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sabato 21 ottobre 2017

Il mosaico del Pci e le scelte di Togliatti

Fare un ritratto di gruppo dei principali dirigenti del partito comunista italiano è una cosa ardua, da solo perchè la loro carriera politica attraversa la storia italiana e internazionale dalla prima guerra mondiale fino - in alcuni casi - agli anni '90, vuoi per le profonde differenze di carattere e di temperamento personale, vuoi per le profonda diversità di analisi, che è comunque l'aspetto più interessante. I limiti dell'esperienza comunista italiana sono noti, lo scarso approfondimento economico, l'antiamericanismo viscerale, la concezione della democrazia non oltre i limiti della mobilitazione finalistica, per non dire tutto quello che concerne lo schematismo terzinternazionalista, eppure di volta in volta, in ordine sparso, ogni leader seppe travalicare il perimetro ideologico, spesso duramente ripreso dagli altri, per creare un mosaico di eresie e revisionismi mai dichiarati che rendono così diverso il comunismo italiano dall'omologazione sovietica. Stupisce come ogni sortita dissidente fosse portata in solitaria, non ci fu mai coordinamento tra le dissidenze di Terracini, Amendola, Secchia, che anzi spesso si combatterono tra loro, trovando l'interessata alleanza di Togliatti di volta in volta l'uno contro l'altro. Sarebbe altresì però sbagliato indulgere nell'immagine demoniaca di un Togliatti unicamente manovratore e tatticista. Lo stesso Togliatti, seppur più attento degli altri dal non uscire dal cono d'ombra sovietico, mostrerà di saper tracciare analisi non subalterne ai dettami dell'internazionalismo classista, come un'analisi del fascismo quale movimento di rivolta dei ceti medi in parte alimentato dall'estremismo sindacale, che per certi versi e dentro certi equilibrismi verbali, anticiperà di decenni quello che poi verrà interpretato da storici come De Felice, paradossalmente scomunicati dal partito. D'altra parte Togliatti verrà ricordato come l'uomo del brindisi ai carri armati sovietici che invasero Budapest, ma non bisognerebbe dimenticare che la linea moderata del Pci in Italia che evitò al Paese un'altra guerra civile e contribuì a suo modo alla costruzione della democrazia, era passata attraverso la cessione dell'Ungheria e di altri paesi come Polonia e Bulgaria all'Unione Sovietica, secondo gli accordi intercorsi tra Stalin e Churchill. Pretendere che Togliatti sconfessasse questa architettura anche solo partendo dal tassello ungherese, condannando l'invasione sovietica del '56, parlando come si è fatto "di occasione mancata", non tiene conto ne' della realpolitik ne' delle conseguenze che una simile azione avrebbe avuto, con l'Urss che avrebbe reagito con un'azione di destabilizzazione sull'Italia, alimentando elementi ben più settari, estremistici e irresponsabili, che già si agitavano dentro il Pci, come potrebbe aver fatto successivamente negli anni '70. Altre mi paiono le colpe di Togliatti, come aver censurato il dibattito su Stalin e il rapporto Kruscev e come aver creato una formula, "innovazione nella continuità", che si concretizzava nel voltare pagina senza realmente analizzare il passato, creando una doppiezza nei militanti e negli elettori le cui tracce si trovano ancora oggi. Questi sono solo alcuni degli aspetti di una storia che solo negli ultimi anni è uscita dalla storiografia di partito, che comunque rimane un riferimento importante, ma non più l'unico per un quadro sempre più completo e ancora da scoprire.

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