertamente appoggiato l'immigrazione clandestina, oggi navighiamo nell'aperta illegalità, nella sfida al cuore dello Stato. Chi cerca di governare il fenomeno come il governo Gentiloni è definito un nazista, un genocida. La guerra al terrorismo? Certo, Rifondazione era contraria ad ogni intervento militare, ma Bertinotti dopo l'11 settembre parlò di unità dell'occidente contro i talebani, oggi Di Battista giustifica l'Isis. Potremmo andare avanti per ore, quello che è necessario capire è che quello che quindici anni fa veniva considerato, a torto o a ragione, estremista e radicale, oggi verrebbe considerato di destra anche da chi si considera riformista. Ce ne è abbastanza per parlare di deriva estremista.

sabato 26 agosto 2017

La questione dell'immigrazione e la giusta impostazione

Da come vengono poste le questioni, si crea l'egemonia culturale sui temi, e con essa le conseguenti polarizzazioni, gli schematismi, le battaglie identitarie. Oggi noi non dobbiamo dividere gli schieramenti sull'immigrazione tra razzisti e antirazzisti, ma tra coloro che vogliono governare il fenomeno dell'immigrazione e coloro che non lo vogliono governare. L'anarchia accomuna sia chi vorrebbe chiudere le frontiere, sia chi le vorrebbe aprire indiscriminatamente, mentre dall'altra parte c'è chi vuole governare il fenomeno. In questo modo va posto il tema.

sabato 19 agosto 2017

I ni al terrorismo

Un tempo era no alla guerra senza se senza ma, ma non gli è mai venuto bene di dire no al terrorismo senza se senza ma, pilatesche equidistanze, distinguo velenosi, la facciata pacifista e non-violenta, la sostanza fatta di odio e rancore rozzo e populista.

giovedì 17 agosto 2017

Il nuovo perbenismo borghese che odia sè stesso

Esiste ancora nel 2017 la borghesia benpensante, il perbenismo? Io, personalmente, credo di sì. Ma è molto diversa da quella del passato, quando si scagliava sdegnata e scandalizzata verso i "riprovevoli" comportamenti sessuali, i costumi non conformi e i non appartenenti alla buona società. Oggi, la borghesia benpensante, può sembrare paradossale, si identifica nell'essere gay-friendly, welcome refugees, gender, universalista, il conformismo borghese oggi è antioccidentale, terzomondista, oggi la sua condanna morale è rivolta contro il buon senso, la razionalità, il pensiero scientifico, cioè proprio contro quei valori (un tempo) borghesi, come inoltre la patria, i confini, la libertà, la democrazia parlamentare, che oggi la gioventù borghese ha buttato a mare e che il popolo e i ceti medi possono aver in parte raccolto, ma solo in parte, quando non sono egemonizzati e succubi di un pensiero aristocratizzante o ne sono viceversa solo un'espressione di opposizione plebea ad esso, in forma populista, ma rovescista e subalterna. Altrimenti, c'è ancora spazio per un pensiero democratico-borghese, che non si limiti a contrastare il populismo come giusto che sia, ma sappia anche arginare l'elitarismo sovversivista? Dall'inizio del '900 l'occidente vive una crisi profonda, i figli della borghesia si sono ribellati ai padri rifiutando i loro valori e il loro sistema di pensiero, ma di fatto ne hanno riprodotto l'ipocrisia e il conformismo, sotto forma di una ribellione esteriore ed estetica. Tutto questo è stato sfruttato da interessi geopolitici, per indebolire l'occidente, le sue libertà, anche attraverso i suoi stessi strumenti. La libertà individuale occidentale, esempio unico nel mondo, è stata tramutata in una dittatura narcisistica dei bisogni o in un capriccio ideologico, la democrazia rappresentativa in una "democrazia" diretta che altro non è che una forma di totalitarismo. Oggi, noi assistiamo a un progressismo contro il progresso, a un laicismo fondamentalista e religioso, a un ribellismo conformista, a un populismo borghese, mentre ciò che viene bollato dai luogocomunisti come conservatore, reazionario, difende invece una linea di progresso che affonda le sue radici negli ultimi due secoli liberali, di cui una certa corrente dimenticata del marxismo ne è stata figlia. Marx era un grande estimatore della borghesia, mentre l'odio per la borghesia sedentaria, intellettuale, è tipico dei fascismi totalitari. Ogni discorso critico deve tenere conto di questo aspetto, nel senso che la critica verso la gioventù borghese che si fa antiborghese deve da una parte smascherare gli elementi borghesi di essa, ma dall'altra criticarne proprio i fattori antiborghesi, nella misura in cui antidemocratici e antiprogressisti. Quello che voglio dire è che non è una novità che la sinistra si possa identificare come rappresentante dei ceti medi, dei settori avanzati del popolo e degli elementi innovativi del capitalismo, dal momento in cui lo stesso Marx, quando parlava di proletariato, si riferiva ben più all'operaio specializzato e all'intellettualità emarginata che non al sottoproletario o alle elite intellettuali.

mercoledì 16 agosto 2017

Renzi in cinque passaggi chiave/2

Nella prima parte di questo articolo abbiamo visto l'identità renziana in una sorta di azione a incastro. La contrapposizione con D'Alema si è incastrata con la rottura del sistema di alleanze di D'alema, che si incastra con la rottura con la sinistra anticapitalista, che a sua volta s'incastra con la biforcazione di misure economiche social-liberali (Jobs act, meno tasse, aumento salari ceti medi) e politica estera più filo-occidentale e filo-israeliana (tra mille cautele, però). Infine la conquista della base post-togliattiana con il rispetto della disciplina di partito dopo la sconfitta alle primarie del 2013, insieme alla difesa del partito veltroniano delle stesse primarie. Il cerchio però si chiude solo ora, quando Renzi, dopo mille reticenze, sbandamenti e tentennamenti, ha finalmente preso una posizione sufficientemente chiara su quattro temi chiave, che potranno ricongiungere la sinistra con il popolo e al tempo stesso aumentare la separazione con la sinistra retorica e cattocomunista. I quattro temi sono immigrazione, sicurezza, terrorismo islamico e globalizzazione. Renzi non li intreccia tra loro, li tiene separati, ma ha dato una spinta innovatrice su tutti e quattro contemporaneamente (meno sull'ultimo). Sull'immigrazione Renzi trova il miglior antidoto alla destra xenofoba, ricongiungendo la sinistra con il senso comune, abbandonando ogni aristocraticismo intellettualistico sul tema, attraverso la riaffermazione del principio della difesa dei confini, del non possiamo accogliere tutti, del non possiamo essere complici del traffico dei nuovi schiavi, persino dell'aiutiamoli a casa loro, che ha generato tanti equivoci, ma che anche questo è declinato a sinistra rendendo chiaro il sottile paternalismo dei pro-immigrazione, indifferenti alla sottrazione di giovani braccia e menti dai paesi africani che la tratta procura. La difesa dei confini nazionali è la presa di distanza dal neointernazionalismo terzomondista, da un'immigrazione anarchica, dalla collettivizzazione forzata delle etnìe e delle culture, è la via nazionale ad una nuova sinistra. Il secondo punto (ma è evidente e oggettivo che sono tutti intrecciati tra loro) è la sicurezza. E' uno dei temi più sentiti dai ceti più deboli, da chi è più esposto, è stato bollato come un tema di destra, come un'invenzione della propaganda nemica, ma è un tema popolare a cui Renzi ha dato piena cittadinanza a sinistra. La sicurezza è un diritto sociale, per chi non può pagarsi un antifurto, una porta blindata, senza paranoie antisecuritarie. Che senso ha affermare il diritto alla casa e non quello a difenderla? Il terzo punto, il terrorismo islamico (Renzi lo chiama proprio così, islamico, rompendo un tabù), non c'è spazio per giustificazionismi sociologici, i terroristi islamici non sono poveri che sbagliano, oppressi che sbagliano, discriminati che sbagliano, ma fanatici indottrinati da cattivi maestri. Renzi non fa il parallelismo con il nazismo, che invece andrebbe fatto (Amendola  in altra sede storica ebbe più coraggio e fece un parallelismo tra diciannovismo ed estremismo sessantottino, diverse situazioni, ma come vedremo altrove con tante analogie). E' storicamente accertato che i radicalisti islamici e i nazionalisti arabi durante la seconda guerra mondiale stavano con Hitler, una verità storica da sempre censurata nella sinistra italiana perchè dopo la guerra, durante la guerra fredda, costoro passarono dalla parte dell'Unione Sovietica. Infine un tema più a parte rispetto agli altri tre, ma che procura angosce, paure, è quello della globalizzazione. Per Renzi, giustamente, la globalizzazione è una grande opportunità per l'Italia, ma che, altrettanto giustamente, va però governata. Bisogna però distinguersi con più forza dalla globalizzazione modello Zuckerberg e dalla globalizzazione modello cinese. Bisogna affermare che globalizzazione non può voler dire abolizione delle differenze nazionali, religiose, culturali da parte di chi ci vuole omologare e annullare in nome della diversità. Bisogna dire con chiarezza che gli interessi nazionali devono esaltarsi nella globalizzazione e infine non si deve essere così ingenui da pensare che i cinesi considerino la globalizzazione come la intendiamo noi: la geopolitica non è andata in pensione con la globalizzazione. Dunque questi sono i quattro temi da declinare a sinistra senza snobismi, per ricreare una forza nazionalpopolare e democraticoborghese, unitamente ad una sinistra moderna, capace di portare avanti una lotta su due fronti contro populismo ed elitarismo.

martedì 8 agosto 2017

L'uso politico del "femminicidio"

La cultura emergenziale dei mass-media si dipana in una serie di contesti, uno di questi è quello del cosidetto femminicidio. Una serie di gravi episodi vengono eletti ad allarme sociale e convergono con le spinte antisistemiche del neototalitarismo. Secondo i dati del ministero degli interni nel 2016 in Italia sono state uccise 145 donne. Un dato in calo rispetto agli anni precedenti. Analizzando le più recenti sentenze giudiziarie sui casi di omicidi di donne si può calcolare che l'85% di omicidi è commesso da uomini e nel 55% dei casi da mariti, fidanzati o ex. L'incidenza di omicidi da parte di cittadini stranieri è del 25%. Alla luce di ciò si può dire che nel 2016 circa 45 fidanzati o mariti o ex italiani hanno ucciso le loro donne, pari allo 0,0001 della popolazione maschile italiana. Nonostante ciò, il cosidetto femminicidio, cioè il genocidio delle donne da parte degli uomini italiani è considerato un fatto assodato. Questo ci dice dell'egemonìa culturale del neofemminismo radicale, e più in generale dell'avanzata sul piano dell'egemonìa linguistica, prima ancora che culturale, di quel movimento antisistemico che, una volta preso atto dell'integrazione delle classi lavoratrici nel sistema capitalistico, ha puntato tutto sulla creazione di un nuovo blocco sociale fondato sui conflitti di genere, sulla non integrazione degli immigrati e sul revanscismo dei gay. La costruzione dell'uomo nuovo, passa attraverso il processo al maschio bianco occidentale. Questo movimento culturale, vuole farsi politico attraverso la messa in agenda di una serie di leggi che limitino la libertà d'espressione e d'opinione e creino una discriminazione di genere nel caso di delitti. La natura geopolitica di questo movimento è però più appieno data dalla sua totale indifferenza nei confronti della condizione delle donne e dei gay nei paesi non occidentali, dalla Russia alla Cina, ma in particolare nei paesi islamici.

venerdì 28 luglio 2017

Terra, libertà e cattivi maestri

Terra e libertà è un vecchio film di ken Loach, che ha segnato la mia giovinezza, la potenza visiva di questo film è ancora oggi attuale, capace di rendere il pathos di quei anni e quell'estetica vestiaria e facciale così diversa dal sinistrismo sessantottino, ma che nel finale trascende in una emotività antistorica, ma che sopratutto non coglie l'aspetto di quei anni, pur mostrandolo chiaramente in alcune scene centrali del film, che vengono però sovrastate dal clima epico del finale: Quello che nel film solo traspare è che gli anarchici e i trotskisti erano più stalinisti degli stalinisti e avrebbero fatto in Spagna quello che Stalin aveva fatto in Russia, la collettivizzazione forzata della terra, l'oppressione e l'eliminazione dei kulaki, se non fosse che Stalin preferiva evitare di farlo in terra iberica per motivi tattici e pragmatici. La teoria del socialismo in un solo paese, già in nuce in Lenin, mette in evidenza come in Europa occidentale il comunismo fosse finito dopo la fine della prima guerra mondiale e che ai comunisti occidentali non restava che portare avanti una politica di alleanze e di riforme o di aspettare il precipitare della situazione internazionale in vista della terza guerra mondiale e dell'avanzata dell'armata rossa. Ma intorno a ciò si sviluppò una narrativa della rivoluzione tradita, delle occasioni mancate, che negli anni '70 trascese nel terrorismo e nella lotta armata. In questo senso quello di Ken Loach è un bel film, con molte sfaccettature, ma il suo messaggio di fondo rientra apieno titolo nella categoria dei cattivi maestri.

domenica 23 luglio 2017

La contraddizione dell'intellettuale marxista

E se la storia avesse da insegnarci qualcosa? Certo, ci ripetono, fare analogie storiche può essere sbagliato e fuorviante, la storia non si ripete mai uguale, ogni epoca ha le sue peculiarità, ma se invece conoscere la storia potesse servire a capire il presente, a non commettere gli stessi errori del passato? Mi sono avvicinato alla storia in una qual misura strumentale, da militante politico, per dimostrare la giustezza di certe tesi in un certo momento che venivano abbandonate, non senza un certo opportunismo, o se vogliamo in una logica di ritirata strategica, ma se invece la storia fosse neutra? Se si potesse ricostruire oggettivamente. Certo, ma il marxismo ha voluto costruire un intellettuale nuovo, che non si limitasse allo studio speculativo, ma a modificare il presente, a incidere sulla realtà, eppure tanti intellettuali marxisti sono poi giunti alla conclusione, mai ammessa esplicitamente, che non si può essere partigiani e intellettuali allo stesso tempo. Il volontarismo, tornando alle lezioni della storia, ha prodotto mostri, il tempo fa il suo corso, sapendo che alla lunga il buon senso vince sempre e il propagandismo schiude alla paranoia.

sabato 22 luglio 2017

La natura del Pd

Si può essere a favore di Renzi o contro Renzi, tutto ciò chiaramente è legittimo e valido reciprocamente, ma quello che è oggettivamente irreale è l'idea che Renzi abbia snaturato il Pd e la sinistra. Il Pd non è il Pds e non è nemmeno un Pds che ingloba la Margherita, ne' la fusione a freddo dei due partiti, non lo è mai stato. Il Pd, la cui fondazione trovò la strenua opposizione di D'alema, nasce per superare un partito che si limitava a presidiare il territorio della sinistra ortodossa, ricucendo i rapporti con l'estrema sinistra e infine alleandosi con il centro per mere questioni di somme algebriche elettorali. Il Pd, nell'idea del suo fondatore e primo segretario Veltroni, nasce per superare questo schema, per creare un partito dalla dimensione nazionale in grado di farsi carico delle domande che vengono anche dai ceti moderati e da quelli popolari non riconducibili ad un'idea stereotipata di popolo, per esplorare nuovi territori, un partito non statico, non fedele allo schema di gioco di sempre, ma aperto, mobile. Questo è il Pd. Lo è sempre stato. Organismo di una sinistra capace di non ridurre il concetto di uguaglianza ad un mero odio per i ricchi, ad un pauperismo intriso di invidia sociale e rancore, ma metterlo in relazione con il vero valore della sinistra: la libertà. Una sinistra non prigioniera di parole d'ordine perentorie e astratte, ma capace di dare concretezza ai valori.

mercoledì 19 luglio 2017

In difesa del partito

Per Togliatti i partiti erano la democrazia che si organizza, ma anche, aggiungiamo noi, la democrazia di un partito si vede dalla sua organizzazione. Oggi, di partito, nel vero senso della parola, dopo il "golpe" di tangentopoli, ne è rimasto in piedi uno solo. La democrazia, certo, è sporca, corrotta, disonesta, meticcia, contraddittoria, compromissioria, "inciucista", liquida. Le dittature invece sono oneste, pure, lineari, coerenti, solide, efficienti. Gli psicoguru e gli arruffapopoli hanno sempre ragione. Questo è il discorso egemonico che sta minando anno dopo anno le istituzioni. Ma d'altra parte oggi stiamo assistendo ad un attacco senza quartiere e concentrico tanto contro Renzi o per lo più contro il Partito come partito? Colui che veniva accusato di sfasciare il partito non lo stava forse modernizzando e portando nel ventunesimo secolo, oggi la nobiltà di partito che diceva di difenderlo dal rottamatore non si è scoperta come i peggiori frazionisti e antipartito, disposti a tirare la volata a Grillo e Salvini pur di decapitare e disarticolare la sinistra? Oggi la battaglia non è solo contro il rozzo populismo di destra, ma anche contro quello eversivo di sinistra, ma non solo, compito del partito è rispondere alle sfide del populismo senza cedere all'aristosinistra tecnocratica ed elitaria. Quanti danni ha fatto la delegittimazione degli ultimi governi, nati dal voto parlamentare, come tutti i precedenti, quanto è totalitaria la retorica della democrazia diretta e quanto apre la strada a scorciatoie dittatoriali? Può sembrare di questi tempi una affermazione ridicola, ma la difesa del partito democratico ha a che fare con la democrazia reale, con la libertà sociale e individuale, si può pensare a una democrazia senza partiti? L'identità di un partito è dato dalla sua organizzazione e basterebbe vedere come sono organizzati gli altri partiti per capire che l'unico partito democratico è quello che porta il suo nome e che gli altri non sono partiti nel senso repubblicano del termine. Solo il Pd fa le primarie aperte a tutti, così tanto denigrate, discute pubblicamente, non ha mai espulso chi quotidianamente in questi anni è andato contro la linea ufficiale. La base democratico-borghese e quella democratico-popolare si deve mobilitare per bloccare questa manovra a tenaglia, populisti di destra, pupulisti eversivi di sinistra, aristosinistra tecnocratica ed elitaria. Compito del partito democratico oggi è combattere il populismo di destra e di sinistra, ma anche quelle elite schizofreniche che odiano il buon senso e la logica e cinguettano con il sovversivismo.

martedì 18 luglio 2017

Quando la sinistra parlava di nazionalismo correttamente inteso

Se dici patria in Italia, dici fascismo. Può sembrare ovvio, d'altra parte il fascismo non fu forse un movimento nazionalista? Può sembrare normale che qualunque "democratico" o persona di sinistra non ne voglia sapere di parlare di patria, ma non è così. lasciamo da parte il risorgimento democratico e socialista di cui nessuno si ricorda, ma la stessa resistenza antifascista fu patriottica. Non solo gli antifascisti non comunisti, ma anche i comunisti consideravano l'antifascismo una forma di patriottismo da contrapporre al nazionalismo fascista. Nel campo comunista fu Stalin a voler dare questo segno alla lotta contro Hitler e Mussolini, arrivando a sciogliere la terza internazionale e facendo dire a Dimitrov che "il nazionalismo correttamente inteso non è contrapposto all'internazionalismo". La natura tattica, ma sopratutto temporanea di questa linea non impedì che in Italia fosse interpretata in senso strategico dai togliattiani più conseguenti, come il leader comunista Giorgio Amendola. Pertanto, fu solo con l'esplodere del '68, nel contesto di una dura contestazione al Pci togliattiano, che questa interpretazione patriottica dell'antifascismo e in ultima analisi del comunismo italiano venne bollata come "retorica" e "controrivoluzionaria", venendo messa in severa discussione in nome di un nuovo internazionalismo che guardava alla Cina di Mao e ai movimenti terzomondisti, che per inciso erano a loro volta ipernazionalisti dal loro punto di vista, facendo quindi fare la figura degli utili idioti ai loro epigoni occidentali. Fu quindi solo allora che il patriottismo e parole come patria divennero degli appestati a sinistra, dal momento che anche l'Unione Sovietica aveva da tempo abbandonato quella linea e aveva introdotto il pacifismo come linea tattica che i comunisti occidentali dovevano portare avanti nel contesto della guerra fredda, da alternare con il ritorno del rivoluzionarismo. Cosa rimane oggi di tutto ciò? Siamo nell'era che è stata definita postideologica, e questo sarebbe un bene, ma che potremmo anche dire postgeopolitica e postpolitica, nel senso che molte persone assumono posizioni senza avere la coscienza del significato geopolitico, storico e politico delle loro posizioni.

venerdì 14 luglio 2017

L'antisemitismo è la vera essenza del nazifascismo

C'è una sinistra che tende a definire come "fascista" e di destra tutto ciò che non la pensa come lei, ma si dimentica che  il nazismo e in un secondo momento anche il fascismo, furono sopratutto antisemitismo, l'odio per gli ebrei è la vera natura del nazifascismo, il resto sono chiacchiere.

giovedì 13 luglio 2017

Maggioranze e minoranze

Esiste una cultura politica che dice che la minoranza deve avere diritto di parola e possibilità di provare a modificare la linea, ma non può avere diritto di veto e di ricatto. E' un costume che attraversa la storia nelle sue fasi anche più drammatiche e tragiche, ma che ha in ultima analisi una sua giustezza, al netto degli errori della storia. Questa cultura si chiama centralismo democratico e disciplina di partito. Chi lo dice è un individualista convinto, altrettanto convinto però che le ragioni di una comunità devono prevalere sulle ragioni di corporazione e di gruppetti e correnti.

Considerazioni storiche sul dibattito destra-sinistra

Da anni si discute del superamento di destra e sinistra. E' un discorso che sembra sempre nuovo, ma in realtà risale a cento anni fa. Una certa ortodossia di sinistra, tende a considerare ogni discorso del genere come un cammuffamento della destra. Tutto ciò che è ne' destra e ne' sinistra tenderebbe naturalmente a destra, sarebbe in realtà destra. Si tratta di una legge politica che ha un fondamento storico nel fatto che i primi a rompere con la dicotomia destra-sinistra furono i fascisti, che però in effetti a ben vedere sarebbe riduttivo definire un movimento solamente di destra. Il fascismo era proprio l'unione di idee di estrema sinistra e di estrema destra e ciò rende attuale il fatto che destra e sinistra, pur esistendo innegabilmente, non possono spiegare tutto, e che se portate su un piano rigido risultano uno schematismo, ma soprattutto che esistono da decenni due destre e due sinistre, una sinistra e una destra moderata e una sinistra e una destra estremista. La vulgata "progressista" ha invece sempre voluto considerare il fascismo di destra, a volte estrema destra, ma per una certa ortodossia di sinistra la destra moderata neppure esiste, per cui tutto ciò che è destra è fascista, dove inoltre la destra è il male e la sinistra non può che essere il bene su un piano etico-morale. Se invece il fascismo è anche un po' di sinistra, forse c'è qualcosa che non va anche nella sinistra, e in particolare in quella che storicamente si è sempre nutrita di "uomo nuovo", "rivoluzione", massimalismo, forse c'è qualcosa che non va nel socialismo, in certe concezioni totalitarie della società. Tutto questo ragionamento è sempre stato rifiutato dal "centro" della sinistra, cioè da chi, secondo una certa storiografia, è tatticamente di sinistra moderata, ma strategicamente di estrema sinistra. Questo rifiuto con il fare i conti con gli elementi di sinistra del fascismo, effettivamente va a dimostrare la natura strategicamente estremista del "centro" della sinistra.

martedì 11 luglio 2017

I pregiudizi verso Renzi, questione politico-ideologica, odio antropologico o mera questione d'immagine?

Abbiamo visto in precedenza come Renzi rompe con la tradizione della sinistra anticapitalista, antioccidentale, con lo schema della sinistra ulivista alleata con la sinistra radicale, ma tutto questo non basta di certo a spiegare lo schieramento antirenzi, il quale è composto anche da una larga fetta di sinistra che di marxista o vagamente tale e nemmeno socialdemocratico non ha più nulla, se mai lo ha avuto. L'odio per Renzi allora è antropologico, riguarda la sua persona, il suo ottimismo boy-scout, le sue giacche di pelle, le sue camice bianche, le sue cravatte scure e azzurre, il fatto di non essere uno pseudointellettuale borghese, il suo navigare nelle ragioni degli altri, ma anche tutto questo non basta a spiegare. L'odio per Renzi in definitiva è l'odio per la sua comunicazione da parte di una sinistra senza sostanza per la quale la forma, l'immagine, la comunicazione, la narrazione è tutto. La colpa di Renzi è la colpa di chi ha affermato che la comunicazione di Berlusconi è più efficace di quella manipolatoria e mobilitante di Repubblica, delle poesie barocche di Vendola e di quella bombardante de La 7. Con le sue slides, i toni informali, le battute da toscano, l'ottimismo della ragione, la sinistra del fare, è lontanissimo dai toni fintamente e posatamente riflessivi delle madonne addolorate della sinistra etica e dai soporiferi toni professorali di un Letta o di un Monti, ma anche lontano dall'indignazione psicomoralista della sinistra filogrillina. Per una sinistra per cui la comunicazione e l'immagine è tutto, la comunicazione e l'immagine di Renzi è intollerabile, a scapito magari di contenuti che non risulterebbero così insopportabili in bocca ad un altro.

domenica 2 luglio 2017

Ottimismo, tradizione e innovazione

La sinistra negli ultimi cent'anni, per non dire dalla sconfitta della Comune di Parigi, si è duramente scontrata con la realtà, è andata incontro a molte sconfitte, ad analisi e previsioni sbagliate, a errori commessi. Ogni fase storica ha portato con sè errori che hanno portato nei leaders della sinistra la necessità di operare svolte, cambiamenti, innovazioni, anche radicali, nella struttura stessa della sinistra, che hanno trovato molte resistenze interne che sono alla base delle divisioni che attraversano questa parte politica. La sconfitta, ma anche solo la fine di una fase storica, ha portato in molti al riflesso di rifugiarsi nella mitizzazione della fase storica precedente e nello spiegare le sconfitte con la retorica della "rivoluzione tradita", nel tradimento dei capi, con il complottismo e con una visione cristallizzata che vorrebbe fermare le lancette dell'orologio della storia. Se le cose non sono andate come dovevano, si preferisce rifugiarsi e rimpiangere quella fase in cui sembrava che le cose sarebbero andate come dovevano, ma in realtà certi meccanismi erano presenti già in quella fase storica, che inoltre non era spianata come ci si ricorda. Il bisogno di essere fedeli ad una tradizione è un meccanismo umano a cui nessuno sfugge. Anche i rivoluzionari si curano di rendere subito tradizione il proprio percorso, si pensi alle celebrazioni, alla narrazione, alle date della rivoluzione francese e bolscevica. Ogni leader innovatore deve tenere conto di questo aspetto e non deve cadere nel nuovismo. Lenin stravolse e ribaltò tutto il pensiero di Marx, avendo cura di presentarsi come un suo allievo e continuatore della sua opera e rispedendo l'accusa infamante di revisionismo sulle spalle di Bernstein. Togliatti seppe bene costruire un percorso di innovazione nella continuità. Negli ultimi 25 anni la storia ha iniziato a viaggiare ad un ritmo vorticoso, mentre la percezione è che sia tutto immobile, fermo agli anni '90, ma non è così, tutto è cambiato dal crollo dell'Unione Sovietica in poi e ha continuato a cambiare. Stare al passo della storia, non estinguersi è stata la bussola di molti leaders della sinistra, ma non è stato facile farsi capire dal proprio popolo e spesso si è caduti nell'errore del nuovismo, distruggendo nomi, simboli, riferimenti, linee. Ciò ha provocato una infinita serie di scissioni e divisioni, che hanno aperto la strada a demagoghi, opportunisti, fenomeni regressivi, neoutopistici, neopopulistici, intellettualistici. Come Marx riconobbe i meriti storici del socialismo utopista per introdurre la fase del socialismo scientifico, oggi le forze del cambiamento devono evitare di essere iconoclaste, ma dare un senso ottimista al proprio progetto, riportando quanto di buono è stato fatto nel passato e dando nuova linfa. Ottimismo, tradizione, innovazione sono i tre punti cardine e integrati tra loro alla base del discorso nuovo.

venerdì 30 giugno 2017

I diritti civili come strumento del totalitarismo

La vicenda dei gay ebrei espulsi dal gay pride di Chicago, perchè per gli organizzatori si trattava di una manifestazione di carattere "antisionista" e "più inclusiva e orientata verso la giustizia sociale" chiarisce bene che il movimento Lgbt, almeno nelle sue componenti più radicali come nella città americana, non è un movimento di omossessuali per i diritti civili, ma una delle cinghie di trasmissione di un progetto più ampio tendente a destabilizzare gli stati occidentali attraverso una piattaforma neototalitaria e antiliberale, dove l'individualità è subordinata all'universalità, la diversità all'uguaglianza e l'inclusività alla giustizia sociale. Anche se è vero che la comunità Lgbt ebraica ha potuto sfilare in Italia, ma tra gli insulti di alcuni gruppetti che nessuno ha condannato, sfogliando alcuni dei siti dei numerosi gay pride locali disseminati per tutta Italia non si riesce a trovare una sola parola per i gay impiccati in Iran, per i gay presi a pallottole di gomma in Turchia, gettati dalle finestre nello Stato Islamico o ammazzati nella Palestina oscurantista di Hamas, ma solo duri attacchi agli stati democratici e alle loro strutture territoriali attraverso una retorica schematicamente e superficialmente marxisteggiante e una chiara visione di matrice tardoterzomondista, oltre alla vecchia e strumentale battaglia per piegare la Costituzione ai propri fini politici. Un movimento che appare fortemente fortemente politicizzato dunque, che vorrebbe creare un velleitario blocco sociale composto da immigrati, femministe e gay, sottomessi e al servizio di residuati bellici delle lotte "anti-imperialiste" (violente e non-violente) degli anni '70 e di vecchi e nuovi interessi geopolitici, i cui risultati tangibili sono stati imporre ai Media e parte della società un linguaggio orwelliano e il cui prossimo obbiettivo di medio termine è una legislatura repressiva che imbavagli la stampa e la libertà d'espressione. Usare il tema dei diritti civili come "utile idiota" non è una cosa nuova nella storia, nel '900 i movimenti per i diritti civili in diverse parti dell'occidente erano aree cuscinetto per movimenti terroristici strettamente correlati con l'Unione Sovietica. La storia non si ripete mai uguale (forse), ma ci insegna sempre qualcosa.

giovedì 29 giugno 2017

Governare l'immigrazione non con gli slogan, ma con la serietà

L'immigrazione è un fenomeno che va governato. Secondo le stime dei sindaci l'Italia non è in grado di accogliere più di 200mila richiedenti asilo all'anno. Di questo passo quest'anno ne arriveranno due milioni. Ma non è solo una questione di numeri. L'immigrazione va affrontata con il giusto criterio culturale e avendo il coraggio di espellere chi non ha il diritto di stare sul nostro territorio, ristabilendo la legalità e il rispetto dei confini. Uno stato democratico ha tutto il diritto di difendere i propri confini, altro che no borders e altri slogan infantili da psicomoralisti. Vi sono poi le implicazioni sociali del fenomeno. E' un dato di fatto che l'immigrazione è un fenomeno ben visto dalle elites, da chi sta in alto, e malvisto e non voluto da chi sta in basso. Non si tratta di fare della demagogia o del populismo, il popolo può anche avere torto, ma è un altro dato di fatto che il peso e i costi dell'immigrazione ricadono tutti su chi sta in basso, su chi sta nelle periferie. Troppo comodo dire welcome refugees e poi sono gli altri a dover accogliere.

mercoledì 28 giugno 2017

Le anime belle del populismo chavista

L'articolo del Foglio, "i rumorosi silenzi dei bolivariani d'occidente", spiega bene lo schema delle anime belle e anche in cosa consistono le anime belle di cui da decenni si sente spesso parlare nel dibattito a sinistra. Di fronte allo sfacelo storico di un sistema si trova un capro espiatorio e si rimpiange il padre fondatore, in realtà vero responsabile del disastro, pur di non fare i conti con la storia. Di fronte al disastro del leninismo, le anime belle trovarono in Stalin il perfetto capro espiatorio, di fronte al disastro del populismo chavista, si trova in Maduro il capro espiatorio. Gli ideali erano giusti, i fondatori puri, ma un solo cattivo usurpatore ha distrutto tutto. Ma il solo socialismo che può soppravivere è quello di mercato e non solo per una questione di fallimento storico-economico del socialismo integrale o di libertà civili e politiche. Abolire il profitto personale è una misura antiumana che riduce l'ambizione personale al potere e alla carriera politica o alla feroce competizione che s'instaura nei sistemi totalitari per essere cittadini modello in una gara di fedeltà all'ortodossia ideale, con la catena dei sospetti, delle paranoie, delle accuse e delle controaccuse.

lunedì 26 giugno 2017

Elezioni amministrative 2017, roccaforti simboliche e controtendenze

Le elezioni amministrative del giugno 2017 hanno determinato nei comuni con più di 15000 abitanti 67 vittorie del centrosinistra, 59 del centrodestra, 8 del Movimento di Casaleggio, due del centro, venti di liste civiche e due della sinistra radicale. Il dato sensibile è sicuramente quello di una certa vitalità dell'elettorato di centrodestra (con una netta controtendenza, come vedremo, in Veneto), tornato a mobilitarsi dopo anni, il dato più evidente è il tracollo dei grillini, mentre meno si è parlato di un certo astensionismo dell'elettorato di centrosinistra e dell'incapacità del Pd di attrarre voti fuori dal proprio perimetro in occasione dei ballottaggi, vero tallone d'achille del partito e che però sta portando anche a considerazioni fuorvianti tra i commentatori. E qui viene fuori la difficoltà di trasportare a livello nazionale un voto non solo locale, ma strutturato in maniera differente. A livello nazionale non c'è il ballottaggio e dunque se è vero che in caso di confronto Pd-cinque stelle l'elettorato di centrodestra tende ad andare in aiuto dei grillini in funzione anti-Pd come successo nel 2016 e precedentemente, mentre in caso di ballottaggio Pd-centrodestra i grillini tendono ad aiutare il centrodestra come successo quest'anno, con una legge nazionale proporzionale questo discorso tende a scemare, anche se rimane a indicare certi vasi comunicanti e dall'altra un certo isolamento del Pd, che ancora fatica a sviluppare il progetto renziano di uscita dal recinto. Questo ha ovviamente portato i fautori della rifondazione ulivista a spingere per una riedizione del centrosinistra allargato, magari a trazione sinistra-sinistra e arancione, ma laddove si è verificato, in un comune simbolico come Genova, si è andati incontro a una netta sconfitta, mentre a Padova e Lecce, il Pd alleato con pezzi di centrodestra vince (e qui si segnalano le incredibili parole del governatore Emiliano, che non ha mai sostenuto il candidato di Lecce e a vittoria avvenuta s'intesta la vittoria blaterando di centrosinistra unito). Ma anche qui intervengono fattori locali, la voglia di discontinuità amministrativa (ma non si sa se anche politica) dei genovesi, le divisioni locali del centrodestra a Lecce e Padova. Ma la cosa ancora più fuorviante è data dal fatto che il centrodestra unito tende a vincere localmente, ma a livello nazionale in realtà è tutt'altro che unito. D'altra parte sarebbe anche illusorio pensare che i grillini siano finiti, anche se in questi anni sono stati gonfiati dai sondaggi, dai media e dalle vittorie di Torino e Roma determinate da situazioni locali e particolari. Il vero dato interessante, completamente oscurato, è quello del Veneto: Mentre tutti si soffermano sul valore simbolico della caduta di alcune roccaforti storiche della sinistra come Genova, Sesto San Giovanni e Carrara, alimentando la psicoegemonìa rifondazionista dei valori del passato traditi, nessuno si accorge della netta avanzata del Pd in Veneto, Verona a parte, e del forte arrettramento del centrodestra in questa regione, frutto di situazioni locali o segnale che il progetto renziano di riportare la sinistra nei centri produttivi, abbandonando il mondo della cultura autoreferenziale e dell'arte uguale a sè stessa inizia a prendere piede?

venerdì 23 giugno 2017

Come "diversità" e inclusione distruggono la libertà personale/ 2

Dunque come abbiamo visto il concetto di diversità non è solo unilaterale, ma è anche rinchiuso in un contesto di inclusione collettiva e quindi di eguaglianza. "Diversi, ma uguali" è uno slogan che spesso si sente proferire in varie sedi per rappresentare il mondo che si vorrebbe e che ha una doppia funzione. Da una parte serve a dare una sembianza di pluralità ad un concetto come l'uguaglianza che nel corso del '900, con lo sfacelo degli esperimenti socialisti, si è deteriorato ed è stato sempre più visto come monolitico, omologante e grigio, e dall'altra, come avevamo già visto, rimette in gioco l'uguaglianza a discapito della libertà. Dobbiamo fare un passo di venti-trent'anni indietro a questo punto. Il liberalismo ha sconfitto il socialismo quando sempre più persone si sono convinte che la libertà deve avere più importanza e più peso dell'uguaglianza e che l'uguaglianza può vivere solo nella libertà, ma non viceversa. E' sorta così una sinistra moderna, un nuovo tipo di riformismo che non si poneva più l'obbiettivo di smantellare pezzo per pezzo il capitalismo in forme graduali per giungere al socialismo, ma di migliorare il capitalismo integrandosi con esso. Un'ala sinistra del liberalismo perciò, una collocazione che ha però fatto inorridire tanti trinariciuti sopravvissuti ai disastri dei totalitarismi del '900 e alla bancarotta delle socialdemocrazie, che hanno iniziato così una battaglia ideologica per resuscitare le loro idee egualitariste, riproposte, e qui torniamo al punto di prima, in termini come "diversità", "inclusione", "multiculturalismo". Un'azione di egemonìa linguistica ancor prima che culturale, che ha permesso agli sconfitti del '900 di rientrare in gioco (Ovvio, la crisi economica dal 2008 ad oggi ha favorito un forte ritorno dell'anticapitalismo, ma solo un determinismo economicista può far pensare che sia quello il motivo principale). Proviamo a fare un esempio concreto. La legge dello Ius Soli. Servono però alcune premesse. Lo Ius Soli in Italia esisteva già. I figli degli stranieri cresciuti in Italia e che hanno frequentato le scuole dell'obbligo in Italia al compimento dei diciotto anni possono chiedere la cittadinanza italiana. Sarebbe dunque assurdo opporsi a qualcosa che esiste già. Ma vediamo come la modifica dell'attuale legge crea una finta diversità omologante e inclusiva, ma non aggiunge, anzi toglie libertà. Tralasciamo ovviamente gli aspetti squisitamente politici della vicenda che qui non interessano (pressing del Vaticano, cioè di uno Stato straniero sullo Stato italiano, tentativi di spostare a "sinistra" il Pd, o meglio su posizioni cattocomuniste, nell'ottica di una resurrezione dell'Ulivo con annessa alleanza alla sinistra radicale) e vediamo in cosa consiste la legge. Potranno ottenere la cittadinanza italiana anche i neonati da almeno un genitore straniero residente in Italia da cinque anni o i bambini nati all'estero che hanno fatto un ciclo di studi in Italia. Saranno i genitori a chiedere per loro la cittadinanza senza che dei neonati o dei bambini di dieci anni possano avere la minima consapevolezza di cosa significhi il concetto di cittadinanza e di conseguenza la libertà di scegliere se ottenere quella del paese dei genitori o quella italiana. Un grado in meno di coscienza, di consapevolezza e quindi di libertà, ma maggiore inclusione secondo il dogma un po' xenofobo che recita "nessuno è straniero", come se essere italiani fosse un titolo di merito ed essere stranieri comportasse una condizione negativa sul piano soggettivo o oggettivo. Ricordiamo che gli stranieri legalmente residenti in Italia godono degli stessi diritti degli italiani e sono uguali davanti alla legge, ma sopratutto essere straniero è una condizione di diversità che dovrebbe arricchire la società e dare una personalità a chi la detiene quando questa si integra con il tessuto nazionale e ne accetta i valori fondanti, ma che invece in nome della finta diversità e attraverso questa sorta di nazionalismo del cuore si vuole abolire.

giovedì 22 giugno 2017

Come "diversità" e inclusione distruggono la libertà personale

Diversità, inclusione, multiculturalismo sono i concetti che stanno sostituendo a mano a mano i valori fondanti della nostra società come libertà e individualità. Questo fenomeno arriva a toccare i punti più impensabili ed ogni aspetto del nostro mondo occidentale. Persino la famosa bambola Barbie ha deciso di adeguarsi ai nuovi valori, come titola trionfante La Repubblica "addio perfezione, Ken e Barbie sono sempre più normali", tradendo un cortocircuito con la diversità, che non dovrebbe essere "normale". Succede che Barbie era troppo bella, troppo bionda, troppo consumista e occidentale e quindi, in nome della diversità, deve omologarsi a un concetto stereotipato di normalità. Ora avremo Barbie e Ken con tutti i tipi di colore della pelle e vestiti secondo le mode del momento. Una bambola neorealista come forse nemmeno in Unione Sovietica avrebbero pensato. Quindi ora Barbie e Ken potranno essere "diversi" anche loro. Ma diversi da cosa? Diversi da se stessi e uguali a tutti e nessuno. Per diventare diversi bisogna perdere la propria personalità, la propria reale diversità. E' una non-diversità e per di più a senso unico, perchè se Barbie da principio fosse stata una militante afroamericana, nessuno le avrebbe chiesto di diventare bionda e bianca in nome della diversità. Questa è la truffa della finta diversità e del finto multiculturalismo a senso unico in cui viviamo, figli dell'odio di sè degli occidentali e che si accompagna ad un'altra ossessione contemporanea: l'inclusività, nessuno deve essere escluso, dobbiamo essere inclusivi, dobbiamo far tutti parte dello stesso progetto di società, di un'unica nazione universale, in questo caso non si tratta di una truffa ideologica, ma di una genuina e franca concezione totalitaria del mondo. Ecco perchè più siamo inclusivi, multiculturali, "diversi", e meno siamo liberi, siamo senza personalità, omologati e sempre più conformisti.

giovedì 15 giugno 2017

Renzi in cinque passaggi chiave

Volendo semplificare il percorso di Renzi, potremmo dire che il segretario del Pd ha colto alcuni passaggi vincenti nella sua scalata. Innanzitutto ha individuato in D'Alema il suo antagonista, capendo che l'ex segretario del Pds era un gigante dai piedi d'argilla. Oggi sembra scontato, ma quando Renzi ha deciso di sfidarlo si trovava di fronte ancora un personaggio potentissimo, ma frutto più di una rete di relazioni che di una solida struttura programmatica. Ma perchè D'alema? Questo introduce il secondo passaggio: Renzi, in continuità con Veltroni, ha deciso di cambiare lo schema politico del partito d'alemiano, capendo che questo schema, centrosinistra alleato con la sinistra radicale o estrema sinistra che dir si voglia, era fallito. Questo introduce il terzo elemento, la politica di Renzi è incentrata su idee economiche incompatibili con la sinistra anticapitalista, dove sinistra per il renzismo è coniugata con l'idea di opportunità e sviluppo, rifiutando l'assistenzialismo, la politica tasse e spesa, sostituendola con una politica di riforme dove la libertà d'impresa non è più vista come il nemico. Il quarto elemento riguarda la politica estera e il passaggio dalla politica tradizionalmente filo-araba della sinistra postbrezneviana a una più filo-israeliana e filo-occidentale, seppur con alcune cautele, si veda l'equidistanza tra atlantismo e Russia. Come si vede Renzi non ha inventato nulla, ma ha saputo giocare bene le sue carte portando alle estreme conseguenze alcuni punti che leader della sinistra comunista e postcomunista come Amendola, Napolitano e Veltroni avevano timidamente abbozzato ed è favorito nella costruzione di una sinistra liberale e riformista dalla deriva populista del centrodestra da una parte e dalla deriva populista e filo-grillina dell'estrema sinistra dall'altra, dove la dialettica marxista del superamento del capitalismo sulle basi del capitalismo stesso, è stata sostituita da un anticapitalismo radicale, manicheo, primitivista e antimoderno. E' anche per questo che Renzi ha visto in Grillo il suo nemico principale, facendo gli altri il suo gioco e aprendogli spazi. Nemico interno, politica delle alleanze, politica economica, politica estera e spazi da sfruttare sono i cinque passaggi chiave del renzismo. In questo articolo è rimasto fuori il discorso, importantissimo, dell'organizzazione del partito e dei militanti, il sesto elemento. Renzi non avrà saputo conquistare i salotti e le redazioni di sinistra, ma ha saputo conquistare la base del Pd, quando una volta perse le prime primarie contro Bersani, si è comportato con disciplina di partito sostenendo Bersani, viceversa quest'ultimo e D'alema, una volta perso la maggioranza, si sono comportati come i peggiori frazionisti antipartito, perdendo ogni credito tra i volontari del partito.

domenica 11 giugno 2017

Bassa affluenza, vera democrazia

Ogni volta che si verifica una bassa affluenza ad una tornata elettorale, c'è sempre chi si affretta a proclamare il funerale della democrazia rappresentativa: si tratta di uno dei tanti tasselli dell'opera di delegittimazione che da 25 anni viene portata avanti in Italia e in tutto il mondo occidentale nei confronti della democrazia parlamentare, precisamente da quando, caduto il socialismo reale, molte forze della destra populista hanno potuto abbandonare la loro alleanza tattica con la democrazia occidentale in chiave anticomunista, per ribadire le loro posizioni antidemocratiche, mentre dall'altra parte, sulle ceneri della crisi del marxismo e della socialdemocrazia, è sorta una sinistra neoutopista e antiliberale. In realtà è vero il contrario, è nei regimi totalitari che assistiamo alle code davanti ai seggi di gente trascinata più o meno a forze dalle squadre di partito e a percentuali bulgare di votanti. Nelle democrazie liberali una medio-bassa affluenza è un buon segno, dovuto al fatto che evidentemente non sono andati a votare coloro che odiano la politica (almeno quella intesa come arte del possibile e del compromesso, quindi quella tipica delle democrazie mature non legate ad un'idea totale di popolo), ma che se ci andassero sarebbero attratti dalle forze antisistema. L'affermazione di Macron in Francia e il flop dei grillini alle amministrative vanno lette in quest'ottica.

venerdì 9 giugno 2017

Sinistra regressiva e sinistra progressista

Il vuoto lasciato dal marxismo ha generato una deriva regressiva in quella sinistra che non è diventata liberale. La fine del marxismo, già deteriorato da Lenin in poi, ha creato solo in parte lo spazio per una sinistra moderna, ma gran parte di quello spazio è stato occupato da una sinistra premarxista, che ha rigenerato l'utopismo, il populismo, l'egualitarismo livellante. Sono in questo modo maturate due sinistre incompatibili tra loro, una liberal-socialista, l'altra populista, una sorta di riproposizione dei riformisti e dei massimalisti di un tempo, ma senza più il "centro" marxista. In Italia, ma anche negli altri paesi, chi si ripropone come "centro", è in realtà appiattito sulle posizioni dei populisti. Oggi è necessario, che come il partito comunista occupò lo spazio che era dei riformisti, la sinistra liberale occupi anche lo spazio del centro della sinistra che oggi nel senso comune è ritenuto proprio della sinistra radicale. Serve un'offensiva profondamente di sinistra. Sarebbe necessario che venissero rimarcate le analogìe tra il populismo di estrema sinistra e quello di estrema destra, divisi soltanto dal tema dell'immigrazione, ma uguali in tutto il resto. E' chiaro che oggi i liberali devono andare sempre più a sinistra, di fronte a una destra che non è cambiata, ma che ha mantenuto i caratteri demagogici e la natura antioccidentale di un tempo.

venerdì 26 maggio 2017

Il padre e la madre del grillismo

Acceso dibattito in questi giorni tra il Foglio e La Repubblica, i due giornali rivali si rimpallano la maternità e la paternità del grillismo, diciamo subito, avendo in parte o in pieno ragione entrambi. Il grillismo è indubbiamente figlio del giustizialismo, del quale il giornale fondato da Eugenio Scalfari ne è stato un interprete indiscusso. A volte l'organo ufficiale dei cinque stelle, Il Fatto quotidiano, sembra davvero il figlio degenere de La Repubblica. Eppure anche il berlusconismo ha la sua parte di responsabilità nella gestazione del mostro grillino. Non credo molto per quello che sostiene Michele Serra nella sua piccata risposta a Cerasa, non tanto perchè, mi pare di capire, il grillismo sarebbe una risposta sbagliata alla corruzione del centrodestra, che sa tanto di grillini come compagni che sbagliano, ma invece per il fatto che Berlusconi a suo tempo ha sdoganato il peggiore populismo, che si è poi riversato nella setta di Casaleggio, insieme a frotte di puristi delusi dalla sinistra. Per non parlare dell'orrenda alleanza di Silvio con zio Vlad, che ricompare intatta anche nei cinque stelle, al netto degli ipocriti ne' ne'. Da ultimo, lo sdoganamento del fanatismo animalista, tanto trasversale anche questo al grillismo. Quindi chi è il padre e chi è la madre? Giustizialismo moralista, fanatismo ambientalista e animalista, populismo, simpatìa per l'asse nazi-islamico-comunista Russia-Venezuela-Iran, una miscela che può distruggere la democrazia alla quale bisogna aggiungere gli elementi "originali" del grillismo, deliri antiscientifici, paranoia complottista, decrescita economica, parabrigatismo, come se non bastasse.

sabato 20 maggio 2017

Più che contro i muri contro il Pd

Come può un esponente del Pd aderire a una manifestazione come quella "contro i muri" del 20 maggio a Milano, che contraddice totalmente tutta la linea del Pd degli ultimi mesi sui temi dell'immigrazione, della sicurezza e dell'identità, portata avanti anche dal governo e che si compone nel tentativo di coniugare solidarietà e sicurezza, diritti e doveri, integrazione e legalità? Basta leggere l'appello della manifestazione per rendersi conto di come le parole d'ordine siano totalmente monche: diritti senza doveri, totale assenza di ogni riferimento alla sicurezza, al terrorismo, ai poliziotti aggrediti, totale mancanza di complessità e semplificazione manichea, da una parte i migranti discriminati e i loro paladini, dall'altra i cattivi razzisti che li discriminano. Dicevamo, che ci fa il Pd ad una manifestazione del genere, dove viene definito "peggior destra", dove gli slogan sono tutti contro i ministri Orlando e Minniti, dove si inneggia all'immigrazione clandestina ("nessuno è illegale"): Schizofrenia? Masochismo? Appare evidente il tentativo della borghesia rossa milanese di usare i migranti (sfruttati due volte, prima dai trafficanti e ora dai loro padroni solidali) per mettere in difficoltà Renzi, la convergenza tra Sala, i vecchi burocrati dell'ex Pds e i rivoluzionari da salotto, l'accozzaglia di Radio Popolare, Feltrinelli, tutto quel mondo che negli anni '20 sfilava in camicia nera, negli anni '70 sognava Mao Tze Tung e negli anni '90 si dava al giustizialismo manettaro, con un unico obbiettivo di sempre, colpire il riformismo.

venerdì 28 aprile 2017

Renzi, Emiliano, Orlando, il confronto su Sky

Il confronto a Sky sulle Primarie Pd è stato molto sereno, ciò non vuol dire che non siano mancate le punzecchiature e i contrasti vigorosi. Emiliano ha dato di sè un'immagine da padre bonario, intento a consigliare il figlio che sbaglia Renzi. Ha evitato di chiamare a raccolta i grillini, come fatto in precedenza, preferendo ripresentarsi come uomo di partito. Non è un caso, la domanda della militante selezionata gli chiedeva proprio come avesse potuto definire - come un grillino qualsiasi - il Pd il partito dei petrolieri e banchieri, offendendo le migliaia di militanti. Va spiegato che per un attivista del Pd il rapporto con i grillini non è certo idilliaco, i seguaci del beppone nazionale su internet non vanno tanto per il sottile, non facendo molta differenza tra Renzi, base e elettori, tutti servi del sistema. Se Emiliano strizza gli occhi ai grillini, non deve stupire poi che tra gli iscritti non abbia preso nessun voto, eccezion fatta per la sua Puglia. Orlando non è riuscito a togliersi quella patina di apparato, alla domanda quale fosse il vostro poster nella cameretta quando avevate quindici anni, è stato l'unico a rispondere con un tutto politico Berlinguer e Mandela, mentre Renzi si divertiva a provocare con i Duran Duran, oltre a Roberto Baggio, mentre persino Emiliano la capiva con un Gigi Riva. per Renzi anche un significativo Bob Kennedy. Per quanto riguarda Renzi ha cercato di gestire il vantaggio, riproponendo qualche incursione sulla sicurezza e i valori occidentali, ma persino Emiliano ha avuto parole sorprendenti sull'immigrazione. I veri toni piccati si sono visti tra Renzi e Orlando, le uniche scintille, con il guardasigilli a giocarla sull'antiberlusconismo, accusando Renzi di inciucio, Renzi ricordandogli di essere stato ministro di un governo di larghe intese con Berlusconi, poi Orlando tacciando Renzi di populismo sull'Europa e agitando la bandiera dell'uguaglianza, ma i sondaggi parlano di un Renzi al 75% e un'affluenza di 2 milioni.

La Russia usa l'immigrazione per destabilizzare l'Unione Europea e L'Italia?/2

Nel precedente articolo dallo stesso titolo avevamo visto come il cosidetto "antirazzismo" (accoglienza illimitata per tutti, abolizione dei confini nazionali e delle frontiere per gli individui, bollare come razzista ogni paura e preoccupazione problematica) in realtà alimentasse il "razzismo". Ora vedremo come i "razzisti" facciano il gioco degli "antirazzisti", alimentandosi a vicenda. Le uscite rozze e spericolate di Di Maio e Salvini, che generalizzano contro tutte le Ong e ingrossano le psicosi nella gente, rendono poi facile ai Saviano e alle Boldrini la difesa generalizzata di tutte le Ong, nascondendo il problema sotto il tappeto e tacciando come razzista chiunque voglia indagare il fenomeno. La loro retorica "no-global" (uscita dall'Euro, chiusura totale delle frontiere, attacco alla democrazia rappresentativa) se messa in atto farebbe fare all'Italia la fine del Venezuela. Il Pd e il governo stanno cercando di prendere le distanze da queste reciproche posizioni ideologiche, ma ancora oggi nella percezione dell'opinione pubblica questo non traspare, o meglio appare evidente la presa di distanza dalla posizione ideologica di "destra", ma non da quella di "sinistra", che appare sempre timida e non netta. Intanto l'indagine dei Pm di Catania va avanti e ipotizza esplicitamente che ci siano degli Stati dietro questa ondata di immigrazione di massa, che assume i contorni ormai dell'invasione. Dietro gli scafisti e le Ong colluse potrebbero esserci le milizie libiche filo-russe oppure elementi radicali del fronte sunnita. Sappiamo come su un altro versante caldo Erdogan usi i profughi siriani come un'arma di ricatto verso l'Europa. Vedremo dove finirà questa inchiesta, per alcuni frutto di illazioni, per altri di informative dei servizi segreti tedeschi e olandesi (la Stampa). Ma una cosa è certa, la sinistra antirenziana da anni corteggia i grillini - ricevendo in cambio ovviamente sberloni - soprassedendo su tutti i deliri paranoici della setta a cinque stelle e sulle derive antidemocratiche, ma è chiaro che sull'immigrazione, che per la sinistra alla Saviano è un tratto identitario, non può far finta di nulla e su questo tema tutto il dialogo, gli ammiccamenti, il non-sono-populisti rischia di dimostrarsi per quello che è, una perdita di tempo. Con il tempo i grillini, come tutti i movimenti populisti, svolteranno decisamente a destra, con buona pace di Bersani e Zagrebelski. Lo scontro in futuro si delineerà tra una sinistra sempre più liberale e le destre sempre più populiste e sarà necessario fare una scelta di campo.

mercoledì 26 aprile 2017

L'ultrapolitica

Quella che è stata definita a lungo come antipolitica è in realtà un fenomeno fortemente politico, ultraideologico, l'odio non è contro la politica, ma contro la democrazia rappresentativa, i partiti della seconda repubblica, il parlamento, in nome di una politica neototalitaria, di un purismo neoidentitario, dietro il finto cinismo, il finto nichilismo, c'è invece una nuova fede fanatica, una nuova religione politica antilaica, una voglia di uniformità, un nuovo conformismo aggressivo sotto le mentite spoglie di una finta ribellione.

martedì 25 aprile 2017

La Russia usa l'immigrazione per destabilizzare l'Italia e l'Unione europea?

Per fermare le derive xenofobe emerse nella società, bisogna dare all'immigrazione dei limiti, perchè si tratta di un fenomeno che può essere retto dal tessuto sociale solo se viene garantita l'integrazione, la legalità, numeri contenuti e se non viene imposto dall'alto. L'immigrazione selvaggia, di massa, senza confini, magari sponsorizzata da alcune Ong di dubbio valore (ovviamente non tutte) e da personaggi politico-mediatici altezzosi, alimenta le risposte xenofobe della popolazione. Si tratta di un circuito vizioso che può essere rotto solo espellendo chi non ha diritto a stare qui e accogliendo chi scappa da guerre e persecuzioni politiche e religiose. Questi ultimi saranno in grado di integrarsi più facilmente, perchè la loro emigrazione è mossa da un desiderio di libertà e democrazia, che è alla basa delle nostre nazioni occidentali. Chi invece emigra mosso dall'idea del guadagno facile, dall'idea che l'Europa sia un eldorado, una volta scoperto che così non è, che la vita è dura anche qui, più difficilmente si integrerà, sarà mosso da rancore e più facilmente cadrà nelle braccia di organizzazioni criminali. Inutile dire di chi emigra pensando a una colonizzazione religiosa del vecchio continente, va espulso ben prima che possa compiere atti terroristici. Bene ha fatto quindi il ministro degli interni, Minniti, a distinguersi dall'estrema sinistra, affermando che il diritto alla sicurezza è un valore di sinistra, cercando un accordo con le autorità libiche per contrastare l'immigrazione clandestina e abolendo un grado di appello per le domande di asilo respinte, restringendo così i tempi delle espulsioni. E' però la geopolitica a determinare le situazioni, questa nuova ondata di immigrazione di massa potrebbe essere favorita da forze che vogliono destabilizzare l'attuale governo libico filo-italiano, per sostituirlo con uno filo-russo attraverso le milizie del generale Haftar. Non è forse un caso che la Russia sostiene contemporaneamente gli opposti estremisti del nostro paese, i populisti di destra antiimmigrazione da una parte, ma anche i populisti di sinistra proimmigrazione illimitata dall'altra, continuando la sua strategìa di destabilizzazione imperialista dei paesi dell'Unione Europea.

mercoledì 19 aprile 2017

Il relativismo antiscientifico è l'essenza dei cinque stelle

Dunque con la vicenda dei vaccini siamo arrivati alla vera essenza del partito a cinque stelle. L'odio contro la scienza, cioè contro la modernità, di cui la politica e la democrazia rappresentativa ne sono un aspetto, ma di cui la medicina, i vaccini contro le malattie che un tempo falcidiavano le popolazioni, la scienza, la cultura scientifica, ne sono il vero motore. Stiamo assistendo al cortocircuito del relativismo, l'idea che non esiste verità, ma solo opinioni tutte pesabili allo stesso modo, abolisce anche la verità scientifica, ogni forma di competenza, di professionalità borghese, dal giornalismo, alla medicina, dall'economia alla storia, per riportarci alla superstizione medievale, al tempo dei sacerdoti, dei guru, dei santoni. Ma in cosa consiste questo cortocircuito? L'uomo moderno ha superato i dogmi, le verità assolute, ma l'effetto collaterale è stato il relativismo, l'abbandono della ricerca costante e revisionista della verità o di una verità, per l'annullarsi in uno scetticismo pregiudiziale verso ogni verità consolidata, nell'apertura acritica verso ogni verità alternativa, ma soprattutto nell'autocondanna al nichilismo, all'infelicità, al livellamento, alla contraddizione fine a sè stessa e invalidante.

giovedì 13 aprile 2017

Storia e cambiamento la forza del Partito

Non c'è una continuità lineare Pcdi-Pci-Pds-Ds-Pd-PdN, ma se c'è una continuità, è proprio nella non-continuità, nelle svolte radicali, di rottura, ma maturate in una lunga elaborazione, che questo partito ha saputo assumere collettivamente e organicamente. Dalla svolta di Salerno, alla Bolognina, dal Partito Nuovo, al Lingotto, ogni svolta ha raccolto con sè chi pensava che fosse una scelta opportunistica, tattica, pensando di mantenersi come prima, e invece sono sempre state svolte strategiche, mutazioni genetiche, di un partito geneticamente modificato che in questo ha trovato la sua forza, insieme all'aver mantenuto il senso tradizionale della sua storia, del suo corpo militante. Storia e cambiamento sono la stessa cosa, un partito di quasi cent'anni, al tempo stesso nuovissimo. Anche gli ultimi stravolgimenti sembravano una lotta per il potere, un marchingegno senz'anima elettoralistico e invece... Una certa sinistra all'amatriciana si è convinta che Renzi fosse quello che vuole rifare la Dc, la retorica annisettantacentrica del regime democristiano, un sinistrismo ammuffito non si è accorto che quella di Renzi è invece una rivoluzione liberale, quella che Berlusconi non è stato capace di fare contorcendosi nel putinismo e avvolgendosi nel populismo di destra, ma il liberalismo non può che essere di sinistra, forse perchè la destra ha perso la sua occasione, dimostrandosi subalterna al populismo di sinistra. Modernità, pensiero scientifico, produttività, sviluppo economico, tutti i lati liberali del marxismo, oggi si ricompongono e trovano nuova linfa, mentre quello che rimane del dichiaratamente marxista è ridotto ad orpello del populismo, dell'utopismo, del terzomondismo, del grillismo.

Noi, il popolo che non c'è

Noi, il popolo. Noi siamo la volontà popolare. In queste tre parole si potrebbe riassumere la linea politica di Beppe Grillo, che si è scagliato contro l'idea legittima e democratica che forze politiche diverse tra loro possano allearsi per contrastare il suo dispotico partito. Peccato, anzi per fortuna, che il popolo non esiste più. L'Italia è composta da tante minoranze e da nessuna maggioranza. Grillo vive ancora nel mondo dove esisteva il popolo e i nemici del popolo da mettere alla gogna o in un gulag, ma si tratta evidentemente di una mistificazione ideologica. Per quanto Grillo abbia tanti sostenitori ed elettori, uno vale uno, il loro voto vale tanto quanto quello di chi vota Pd o Forza Italia, non è più puro o più onesto. In un contesto di minoranze e in un sistema politico che gli italiani con l'ultimo referendum hanno voluto proporzionale, per formare una maggioranza di governo, il buon senso vuole che ci si debba allearsi e mettersi d'accordo. L'identità manichea del partito di Casaleggio, però, non gli consente di fare alleanze, perchè il bene, l'onestà, la purezza, il popolo, non può mischiarsi con il male, la disonestà, la corruzione, la casta. La sua forza è il suo limite e la democrazia, quella vera, non quella diretta dagli psicoguru, se ne giova.

Negare la storia

C'è un cortocircuito in una parte della sinistra italiana nel rapporto tra storia e politica internazionale attuale. La bussola granitica e immobile con la quale si è mosso in questi anni tutto quel mondo erroneamente definito pacifista è che la democrazia non si esporta. Peccato che l'Italia è un classico esempio di democrazia esportata. Fu grazie alla guerra e all'intervento americano in Italia che la dittatura fu sconfitta e un'altra non la sostituì. Un politico avveduto come Togliatti ben lo sapeva e si districò tra l'alimentazione propagandistica del mito della resistenza rossa e una politica realista di compromesso con le forze atlantiche. Negare la storia vuol dire negare la realtà, mitizzare un glorioso passato mai esistito porta a scelte errate e a visioni nostalgiche nel presente.

lunedì 10 aprile 2017

Perchè Renzi ridà il primato a politica e partito

Si può ironizzare sui proverbi di Bersani, ma su una cosa l'ex segretario del Pd è riuscito benissimo: Dipingere Renzi come un uomo solo al comando, in una parola uomo solo. Spariti d'incanto i due milioni di cittadini e persone che lo hanno eletto segretario nel 2013, i 12 milioni che lo hanno votato alle elezioni europee del 2014 e anche quel 40% di elettori che lo ha votato al referendum del 2016 "solo" contro tutti. Ora Renzi sta stravincendo il congresso 2017 tra gli iscritti al partito, ma l'immagine populista di Renzi solo, amico dei banchieri, dei petrolieri, dei tecnocrati, dei plutocrati e degli oligarchi è piuttosto passata nell'immaginario mediatico, ma di certo Renzi è solo tra i cattedratici, i giornalisti, i comici, i sindacalisti, i cantautori e i registi, tutto quel mondo che Togliatti volle coinvolgere per far uscire il partito dal settarismo militante, ma che hanno finito per mangiarsi il partito e la sinistra. Ora Renzi, invece, e a differenza dell'immagine che Bersani e D'alema gli hanno costruito addosso, sta ridando potere proprio al Partito, ai suoi militanti e simpatizzanti, ricostruendo una sinistra politico-popolare, meno cultural-morale. Bene.