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martedì 8 agosto 2017

L'uso politico del "femminicidio"

La cultura emergenziale dei mass-media si dipana in una serie di contesti, uno di questi è quello del cosidetto femminicidio. Una serie di gravi episodi vengono eletti ad allarme sociale e convergono con le spinte antisistemiche del neototalitarismo. Secondo i dati del ministero degli interni nel 2016 in Italia sono state uccise 145 donne. Un dato in calo rispetto agli anni precedenti. Analizzando le più recenti sentenze giudiziarie sui casi di omicidi di donne si può calcolare che l'85% di omicidi è commesso da uomini e nel 55% dei casi da mariti, fidanzati o ex. L'incidenza di omicidi da parte di cittadini stranieri è del 25%. Alla luce di ciò si può dire che nel 2016 circa 45 fidanzati o mariti o ex italiani hanno ucciso le loro donne, pari allo 0,0001 della popolazione maschile italiana. Nonostante ciò, il cosidetto femminicidio, cioè il genocidio delle donne da parte degli uomini italiani è considerato un fatto assodato. Questo ci dice dell'egemonìa culturale del neofemminismo radicale, e più in generale dell'avanzata sul piano dell'egemonìa linguistica, prima ancora che culturale, di quel movimento antisistemico che, una volta preso atto dell'integrazione delle classi lavoratrici nel sistema capitalistico, ha puntato tutto sulla creazione di un nuovo blocco sociale fondato sui conflitti di genere, sulla non integrazione degli immigrati e sul revanscismo dei gay. La costruzione dell'uomo nuovo, passa attraverso il processo al maschio bianco occidentale. Questo movimento culturale, vuole farsi politico attraverso la messa in agenda di una serie di leggi che limitino la libertà d'espressione e d'opinione e creino una discriminazione di genere nel caso di delitti. La natura geopolitica di questo movimento è però più appieno data dalla sua totale indifferenza nei confronti della condizione delle donne e dei gay nei paesi non occidentali, dalla Russia alla Cina, ma in particolare nei paesi islamici.

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