Blog che si occupa di geopolitica, politica italiana, storia del comunismo, della sinistra italiana e osservatorio sui movimenti estremistici e sul nuovo antisemitismo
mercoledì 14 dicembre 2016
Regole, opinioni e la banda degli onesti
Gli italiani hanno qualche problema con le regole, che tendono a confondere con le proprie opinioni. Si prenda quello che sta succedendo in questi giorni, dove il parlamento e il governo vengono definiti illegittimi, chiamando in causa incautamente la costituzione, ridotta a brandello retorico mai letto. Si può essere dell'opinione che sia meglio andare a votare al più presto, io lo sono, ma non ha senso parlare di parlamento e governo illegittimo, ne' tanto meno farlo in nome della costituzione e della democrazia. Le regole che ci siamo democraticamente dati 70 anni fa, infatti, dicono che nella nostra repubblica una legislatura dura cinque anni e che finchè un governo ha la fiducia della maggioranza del parlamento e il presidente della repubblica non scioglie le camere, è legittimato a governare per tutta la durata della legislatura. E se il presidente del consiglio si dimette, il presidente della repubblica può incaricare un'altra persona a formare un governo, che passerà dal voto parlamentare. C'è chi confonde la costituzione con la democrazia diretta, c'è ci mischia violenza verbale rivoluzionarista con un legalitarismo a suo uso e consumo. l'onestà, tanto cara ai grillini, passa dal rispetto della legge, non attraverso i forconi.
Due note sulla propaganda russa
La propaganda russa parte sempre da un fatto storico vero, ma parziale, e da lì costruisce la sua menzogna. Per esempio si prende il giovane Bin Laden, che negli anni ‘80 combatte in Afghanistan contro l’Urss, e da lì s’inventa che Al Qaeda, nata un decennio dopo e in un contesto completamente mutato, è stata creata in laboratorio dagli Usa. Oppure si prende spunto da un gruppo di ribelli anti-Assad sostenuti dagli Usa, che in seguito si uniscono all’Isis e da lì si afferma che l’Isis è un’invenzione degli Usa. Internet, le bufale e i fake rendono virale ciò che un tempo era appannaggio di gruppuscoli politici settari.
giovedì 8 dicembre 2016
L'urlo del popolo
Renzi, è colpa tua e del tuo governo delle banche e della lobby ebraica se ci sono i poveri al mondo. Due anni fa stavamo tutti bene, poi sei arrivato tu, con il tuo umorismo toscano fuori moda, il tuo sorriso, il tuo ottimismo, la tua retorica del fare. Noi vogliamo solo qualcuno che ingrugnito ci indichi un capro espiatorio per la nostra infelicità, i nostri fallimenti, vogliamo uno che urli, con la bocca distorta in segno di disprezzo o spalancata nell'insulto, che ci dia 1000 euro al mese senza fare nulla, che ci ridia il nostro luminoso passato, la nostra Italia con il proporzionale, la spesa pubblica, la rivoluzione che faremo domani mattina alla macchinetta del caffè e il posto fisso.
martedì 6 dicembre 2016
Perde il partito della nazione, ma Renzi vince a sinistra
Ha vinto nettamente il No. Non è stato un No nel merito della riforma, ma un No volgarmente Politico, Un No esistenziale, un No d'odio, un No antigovernista, che rappresenta soprattutto una contestazione giovanile sterile e rabbiosa, che ci riporta agli anni '70, con Putin e Maduro al posto di Mao e Che Guevara, e un sud nichilista, fomentato dai caudilli locali, un nord spaventato dall'immigrazione. Il sì vince solo a Milano, in Emilia-Romagna, Toscana e stravince tra gli italiani all'estero, non a caso quelli che lasciano il paese proprio a causa del suo immobilismo e più aperti al cambiamento. Cervelli in fuga, ma qui si vota con la pancia. E' stato un No nostalgico, di chi rimpiange la prima Repubblica, la spesa, un No dei figli di chi viveva di clientelismi e favori politici e ora se ne trova privato, pensando che ora i politici pensano solo a mangiare senza spartire più la torta con loro. Un movimento anti-casta che vuole essere casta, con il redditto di cittadinanza da dare a 10 milioni di persone e uno Stato dirigista da restaurare. E' un No, sicuramente, privo di proposta, categorico, senza se e senza ma, disunito, vuoto, ma di sicuro con un vincitore: Beppe Grillo, gli altri sono accattoni che cercano di intestarsi la vittoria. Un No che però ora è privo del suo bersaglio, del suo pungiball preferito, che ha spiazzato tutti dimettendosi e gettando nel silenzio Beppe Grillo, che ha mandato avanti Di Maio e Di Battista, i quali hanno chiesto elezioni subito senza troppa convinzione. Ma è stato anche un No ideologico, di chi si immagina un popolo di costituzionalisti che vota No per difendere la costituzione repubblicana e antifascista dalla deriva autoritaria, addirittura un No contro il populismo per qualche professore bollito. Renzi, con il suo populismo soft e temperato in una solida cultura democratica e liberale, è l'ultimo argine contro il populismo vero e proprio, anche se sicuramente ha commesso anche lui un errore a indire questo referendum pensando di fare breccia in pezzi di elettorato di centrodestra e grillino, indulgendo in questa forma di democrazia diretta, che è sempre anticamera del totalitarismo. Ma d'altronde questo era il progetto del partito della nazione, allargare il perimetro della sinistra ad altri ceti ed elettorati, che si è infranto domenica. Eppure Renzi consolida il proprio voto proprio a sinistra, dove i soloni dicevano che era un intruso, un usurpatore. Il popolo del Pd vota in larga parte per il Sì e di fatto il segretario conferma il 40% delle europee da solo contro tutti, aumentando i voti assoluti, che ora superano i 13 milioni, cioè oltre la fatidica soglia storica della sinistra dei 12 milioni di voti e aumentando comunque di 15 punti percentuali il minimo storico del 2013 di Bersani. L'impressione è che chi ha votato Renzi nel 2014 lo abbia fatto con maggiore convinzione nel 2016, convincendo sia pezzi di sinistra storica, sia il centro ex montiano. Si va verso un bipolarismo Renzi contro Grillo con la destra sempre più a rimorchio di Grillo se dovesse prevalere l'ala salviniana o vittima delle ambivalenze di Berlusconi e una minoranza dem del tutto marginale, ridotta ad esultare scompostamente per la vittoria di Grillo al referendum, una burocrazia parassitaria indifferente agli ideali, priva di elettorato e sopravissuta a tutte le mutazioni storiche del partito solo per il potere. Infine, è un no che delinea un quadro geopolitico della nazione nuovo: Sud grillino, Nordest leghista, Milano, Toscana ed Emilia-Romagna (più italiani all'estero) renziano, Nordovest e resto del centro combattuto.
venerdì 25 novembre 2016
Grillo, chi lo sostiene è complice
La campagna referendaria, definita aberrante dal presidente Napolitano e nauseante da altri, ha effettivamente assunto questi toni. Non si può però ipocritamente dipingere uno scenario di insulti reciproci da una parte e dall'altra. E' evidente che la violenza verbale e gli insulti disgustosi sono unilaterali e arrivano dalla sola maleodorante bocca di Beppe Grillo. Una violenza verbale che non ha precedenti in Italia? Apparentemente no, anzi abbiamo assistito a periodi anche più violenti, per esempio negli anni '70, ma era un'Italia che era uscita solo tre decenni prima da una guerra civile ed era opera di minoranze, seppur corpose, con la dissociazione della maggioranza degli italiani, almeno in un secondo momento. La violenza di Beppe Grillo è invece pianificata a freddo, è frutto di una strategia di comunicazione studiata a tavolino, non è frutto di un conflitto sociale, di una guerra o di una situazione storica turbolenta. E' rabbia finta, figlia del cinismo. E' la violenza della satira, svuotata di contenuti e priva dell'indipendenza che la satira dovrebbe avere, messa al servizio di un partito neototalitario, travasata in politica e tracimata nelle istituzioni democratiche. E non è nemmeno minoritaria, ma gode del sostegno di milioni di italiani, perciò è per certi versi più pericolosa. Si tratta di violenza gratuita, in Italia non c'è nessuna dittatura e nonostante una dura crisi economica viviamo comunque in una economia avanzata dove la maggioranza degli italiani è proprietaria della casa in cui vive. Grillo non è certo un oppresso o un indigente e non lo sono i suoi sostenitori, la sua è la violenza del vigliacco che si nasconde dietro una tastiera, del ricco annoiato, dell'incompetente arrogante, dello studente viziato, del plebeo ottuso, del prepotente maleducato, dell'indignato fomentato, del nullafacente frustrato e inconcludente. E' da questo tessuto che Grillo attinge il suo consenso, certo da principio anche da cittadini perbene che reclamavano più onestà e ricambio della politica, ma ora dopo più di cinque anni dalla nascita del movimento 5 stelle non ci sono più scuse, chi lo sostiene ancora è complice.
giovedì 17 novembre 2016
Bufale
Il tema delle bufale è approdato sui telegiornali, dopo anni che imperversavano sui social media e su internet. Si tratta di un tema molto importante, strettamente correlato con il complottismo, quindi con l'antisemitismo e altri temi che su questo blog seguo da anni. I telegiornali però lo hanno incanalato nella dicotomia destra-sinistra. Le bufale sarebbero servite a far vincere Donald Trump e per questo ora bisognerebbe metterne un freno. Non per altro. Le bufale, invece, per chi le segue da anni, non servono a far vincere questo o quello candidato della destra, ma servono ad aumentare la divisione all'interno delle società occidentali, a polarizzare e radicalizzare le posizioni da una parte e dall'altra, aumentando rancori, l'acredine e la delegittimazione reciproca. La regia di questa opera di destabilizzazione si trova a Mosca.
venerdì 16 settembre 2016
L'11 settembre e la nascita del neocomplottismo
L'Undici settembre non è solo una data che ha cambiato la storia, ma segna anche la nascita del neocomplottismo contemporaneo. Se il secolo scorso era stato il secolo dei protocolli dei savi di Sion, che generarono l'olocausto, il nostro secolo è segnato da una nuova teoria del complotto che nega la natura islamica degli attentati dell'11 settembre (e di tutti gli altri) per addossare le colpe agli ebrei o agli americani stessi. Come nel caso dei protocolli dei savi di Sion, la matrice non è tanto culturale o economica, ma statuale e geopolitica: Come allora, è la Russia a diffondere attraverso la sua propaganda la leggenda nera. Il complottismo non è dunque un fenomeno da sottovalutare, ma è molto pericoloso, perchè è destabilizzante, e perchè il complottista è un individuo capace di accusare un soggetto di ogni nefandezza possibile senza nessuna prova o evidenza. Se la sua origine geopolitica è chiara (Russia e mondo islamico), gli aspetti su cui fa presa sono i più disparati. Ovviamente il principale è la necessità in molte persone nel trovare un capro espiatorio alle proprie frustrazioni e senso d'impotenza, quindi è chiaro che in un periodo in cui le cose vanno male molta più gente aderirà al complottismo. C'è poi la tendenza a ridurre tutto a motivazioni date da occulti interessi economici, ma non da ultimo il bisogno che hanno i conformisti di apparire come persone indipendenti che non credono alle verità ufficiali e istituzionali, affidandosi a verità alternative schematiche e manichee. La specificità del complottismo contemporaneo è il suo acutizzato nichilismo e il suo diramarsi alle diverse sfere della società. Non esisterebbe più solo un grande complotto giudaico, ma tanti complotti. Da parte dei complottisti non c'è solo la volontà di colpire il banchiere (ebreo) o l'intellettuale (ebreo), ma anche gli uomini di scienza, i medici, oltre che i politici, gli economisti, i giornalisti, in pratica tutto quel mondo delle professioni creato dalla modernità occidentale. In particolare è proprio la scienza e la medicina moderna il nuovo campo d'azione dei complottisti. Le teorie complottiste sui vaccini, sul cancro, minano alla base la civiltà e sono riconducibili ai canoni classici del complottismo, ci sarebbero gli interessi economici delle multinazionali farmaceutiche, i loro proprietari che sarebbero tutti ebrei, ma in fondo l'attacco alla scienza è l'obiettivo più naturale per un complottista, il cui pensiero è in quanto tale antiscientifico, non corrobato da nessuna prova o fatto, ma un enorme disegno i cui puntini vengono uniti arbitrariamente secondo uno schema prefissato.
mercoledì 7 settembre 2016
La biografia di Togliatti di Giorgio Bocca/ parte 2
La seconda storica accusa a Togliatti veniva da "sinistra", o per meglio dire dalle componenti utopistiche della sinistra: Togliatti avrebbe tradito la mitica rivoluzione, che sarebbe potuta avvenire sull'onda del movimento partigiano ed era in realtà un riformista (social)democratico? Nel suo libro Giorgio Bocca, da storico serio, liquida in poche battute come sciocchezze queste supposizioni, che pure hanno fatto da base alla retorica della Nuova Sinistra negli anni a venire, con tutte le lugubri conseguenze che ne vennero. Tutti sanno che non c'era la benchè minima possibilità di una rivoluzione proletaria in Italia al termine della guerra, i primi a saperlo erano i leaders dell'ala rivoluzionaria del partito, come Secchia, colti del tutto impreparati dal moto insurrezionale seguito all'attentato a Togliatti, ma non era certo solo una questione di preparazione, anche se è indicativo anche questo aspetto; una rivoluzione non avrebbe avuto nessun appoggio da parte dell'Unione Sovietica, ma nemmeno della stragrande maggioranza del popolo italiano e avrebbe aperto la strada ad avventure autoritarie in un senso o nell'altro. Nonostante ciò lo stesso Bocca non potè fare a meno di rimproverare a Togliatti di non aver usato a fondo il peso del movimento partigiano per spostare più a sinistra la composizione delle riforme costituzionali. Secondo il partigiano Bocca, Togliatti sottovalutava la forza del movimento resistenziale e da uomo di stato, cresciuto dove ci si chiedeva quante divisioni aveva il papa, non credeva che i partigiani potessero avere un'influenza vasta sulla popolazione e sulla politica, e forse li considerava anche un movimento di avventurieri e piantagrane. Lo stesso Bocca però deve ammettere che la vastità dell'amnistia ai fascisti non era responsabilità del guardasigilli Togliatti, ma di come il corpo della magistratura, composto da post fascisti, la interpretò. Anche la polemica anticlericale contro Togliatti, per lo stesso Bocca, è rabbiosa e sterile, in un paese profondamente cattolico parlare anche alle masse cattoliche era il compito necessario di un leader non settario e non elitario. Definire Togliatti una sorta di cattocomunista antelitteram è storicamente sbagliato, Togliatti concepiva il rapporto con il cattolicesimo in senso gramsciano e competitivo, rifiutava lo scontro frontale ed era anche convinto delle sue capacità di persuasione, ma alla fine con lo scoppio della guerra fredda dovette rivedere le sue convinzioni. Sul fatto di essere un riformista, probabilmente Togliatti era un comunista riformista, sicuramente era un democratico, anche se concepiva la democrazia in termini di unità di tutte le forze antifasciste e la sovranità popolare inquadrata nelle strutture di partito e nelle organizzazioni di massa, cosa però forse non diversamente concepibile all'epoca. Ma non era un socialdemocratico in senso contemporaneo, almeno non nel senso di liberalsocialista, non considerava perciò compatibile il capitalismo con la libertà e la democrazia, non avendo fatto in tempo a cogliere negli ultimi anni della sua vita le profonde trasformazioni della società dei consumi e la capacità di riformarsi in senso democratico del capitalismo.
sabato 3 settembre 2016
La strega Lorenzina
La folla inferocita si era già radunata, mancava solo il sacerdote Savianus, ma c'era il branco twitteratorio, con scribenti al seguito, ovviamente la setta dei savianesi, i talebanus laicus, gli anus orgogliosi, le donne che odiano le femmine, "al rogo", "fascista!", "mettiamola a testa in giù!", urlavano brandendo i mouse. E in mezzo lei, la strega Lorenzina, con un cartello al collo che recitava "puttana democristiana". L'accusa, aver sciolto delle pozioni della fertilità nel Rancio Quotidiano a cui tutti si abbeveravano dal cuoco Travaglius. "Vuole obbligarci ad avere figli!", "Offende le donne che non possono avere figli!" in un boame contradditorio e confuso, "Vuole ricostituire lo scudo con la croce!" dicevano i più politicizzati. "Fascista! Fascista!" ripetevano alcuni istericamente, e non c'era modo di fermarli. E lei da giorni ripeteva: "No, non era questa la mia intenzione, volevo fare solo prevenzione". "Perchè non ci dai le monete per fare figli, invece dei tuoi intrugli!" dissero gli hominus sindacali aumentando confusione a confusione. "Ma è stato un errore di comunicazione, spiegherò meglio la mia intenzione!" supplicava lei. "Balle, nei paesi civili le avrebbero già tagliato la testa" sentenziò qualcuno. Quando poi comparve il sacerdote Savianus, tutti trattennero il fiato, quale sarebbe stata la sua sentenza? Ditino indice alzato, voleva dire che la puttana democristiana avrebbe dovuto mandare a memoria cento suoi sermoni, ditino indice abbassato, partecipare con il capo cosparso di cenere alle trasmissioni della Setta, lì l'aspettavano i chierici Formichiglio e Floro Flores per metterla al pubblico ludibrio davanti a una platea di indignatodipendenti. Tutti sapevano che il sacerdote non l'amava, la Lorenzina si era opposta alla legalizzazione della sua erba magica, che Savianus voleva distribuire ai più giovani per renderli ancora più indignati e uguali l'uno all'altro. "Prima però - disse Savianus, tendendo ieraticamente la mano verso la folla adorante - vi leggerò il mio ultimo editoriale, ci vorranno solo sei ore."
venerdì 2 settembre 2016
La biografia di Togliatti di Giorgio Bocca/ parte 1
La biografia di Togliatti scritta da Giorgio Bocca ha cambiato per sempre la storiografia del comunismo italiano. Per la prima volta emersero in piena luce i contrasti interni al partito comunista, che non apparve più come un monolite granitico e ieratico. Emerse tutta la debolezza del centralismo democratico, quell'idea di dare un'immagine del partito ultraunitaria all'esterno s'infrangeva con l'immagine contradditoria, problematica e amletica che Bocca dava del partito e sopratutto del suo leader, rendendolo in questo modo molto più umano e accattivante. Dirigenti comunisti come Pajetta non lo capirono e reagirono aspramente stizziti alla pubblicazione del libro, che pure avevano largamente contribuito a scrivere rilasciando ampie confidenze all'autore in fase di stesura, che poi liquidarono come pettegolezzi, delegittimando Bocca con la tipica campagna di diffamazione ad personam alla maniera sovietica, che la sinistra italiana ancora oggi non ha abbandonato. Ma la realtà è che Togliatti era cordialmente detestato dai dirigenti comunisti filosovietici, pur non avendo nessuno di loro il carisma e la preparazione per mettere in discussione il suo potere. Eppure da questa ricca biografia basata - come detto - tantissimo sulle testimonianze orali dei diretti protagonisti, scritta a 10 anni dalla morte del Migliore, Togliatti ne esce alla fine bene, senza eroismi, con tutte le sfumature e le doppiezze, che spesso però altro non erano che il riflesso della dialettica interna. "Uomo dei tempi lunghi", mai di rottura, seppe gettare i semi del pensiero nazionale e democratico, seppur alla maniera guardinga e egemone verso le altre culture, in un partito ancora inconsapevolmente bordighiano e massimalista, amante dei riti ortodossi e delle romanticherie rivoluzionarie, ma sotto sotto consapevole di aver bisogno di un leader realista e preparato, tacitamente revisionista, senza mai rinnegare. Accusato da destra di essere un finto democratico e un agente dell'Unione Sovietica, da sinistra di aver tradito la rivoluzione e di essere un riformista (social)democratico, da destra e da sinistra di essere un sicario di Stalin, Palmiro Togliatti - secondo Bocca - non era nessuno dei tre. Era la sua linea dalla svolta di Salerno in poi una astuzia tattica per far abbassare la guardia agli anticomunisti e nel frattempo occupare le casematte dello stato? Così sicuramente la intendevano i colonelli Secchia e Longo, sicuramente Togliatti sapeva che la vera lotta per il potere si faceva nei gangli dello Stato e non con le lotte sindacali, ma la sua intenzione di affrancarsi dall'Unione Sovietica e di non tornare indietro dalla linea nazional-democratica è netta, e quando scoppia la guerra fredda e ritorna la paranoia staliniana, rifiuta di farsi coinvolgere, si oppone alla ricostituzione della terza internazionale sotto forma di cominform negandosi a Stalin, che lo voleva a capo della nuova struttura internazionalista, trovandosi solo nel partito, che decisamente più staliniano di lui, cercò di liquidarlo rimandandolo all'Est e acconsentendo quasi in blocco alla richiesta di Stalin. La solitudine dei numero uno, fortunata opera dei nostri giorni, si potrebbe riportare alla vicenda di Togliatti, che fu costretto a tornare in Urss accompagnato dalla fedele Nilde Iotti, ma solo per dire no a Stalin, deciso a rimanere segretario del partito comunista italiano e sopratutto a tornare e rimanere in Italia, fedele alla via nazionale al socialismo, contro il suo stesso partito. L'amarezza fu tanta, così come le cattiverie di chi imputava alla compagna Nilde Iotti il suo rifiuto al piccolo padre georgiano, ma anche la sua deriva antirivoluzionaria.
Governo ladro
Posso definirmi un renziano? Più che un renziano sono un anti-antirenziano, non sopporto gli antirenziani. Non parlo ovviamente delle critiche circonstanziate e argomentate a Renzi, alle sue idee e al suo governo (ma ce ne sono in giro?), ma a quella lagna antigovernista che si alza nel paese. Sei una capra millenial ignorante e incompetente e pensi che nel 2016 ti basti una laurea o un diploma che ti hanno tirato dietro per avere un lavoro da manager con stipendio e benefit incorporati, ma ti ritrovi a fare un lavoro precario? Colpa del governo e di Renzi! Sei una cariatide sessantottina che scambia la democrazia liberale per fascismo, ma è pronta a innamorarsi di qualunque dittatore tropicale o mediorientale e non ti capaciti della bancarotta storica delle tue idee? Colpa del governo e di Renzi che ha tradito i veri valori della sinistra! Sei un troglodita grillino che passa il tempo a smascherare complotti farmaceutici e delle multinazionali da dietro una tastiera? Colpa di Renzi e del suo governo servo delle lobby ebraiche! Sei un fiero fascista che vuole risollevare la patria vendendola a un colonnello del Kgb? Colpa di Renzi e delle sue sanzioni alla Russia! Ecco, finchè l'alternativa a Renzi è questa, mi tengo stretto Renzi.
domenica 17 luglio 2016
Il male esiste
In una società dove tutto è relativo risulta non solo impossibile, ma persino sconveniente pensare che esista il Male e ancor di più guardare il Male negli occhi. Succede che i social networks e i media in generale censurino le immagini e i video della strage di Nizza, mentre le autorità arrivano a voler imporre il rogo di tutti i filmati della strage. Dietro il perbenismo di non voler urtare la sensibilità dei parenti o l'ipocrisia di qualche strana strategìa del silenzio, c'è la ferrea volontà di non voler guardare in faccia la realtà, mentre si lasciano liberi i siti dell'Isis e del terrorismo palestinese di proliferare in rete. Immaginate se gli alleati e i sovietici dopo aver liberato i campi di sterminio, avessero censurato le immagini dei corpi scheletrici, delle fosse comuni, dei bambini morti, dei forni crematori, per non urtare la nostra sensibilità piccolo-borghese. Cosa penseremmo di loro? E che percezione avremmo del nazismo se non avessimo mai visto quelle immagini? Anche allora c'erano gli ipocriti e in Germania quelle immagini il pubblico le potè vedere solo negli anni '60. Forse tra 20 anni ci faranno vedere le immagini dell'11 settembre e di Nizza, ma potrebbe essere troppo tardi. Ma la strategìa degli occhi chiusi e degli struzzi va anche sul patetico quando i media diffondono l'idea del pazzo, depresso e isolato, lasciato dalla moglie, di quattro drogati sbandati, lo pseudosociologismo vagomarxista dell'emarginato, del povero o la retorica buonista del discriminato, ma l'unica follìa è non vedere l'esistenza di una lucida e razionale stategìa di morte alle spalle della quale c'è un'ideologia religiosa e politica, una vasta rete organizzativa e di complicità e un intero stato che si chiama Stato Islamico. Ma la sindrome di Stoccolma dell'Europa e dei suoi giornalisti sconfina nella stupidità quando si arriva a sbandierare il dato che il 10% dei jihadisti avrebbe problemi psichici, come dire che il 90% è perfettamente sano. Anche nel caso dell'eccidìo di Monaco di Baviera le dichiarazioni della polizia vanno prese con le pinze. E' la stessa polizia tedesca che ha occultato per giorni gli stupri e le violenze di capodanno contro le donne tedesche da parte di profughi e immigrati. Altro che Breivik e bullismo.
Le nostre società occidentali si basano sulla libertà, che è libertà di critica, siamo liberi di criticare il governo, lo stato, la polizia, la chiesa, siamo liberi di criticare Dio, come noi stessi, la nostra storia e la nostra identità e questo modo di vivere per i fondamentalisti islamici è inaccettabile, per questo ci odiano e ci vogliono sterminare e noi questo nostro modo di vivere dobbiamo assolutamente difendere. Ma questa nostra capacità non va confusa con un'autocritica che è odio di sè, masochismo, che porta a colpevolizzare noi stessi per ogni male del mondo e ancor di più per ogni atto di terrorismo. E in questo confine tra critica e masochismo che l'Islam ci invade. Eppure quando si tratta di criticare l'Islam o analizzare il male dall'altra parte il nostro cervello si spegne, diventiamo acritici. Un doppio meccanismo da una parte e dall'altra, un cortocircuito che l'Islam strumentalizza a suo vantaggio. Allora quando dopo la strage di Nizza sentiamo figure di cretini autorevoli come Gino Strada e sua figlia - strani figuri di "pacifisti" con la bava alla bocca e tracimanti odio per tutto ciò che è occidentale e al contrario caritatevolezza e comprensione per tutto ciò che è terrorismo e razzismo antioccidentale - affermare sui social network che decine di persone sono state maciullate, ma la colpa in realtà è nostra perchè abbiamo fatto la guerra, con una volgare e banale inversione dei processi di causa ed effetto, senza dire una parola sull'Islam, possiamo in nome della libertà considerare ciò un normale esercizio di libera critica o dobbiamo considerarlo uno strumento del terrore e del Male e fare in modo, per difendere la nostra libertà più ampia, che non gli sia permesso di diffondere il loro messaggio sui social e in rete, anzichè censurare la realtà? Cominciamo anche da questo.
Le nostre società occidentali si basano sulla libertà, che è libertà di critica, siamo liberi di criticare il governo, lo stato, la polizia, la chiesa, siamo liberi di criticare Dio, come noi stessi, la nostra storia e la nostra identità e questo modo di vivere per i fondamentalisti islamici è inaccettabile, per questo ci odiano e ci vogliono sterminare e noi questo nostro modo di vivere dobbiamo assolutamente difendere. Ma questa nostra capacità non va confusa con un'autocritica che è odio di sè, masochismo, che porta a colpevolizzare noi stessi per ogni male del mondo e ancor di più per ogni atto di terrorismo. E in questo confine tra critica e masochismo che l'Islam ci invade. Eppure quando si tratta di criticare l'Islam o analizzare il male dall'altra parte il nostro cervello si spegne, diventiamo acritici. Un doppio meccanismo da una parte e dall'altra, un cortocircuito che l'Islam strumentalizza a suo vantaggio. Allora quando dopo la strage di Nizza sentiamo figure di cretini autorevoli come Gino Strada e sua figlia - strani figuri di "pacifisti" con la bava alla bocca e tracimanti odio per tutto ciò che è occidentale e al contrario caritatevolezza e comprensione per tutto ciò che è terrorismo e razzismo antioccidentale - affermare sui social network che decine di persone sono state maciullate, ma la colpa in realtà è nostra perchè abbiamo fatto la guerra, con una volgare e banale inversione dei processi di causa ed effetto, senza dire una parola sull'Islam, possiamo in nome della libertà considerare ciò un normale esercizio di libera critica o dobbiamo considerarlo uno strumento del terrore e del Male e fare in modo, per difendere la nostra libertà più ampia, che non gli sia permesso di diffondere il loro messaggio sui social e in rete, anzichè censurare la realtà? Cominciamo anche da questo.
mercoledì 6 luglio 2016
Uccideteci
Una serie di autorevoli commissioni d'inchiesta e di pensosi pensatori ha trovato il peccato originale, la causa delle nostre disgrazie. L'Occidente si sente in colpa e ha bisogno del suo peccato originale e i dotti lo hanno trovato. La guerra in Iraq, e poco importa se Saddam ospitava sul suo territorio membri di Al Qaeda, minacciava atomicamente Israele (ma questo per molti europei è un merito), ora possiamo farci ammazzare, torturare, decapitare e morire felici.
lunedì 27 giugno 2016
Appunti di storia di un nazionalismo di sinistra/ parte 3
...In conclusione l'idea che le nazioni abbiano generato solo fascismo e guerre è un'idea storicamente falsa, le nazioni per milioni di persone hanno significato libertà e affrancamento dalle chiese e dagli imperi, democrazia e libertà, che solo nell'involucro degli stati nazionali hanno potuto affermarsi. L'Europa ha un senso se non pretende di imporsi sulle volontà popolari, se non diventa un organismo totalitario dove forze politiche e culturali minoritarie e respinte alle porte dei parlamenti dall'elettorato, trovano il modo di rientrare dalle finestre delle stanze della burocrazia imponendo i propri schemi, i propri linguaggi e le proprie decisioni sulla pelle dei popoli. Un'Europa che si priva degli stati nazionali è un'Europa che s'indebolisce da sola, l'Europa ha senso come unione delle forze nazionali e non come forza disgregante a tutto vantaggio delle chiese e dei nuovi imperi orientali. L'Europa deve guardarsi dai falsi amici, che la vorrebbero senza confini, quindi debole e sottomessa, e priva di autonomìe, mentre deve trarre una lezione dal messaggio della Brexit per cambiare. Un'Europa non-nazione, ma come melassa multiculturale, porta dritto al totalitarismo e alla tirannìa.
sabato 25 giugno 2016
Appunti di storia di un nazionalismo di sinistra/ parte 2
...Anche nel partito democratico di Renzi si riflette una doppia identità, da una parte l'aspirazione europeista, la determinazione di portare alle estreme conseguenze l'integrazione, dall'altra l'aderenza con l'interesse nazionale, che si rintraccia nel rifiuto di sottostare alle derive ambientaliste difendendo le industrie strategiche e rigettando referendum antinazionali come quello sulle trivelle, ma non solo, si rintraccia anche nel rifiuto della logica da guerra civile a bassa intensità, cara alla fazione antiberlusconista, e nel tema caro a Renzi della costruzione contro il "disfattismo". Il nazionalismo di sinistra di Renzi però non ha il coraggio di dire cose scomode sull'immigrazione, perchè rientra in gioco un altro elemento del renzismo, l'universalismo e il solidarismo cattolico. Anche un ispiratore del renzismo come Napolitano ha spesso parlato di patriottismo in termini positivi, contrapponendolo, non senza un certo schematismo, al nazionalismo di destra. Un atteggiamento però che non gli ha impedito di liquidare neoilluministicamente come tribalismi le identità nazionali dure a morire ed euroscettiche, e in generale anche per la sinistra renziana vale la sottovalutazione delle problematiche legate all'immigrazione. Un modo di porsi che ricorda la superficialità e la presunzione con cui il partito socialista rifiutò le ragioni del reducismo dopo la prima guerra mondiale, gettandolo nelle braccia del fascismo, o come la sinistra berlinguerian-pasoliniana non capì la nuova modernità e le nuove identità popolari, gettandole nelle braccia del berlusconismo. Ma le identità nazionali sono tutt'altro che morte, come il referendum della Brexit ha scoperchiato, e la sinistra, se non vorrà essere travolta, dovrà tornare a coniugare in senso moderno "internazionalismo" con il "nazionalismo".
giovedì 16 giugno 2016
Due nuovi opposti estremismi
Con una crisi economica di cui non si vede l'uscita dal tunnel, lo scenario sociale vede il (ri)emergere di schemi che sembravano ormai passati. Da una parte preme una sinistra che ha abbandonato gli aspetti più europei, occidentali e realisti del marxismo ed è ritornata ad una dimensione di utopismo totalizzante, malata di antiamericanismo e iniettata di imponenti dosi di qualunquismo, falsa indignazione e demagogia, fanatizzata da una classe di intellettuali borghesi rancorosi e invaghita dell'islamismo. Dall'altra riemerge una destra che fatica ad abbandonare il suo passato neofascista, legata ancora ad un'idea di Stato dirigista e innamorata degli autocrati. Due nuovi opposti estremismi che si alimentano tra loro in una serie di reazioni e controreazioni, ma uniti dall'odio per le istituzioni democratiche, per il riformismo, per l'America, il pensiero occidentale, il libero mercato e commercio, gli ebrei. Un terreno comune sul quale cresce il grillismo, vero e proprio trait d'union dei due estremismi. Il grillismo, infatti, mettendo sotto il tappeto l'unico vero punto di discordia delle due parti - l'immigrazione - riesce a fare il pieno da tutte e due, gonfiando a dismisura i consensi, almeno laddove non c'è una proposta riformista credibile. Ma quando c'è - come a Milano - il grillismo si sgonfia, ma la situazione non è meno problematica, perchè i due estremismi allora vanno a condizionare direttamente i due poli moderati, cercando di ingabbiarli. Così per vincere Sala ha bisogno del voto filoislamico e alternativista, mentre Parisi deve prendere i voti da un leghismo al cui interno si muovono culture complottiste ed esponenti neofascisti (anche se sarebbe sciocco ridurre il movimento padano e quello che rappresenta solo ad un partito di estrema destra) e dai postfascisti di Fratelli d'Italia. Sala, di fatto, è già incastrato, per la narrazione dominante se vince al ballottaggio sarà merito della generosa mobilitazione della sinistra antirenziana in suo soccorso, se perde sarà colpa della sua eccessiva vicinanza a Renzi. Difficile dire il potere di condizionamento della destra autarchica nei confronti del socialista riformista Parisi.
mercoledì 15 giugno 2016
Ne' marxisti ne' liberali
Hanno abbandonato il comunismo, ma rifiutano di diventare socialdemocratici, riformisti o liberali, preferendo galleggiare in una melassa catto-ambiental-terzomondista. Hanno sostituito la classe operaia e il popolo con uno schizofrenico mosaico senza capo ne' coda di "gay", "donne", "migranti", "mussulmani", tutti incanalati in una nuova stagione dei "diritti civili", che appare invece sempre più non come una estensione di diritti individuali, ma come una nascente dittatura neoclassista dei bisogni. Un nuovo totalitarismo fatto non più di categorie sociali, ma di genere, razziali e religiose. La loro trincea è una strenua difesa dello status quo, la costituzione non si tocca, il mercato del lavoro non si tocca, il sistema previdenziale non si tocca, la Giustizia non si tocca, le grandi opere non si fanno e le industrie strategiche vanno smantellate e così via, tutto deve rimanere così com'è. Questo è quanto si raccoglie poi sul piano politico nella autoproclamata Sinistra Italiana, formazione che unisce i fuoriusciti da Rifondazione comunista con i fuoriusciti dal Pd, che alle ultime amministrative ha toccato vette come il 4% a Roma e il 3% a Milano e Torino. Ma nonostante tutto non vanno sottovalutati perchè godono di un'esposizione mediatica potentissima e riescono a mantenere il controllo di ampi pezzi del mondo della cultura, della scuola e delle università, dell'informazione, dello spettacolo, delle arti e della satira, oltrechè del Pd, che Renzi non controlla. Il loro obbiettivo politico è appunto quello di bloccare ogni tentativo di riforma del Paese, ma senza avere nessun progetto alternativo di società o proposta concreta differente che non sia un programma economico fatto di tasse, spesa e Stato. Sono portatori di un'idea manichea di destra e sinistra, per loro la destra è ancora il male assoluto, ma la loro battaglia è in realtà sempre contro il Pd renziano, cosa comunque che non gli impedisce di cercare accordicchi con esso in vista di elezioni, per ottenere posticini in parlamento, consigli comunali e prebende. Allo stesso tempo anche il Pd per loro è destra, secondo uno schema già visto: rieccheggia la teoria della socialdemocrazia come socialfascismo di Bordiga, ripresa poi da Stalin, ma anche le tesi moralistiche dell'ultimo Berlinguer sul Psi di destra o la tesi delle due destre di Bertinotti su Ulivo e Centrodestra. Situazioni storiche che nella maggior parte dei casi si risolsero in un ritorno sui propri passi in un modo o nell'altro. I comunisti negli anni '30 cercarono l'unità antifascista, il Pds negli anni '90 fece proprie le tesi economiche e politiche del Psi, Bertinotti si rialleò con l'Ulivo nel 2006. Vicende storiche molto diverse tra loro e con vari aspetti, protagonisti e ideologie molto diverse, vicende tragiche negli anni '20-30, più farsesche negli anni seguenti, quando il nemico non era certo più il feroce nazifascismo. Nonostante ciò è facile prevedere cosa succederà in vista delle elezioni del 2018. Se il centrodestra si riunirà, "Sinistra Italiana" dirà ai propri elettori e militanti che bisogna allearsi con Renzi per sconfiggere l'uomo nero Salvini, tutto ciò dopo anni di insulti, scomuniche e fatwe contro l'attuale presidente del consiglio. Cosa farà il Pd? Tirerà l'ennesima scialuppa di salvataggio tradendo la propria vocazione maggioritaria? Se Renzi sarà ancora segretario e quindi avrà superato indenne lo scoglio del referendum costituzionale, la cosa è molto difficile, vorrebbe dire negare la propria identità, ridurre ad una barzelletta gli ultimi cinque anni. Renzi ha fatto una legge elettorale pensata proprio per evitare il veto dei piccoli partiti: premio di maggioranza alla lista e ballottaggio in caso nessuna lista raggiunga il 40%. E' chiaro che in caso di ballottaggio il premier dovrà chiedere il voto anche di "Sinistra italiana", ma potrà farlo rivolgendosi direttamente agli elettori bypassando la burocrazia del partitino.
martedì 7 giugno 2016
Ora Sala dev'essere se stesso
La vittoria di Sala al primo turno non era affatto una cosa scontata e a differenza di quanto credeva Renzi non era come tirare un rigore. Ci sono almeno due elementi che la rendevano impossibile. Il primo è che l'onda arancione di Pisapia a Milano si è esaurita da tempo, sopratutto nei quartieri popolari che il sindaco uscente in questi cinque anni ha completamente abbandonato a se stessi. E infatti Parisi ha vinto in diversi di questi compresa la rossa zona 9. E' stato quindi un grave errore da parte di Sala (malconsigliato) quello di presentarsi come il continuatore dell'opera di Pisapia, senza nessun elemento di discontinuità, anche perchè dall'altra parte gli ultrà radical-chic di Pisapia non lo hanno votato lo stesso rovesciandogli addosso la solita campagna staliniana ad personam, bollandolo come ciellino, dedestra, amico della Moratti e altre fatwa tribali simili. La solita sinistra schizofrenica che si esalta per la rinascita di Milano e sputa su quelli che l'hanno resa possibile (Expo, Sala, Moratti). Il secondo elemento che non rendeva affatto scontata la vittoria al primo turno è che l'elettorato di centrodestra a Milano non è mica scomparso, si era astenuto in massa nel 2011 con grande fortuna di Pisapia (che in realtà aveva preso gli stessi voti del precedente candidato di centrosinistra), ma ovviamente dandogli un candidato credibile come Parisi è stato rimotivato a tornare alle urne. Milano comunque risulta un laboratorio molto interessante, che dice che se Il Pd e Forza Italia presentano candidati credibili come Sala e Parisi i grillini possono tornare a occuparsi di scie chimiche e microchip sottocutanei, Salvini viene ridimensionato e la sinistra antirenziana non esiste nella realtà, ma solo nei talk-show e nei salotti (ma quest'ultimo dato vale per tutta l'Italia). Sala per vincere al ballottaggio deve quindi provare ad essere più se stesso, fare ovviamente l'opposto di quello che in queste ore gli dice Gad Lerner, uno che non ne ha mai azzeccata una nella vita, non parlare ai gruppetti, ma ai cittadini e poi dovrebbe dire qualcosa di meno ambiguo e superficiale su sicurezza e Islam, ma abbiamo visto come la candidatura dell'esponente dei fratelli mussulmani (che con la sinistra non c'entrano nulla) è qualcosa di molto potente anche a livello internazionale e le voci critiche e documentate all'interno del Pd sono state marginalizzate e isolate. Gli errori di comunicazione di Sala sono stati quindi due: Presentarsi come un Pisapia 2 e cercare di mettere in difficoltà Parisi sollevando i casi dei suoi candidati estremisti e antisemiti, quando è evidente a tutti che anche dalla parte di Sala non mancano candidati estremi e l'antisemitismo è oggi molto più presente a sinistra che a destra, come Parisi gli ha rimpallato con grande facilità.
giovedì 19 maggio 2016
Se ne va Marco Pannella
Se ne va Marco Pannella, sempre contro il potere, ma mai giustizialista. Sempre controcorrente, ma mai banalmente ribellista. Anticlericale quando non andava di moda esserlo, ha smesso di esserlo quando è diventata una moda. Tante le intuizioni geniali, sempre nel segno dell'anticonformismo, l'ultima - fantastica - la riabilitazione di Craxi. Non ha mai voluto raccogliere i frutti elettorali delle sue battaglie culturali, altri, più mediocri, lo hanno fatto.
venerdì 1 aprile 2016
Conflitto di civiltà, servono nuove strategie
Il conflitto tra occidente e Islam radicale che stiamo vivendo è molto diverso dal conflitto della guerra fredda. In quest'ultima si confrontavano due mondi che avevano molti punti di contatto, persino valori in comune e avevano combattuto una guerra insieme contro il nazismo. Il conflitto attuale è invece un conflitto di civiltà e sotto attacco sono le basi stesse della civiltà occidentale. Tra occidente e Urss invece vi era una competizione più che un conflitto, ambedue affermavano di essere modelli di democrazia e libertà. L'occidente vinse perchè nel proprio campo permise anche ai più strenui critici del proprio modello economico-sociale di esprimersi liberamente, mentre l'Urss al contrario perseguitava i dissidenti. Quando il bubbone dei dissidenti esplose, l'Urss perse la solidarietà internazionale e il prestigio che godeva anche in occidente, mentre il modello di libertà occidentale diventava sempre più attraente per i cittadini sovietici. Questo schema però non è ripetibile nell'attuale conflitto. L'Islam radicale disprezza la libertà, la democrazia, li considera disvalori, dei segni di debolezza dell'occidente, e se ne usa per ritorcerli contro la democrazia. Che fare dunque? Limitarsi a perseguire l'azione terroristica o perseguire anche la pre-dicazione fondamentalista, togliendo un pezzo di libertà per salvare l'intera libertà? La prima soluzione rischia di essere miope, perchè è nell'indottrinamento che si creano le basi del terrorismo.
giovedì 31 marzo 2016
Il razzismo equo e solidale
Il razzismo si è sempre accompagnato a una forte dose di bonario paternalismo. E' così anche oggi, quando il razzismo è equo, solidale, e si raccoglie sotto le vesti del politicamente corretto terzomondista. Concetti come democrazia, liberalismo, diritti delle donne, non sono adatti ai popoli mussulmani e del terzo mondo, ci viene spiegato dai militanti "antimperialisti", ogni tentativo di spodestare i tiranni è destinato a fallire perchè questi popoli-bambini hanno bisogno del dittatore che li guidi e ogni tentativo di cambiare la realtà deve essere per forza opera di un complotto internazionale dell'occidente, ogni tentativo di cambiare i costumi è imperialismo e ogni critica ai modelli sociali esistenti è razzismo, ci dicono i razzisti contemporanei. Poco importa se in Afghanistan negli anni '60 le donne andavano all'università, poco importa se in Iran negli anni '60 le donne giravano senza velo, la difesa dello status-quo è una prerogativa per i rivoluzionari occidentali, pronti a sommosse di piazza se un gay in occidente non può adottare un bambino, ma indifferenti se i gay in Iran e Palestina vengono condannati a morte.
venerdì 25 marzo 2016
La natura di sinistra dell'antisemitismo
In un precedente articolo ho affrontato il tema dell'elemento nazionalista nella sinistra e più in generale nei movimenti antifascisti, ora affronterò il tema degli elementi socialisti nei movimenti nazifascisti. Una storiografia schematicamente marxista ha sempre relegato il fascismo nell'ambito dei movimenti di destra o di estrema destra, negando che vi fossero elementi di sinistra nel fascismo. Nonostante ciò Mussolini era stato un esponente di spicco del partito Socialista prima di fondare i fasci e si dichiarò socialista e rivoluzionario fino ai suoi ultimi giorni. Anche Hitler definì il suo movimento nazional-socialista, ma questa storiografia ha sempre considerato totalmente nazionalisti questi movimenti, accollando in toto all'ideologia nazionalista i crimini e le responsabilità del totalitarismo e liquidando come propagandistiche e finzioni demagogiche le asserzioni, le misure e le spinte in senso socialista e sopratutto anticapitalista di questi movimenti. Queste tesi vennero riviste da Togliatti e Gramsci, che però non andarono oltre la definizione di fascismo come regime reazionario di massa e in seguito da Amendola, che parlò apertamente di fascismo rosso. Ma nonostante si trattasse di leaders comunisti importantissimi, a sinistra ha sempre prevalso l'idea del fascismo come movimento di destra in senso strettamente conservatore e filocapitalista, cosa che non era. Questa disconoscenza di un fatto storico dalla chiara evidenza, o che veniva ricondotto al massimo nel campo di quello che Marx definiva socialismo reazionario, non teneva conto del fatto che nella realtà il movimento anticapitalista ha sempre mischiato insieme elementi progressivi con elementi antimoderni e non vi era una chiara distinzione tra socialismo progressista e socialismo reazionario, che nel movimento reale, rispetto ai testi, convivevano insieme. Lo stesso odio antiebraico era inteso come un risvolto dell'anticapitalismo, perchè l'ebreo veniva sempre identificato come il banchiere, lo speculatore, il ricco che ingrassa sulle spalle del popolo e non solo il senza patria, il cosmopolita. Non a caso il leader socialdemocratico Bebel definì l'antisemitismo il socialismo degli imbecilli, definizione ripresa pare da Lenin. Non è nemmeno un caso che i primi negazionisti dell'olocausto fossero trotzkisti e bordighisti, che consideravano fascismo e antifascismo due facce della stessa medaglia capitalistica e perciò aborrivano la partecipazione dei comunisti al campo antifascista e negando lo sterminio degli ebrei volevano da un lato delegittimare l'intervento alleato, dall'altro l'immagine dell'esercito stalinista come liberatore e sopratutto stigmatizzare l'alleanza tra forze comuniste e liberali contro il fascismo, ma sopratutto riprendevano in mano l'odio verso gli ebrei come espressione superficiale, ma anche radicata, dell'anticapitalismo. L'intreccio tra antisemitismo e anticapitalismo ha quindi una radice profonda, che risale già all'800 e che fu già discussa a suo tempo, quando alcuni leaders socialisti e comunisti, come già detto, definirono l'antisemitismo il socialismo degli imbecilli, ma proprio per denunciare la natura ahiloro di sinistra dell'antisemitismo, ma dove anche la questione ebraica veniva liquidata come superstizione religiosa e l'antisemitismo si rivestiva anche di anticlericalismo e ateismo. Si tratta però di questioni su cui la sinistra non ha mai fatto realmente i conti o che ha cancellato col tempo e anche per questo oggi il dilagare dell'antisemitismo a sinistra si nasconde ancora dietro il paravento dell'antisionismo (cioè di una forma di antinazionalismo) o dell'anticlericalismo. Ma come si vede l'antisemitismo è stato già socialista, poi nazista, poi trotskista, ma anche stalinista - quando Stalin, dopo aver appoggiato la nascita di Israele diventò ferocemente antiisraeliano dal momento che il nascente stato ebraico rifiutò di sottomettersi all'Urss - ma sempre con un filo conduttore, che è quello dell'anticapitalismo. Oggi la sinistra rifiuta di ammettere che esista un antisemitismo di sinistra, o sarebbe meglio dire una natura di sinistra dell'antisemitismo, non ammette inoltre che i crimini del nazifascismo non siano da imputare solo al nazionalismo, ma anzi in misura maggiore agli elementi anticapitalistici del totalitarismo. Eppure si tratta di una sinistra che si presenta come moderna, anzi postmoderna, che ha condannato lo stalinismo (ma non il trotskismo), che ha abiurato il comunismo per dichiararsi riformista, ma anche post-comunista radicale, pacifista e non-violenta. In realtà si tratta di una sinistra che ha invece cancellato gli aspetti proprio meno piatti e più maturi del marxismo e delle culture affini, ma ha mantenuto l'odio per il mercato, per l'occidente e, non da ultimo, l'odio per gli ebrei. Alla natura universale della democrazia che Berlinguer coraggiosamente sancì sfidando il politburo sovietico, preferisce un terzomondismo che accetta le tirannìe e le dittature in nome di un relativismo multiculturale a senso unico, alla peculiarità dei popoli che Gramsci e Togliatti individuarono come strada maestra verso il socialismo, oppone un disprezzo antropologico verso il proprio popolo e un'esaltazione acritica di leaders e dei movimenti della sinistra di altri paesi, allo sviluppo delle forze produttive ha sostituito una decrescita primitivista, alla presa d'atto di ogni comunista che ha fatto l'esperienza storica del governo, da Lenin a Stalin, da Deng Xiaoping a Raul Castro, e cioè che senza mercato non c'è sviluppo e il socialismo sopravvive solo se è di mercato, ripropone un antimercatismo e un antiliberismo ideologico, alla battaglia contro la povertà preferisce la battaglia pauperista contro i ricchi. Non si tratta qui di rivalutare un marxismo, che può rivivere solo come ala sinistra del liberalismo, ma di capire come la sinistra postcomunista o neomarxista, ma anche quella pseudo riformista, ha fatto un passo regressivo e non progressivo, rifiutando di diventare liberale e ritornando massimalista e pseudoprogressista, quando in realtà reazionaria.
domenica 20 marzo 2016
Una cosa divertente della Trumpfobia
La cosa divertente della Trumpfobia, quel clima di isteria e terrore che dilaga tra i fighetti all'approssimarsi di una eventuale elezione a presidente degli Usa dell'imprenditore newyorchese Donald Trump, è che da quel poco che si intuisce dalla confusa linea politica del candidato repubblicano traspare che non sarebbe molto diversa da quella di Obama o da quella di Bernie Sanders. Sia il negro snob amato dai bianchi, sia l'immarcescibile socialista tronfio della sua quarantennale imbecille coerenza, sono per un disimpegno degli Usa in politica estera, e lo stesso sembra proporre il miliardario amato dagli operai, che lascerebbe campo libero a Putin come ha fatto il fratello mussulmano e come farebbe il compagno Bernie. Tutti e tre sono facce diverse del neo-isolazionismo che sembrava essere stato sepolto dall'interventismo antifascista di Roosvelt, che liberò l'Europa dal nazifascismo, e dei Bush, che liberarono l'Iraq dal regime islamico-nazista di Saddam Hussein, che Trump invece sembrerebbe ammirare. Ma il neo-isolazionismo ha scavato a lungo e trae le sue origini dalla storiografia "revisionista" che alla fine degli anni '60 prese piede nei campus statiunitensi e che diede linfa alle battaglie pacifiste contro l'intervento americano in Vietnam. Questa storiografia, di cui Noam Chomsky era uno dei più noti esponenti, attaccò duramente l'intervento degli Stati Uniti nella seconda guerra mondiale, e fu da più parti accusata di essere una quinta colonna del totalitarismo in America. In effetti, questi storici accusavano gli Usa di essere entrati in guerra per motivi unicamente economico-imperialisti (le stesse argomentazioni dei pacifisti contemporanei) e equiparavano gli Usa alla Germania nazista o all'Urss. Ma questa apparente equidistanza creava un meccanismo di giustificazione dei totalitarismi - più coerenti e veri - e di repellenza verso gli Usa - ipocriti e finti - secondo la legge che l'originale è meglio della fotocopia. Alla luce di ciò, la differenza tra Trump, Obama e Sanders, appare quindi puramente antropologica, quasi estetica, ma l'unica differenza sostanziale sembrerebbe sul tema dell'immigrazione, contrario il primo, favorevoli i secondi. Il fenomeno Donald Trump sarebbe dunque un fenomeno epocale che esula dalle questioni politiche, di destra o di sinistra, ma che ci dice che la gente si è rotta i coglioni di farsi dare dei razzisti da benpensanti politicamente corretti solo perchè osa dire che gli immigrati sono troppi, si è rotta i coglioni di farsi dare degli omofobi solo perchè è contraria alle adozioni gay, si è rotta i coglioni di farsi dare dei sessisti solo perchè dice che maschi e femmine non sono la stessa cosa. In generale la gente si è rotta i coglioni e le elites prenderanno l'ennesima tranvata sui denti in cabina elettorale.
Elogio dei muri
Non mi ha mai convinto la retorica del dobbiamo abbattere i muri e costruire i ponti. Per questo vorrei scrivere un elogio dei muri. Un muro è qualcosa di solido, servono competenze e manualità per costruirlo, serve a ripararsi dal freddo ed è il primo bastione della libertà individuale. Un muro crea uno spazio, è perciò un simbolo di libertà, che è quella cosa che finisce dove inizia la libertà dell'altro, quindi è delimitata da un confine, non esiste libertà senza confini. Il muro è il primo segno della civiltà rispetto al primitivismo, al nomadismo. La grande muraglia cinese proteggeva la Cina dalle incursioni dei mongoli e delle tribù nomadi, le mura hanno sempre protetto le comunità e le famiglie dalle incursioni dei barbari. Nel '900 il Muro di Berlino garantì 40 anni di pace all'Europa e ancora oggi è rimpianto a Ovest come a Est. Il muro che divide Israele dalla Palestina mussulmana è servito a salvare migliaia di vite umane dal feroce terrorismo palestinese, il muro che divide il Messico dagli Stati Uniti serve a proteggere il grande paese americano da un'immigrazione selvaggia e incontrollata, oltre che illusoria prima di tutto verso gli immigrati. L'Italia è sempre stata protetta a Nord dalle Alpi, ma è scoperta a Sud, per questo propongo la costruzione di un grande muro lungo tutta la dorsale mediterranea. Sarebbe un grande segno di civiltà, costruiamo la fortezza Europa, è in ballo la nostra libertà.
Sì triv
I nemici dell'Italia e del popolo italiano ci riprovano. Dopo aver privato la nostra nazione dell'energia nucleare (salvo esultare se il regime teocratico iraniano può dotarsene per preparare un altro olocausto), dopo aver cercato di privarci dei magnifici F-35, pensando magari di costruire coi soldi "risparmiati" delle inutili scuole dove maestrine terzomondiste-pseudopacifiste rimbecilliscono i nostri giovani rendendoli degli automi omologati, ora vogliono privarci del Gas naturale con un inutile referendum contro le stupende trivellazioni dei nostri mari, che ci garantiscono case riscaldate con le nostre moderne caldaie al metano e fornelli accesi per cibi sempre caldi, mandando sul lastrico 6000 famiglie operaie che lavorano nel settore. Si presume che gli pseudoambientalisti accendano i fornelli sfregando due legnetti e si riscaldano bruciando della legna raccolta a casaccio non si sa dove, visto che vivono tutti in città. Come al solito, dietro queste iniziative che si propongono nobili fini (la pace nel mondo, salvare la terra e i delfini, sfamare i poveri del mondo), e che potrebbero apparire surreali come effettivamente sono, c'è chi tira i fili per meschine strumentalizzazioni politiche e giochini di potere nel tentativo di prendersi rivincite politiche e riprendersi poltrone ormai perse per sempre.
Il mio appello è quindi di votare No al Referendum del 17 aprile, o ancora meglio di disertare le urne facendolo fallire, anche per evitare l'innescarsi di una ennesima e dannosa stagione dei referendum, come già nel 2011. I referendum, si sa, vanno somministrati a piccole dosi e hanno senso se riguardano questioni costituzionali, come quello che si terrà a novembre, o su cui tutti sono direttamente coinvolti e hanno gli strumenti per decidere. Altrimenti, come è sempre accaduto, servono solo a scatenare il delirio di onnipotenza nel Cretino Collettivo, che crede di poter decidere e deliberare su tutto e tutti, creano un clima di isteria, guerre di religione e manicheismi in questioni che hanno per lo più un significato tecnico e neutrale, inoltre alimentano il mito della democrazia diretta, che già nel secolo scorso ha creato mostri totalitari facendo scorrere fiumi di sangue e che solo degli ignoranti esaltati possono riproporre nel ventunesimo secolo.
Il mio appello è quindi di votare No al Referendum del 17 aprile, o ancora meglio di disertare le urne facendolo fallire, anche per evitare l'innescarsi di una ennesima e dannosa stagione dei referendum, come già nel 2011. I referendum, si sa, vanno somministrati a piccole dosi e hanno senso se riguardano questioni costituzionali, come quello che si terrà a novembre, o su cui tutti sono direttamente coinvolti e hanno gli strumenti per decidere. Altrimenti, come è sempre accaduto, servono solo a scatenare il delirio di onnipotenza nel Cretino Collettivo, che crede di poter decidere e deliberare su tutto e tutti, creano un clima di isteria, guerre di religione e manicheismi in questioni che hanno per lo più un significato tecnico e neutrale, inoltre alimentano il mito della democrazia diretta, che già nel secolo scorso ha creato mostri totalitari facendo scorrere fiumi di sangue e che solo degli ignoranti esaltati possono riproporre nel ventunesimo secolo.
venerdì 18 marzo 2016
Appunti di storia di un nazionalismo di sinistra/ parte 1
L'elemento nazionale è sempre stato fondamentale nel marxismo novecentesco, ma è con Gramsci che diventa preponderante. Per l'intellettuale sardo il partito comunista doveva completare l'opera risorgimentale, l'identità nazionale è un fatto concreto e non sovrastrutturale e la costruzione dell'egemonia culturale comunista poteva passare solo attraverso la solidificazione di una cultura nazional-popolare. Ma è un errore pensare che lo stesso pensiero di Marx fosse antinazionale. Per Marx la classe operaia non ha patria, ma non per scelta, ma perchè ne è esclusa, e obbiettivo è edificare una patria socialista, ma più la classe operaia ottiene diritti civili negli stati borghesi, più la previsione di Marx di una proletarizzazione della società si rivela sbagliata e più nei paesi occidentali gli operai diventano nazionalisti già nello stato borghese. La prima guerra mondiale non è nemmeno la fase suprema del capitalismo come pensava Lenin, ma anzi, ad eccezione della Russia, la rivoluzione mondialista subisce un ulteriore battuta d'arresto e prevale un nazionalismo di tipo nuovo, il fascismo. L'antifascismo allora riprende vigore solo quando diventa patriottismo di sinistra, quando appunto il pensiero "nazional-comunista" di Gramsci (da non confondere con l'odierno nazional-bolscevismo o rossobrunismo) emerge insieme al patriottismo di Giustizia e Libertà e del partito d'azione, rispetto al bordighismo e al Trotskysmo. La svolta di Salerno operata da Togliatti, dove la guerra partigiana accantona la rivoluzione proletaria e si riforma come guerra patriottica, lascia di stucco l'ala più filo-sovietica del partito, che corrisponde sopratutto all'ala giovanile di Secchia e Longo, ma è concordata da Togliatti con Stalin in persona, che però la considerava un'astuzia tattica e temporanea per ingannare le opinioni pubbliche occidentali, ma Togliatti rende strategica e porta alle sue più coerenti conseguenze nazionali e democratiche, nei limiti di un leader comunista di quei anni. A questo punto, dopo la seconda guerra mondiale, è la classe operaia a raccogliere la bandiera nazionale, gettata da una borghesia sempre più cosmopolita. In Italia il Partito comunista continua a muoversi in questa doppia identità, fedeltà internazionalista all'Unione Sovietica, ma sempre più forte aspirazione di farsi partito nazionale e della nazione, rispetto a una Democrazia Cristiana che in quanto espressione del Vaticano non assolve pienamente ad una funzione nazionale. La "svolta" nazionalista rimane però indigesta ad ampi strati della base e della burocrazia comunista, che rimangono legate ad una visione scolastica del marxismo, e con il '68 assistiamo ad una regressione del pensiero comunista e ad un ritorno di derive massimalistiche e ribellistiche, influenzate anche all'emergere di un cattolicesimo di estrema sinistra. La gioventù occidentale sostiene acriticamente i movimenti anticolonialisti in nome di un ritrovato internazionalismo, ma questi movimenti anticolonialisti sono fortemente nazionalistici, quando altrove religiosi, in un prepotente ritorno della geopolitica e la gioventù occidentale assolve quindi al ruolo di utili idioti. Il Partito comunista italiano si barcamena tra la severa condanna di queste derive, ben espressa da Amendola che coniò il termine di fascismo rosso in merito ai movimenti sessantottini, e il cinguettare con questi movimenti proposto da Ingrao e dall'ala giovanile del partito guidata tra gli altri da D'alema. In un contesto completamente mutato, con la caduta dell'Unione Sovietica e la fine del Partito comunista italiano, che a differenza di quanto detto da più parti non trova nessuna continuità nei nuovi partiti della sinistra, l'idea ingraiana (ma in parte anche dell'ultimo Berlinguer) di un'alleanza con le forze estremistiche della sinistra diventa egemone nella storia della seconda repubblica. Nasce così l'Ulivo, un centrosinistra con una sinistra egemone verso il centro, ma a sua volta succube dell'estrema sinistra. Per uscire da questa impasse nasce allora il Partito Democratico, autonomo dall'estrema sinistra e fortemente rivolto verso il centro, ma sopratutto ritorna in auge l'idea togliattiana di partito della nazione. (Continua)
mercoledì 16 marzo 2016
Il poco credibile D'alema
Massimo D'alema si presenta come il difensore della tradizione comunista-togliattiana contro l'usurpatore Matteo Renzi. Come il fondatore del Pd spodestato dal corpo estraneo, sempre lui, Renzi. Ma la posizione di D'alema ricorda più quella di Pietro Secchia, il potente capo dell'organizzazione comunista, che negli anni '50 si oppose all'idea del segretario Togliatti di estendere la base sociale del partito operaio alla media borghesia dei professionisti, degli intellettuali e financo dei piccoli imprenditori. Oggi, che la base del partito è invece fatta di professionisti, intellettuali o presunti tali, e dipendenti pubblici, il tentativo di Renzi di (ri)allargarla ai ceti produttivi, operai e borghesi, risulta più marxista, in un contesto dove il conflitto capitale-lavoro ha perso ragion d'essere, della difesa conservatrice del proprio recinto del baffino prodiano. Forti sono anche le analogie con il tentativo di Pietro Secchia di intercedere presso le sedi internazionali del comunismo, e nella fattispecie presso Stalin, per fermare il progetto di Togliatti, con il tentativo di D'alema in Europa di agire presso i think thank socialisti per escludere Renzi dall'Internazionale Socialista. Ma D'alema risulta poco credibile anche dal punto di vista di fondatore usurpato del Pd, sono rintracciabili in rete le sue dichiarazioni contro la fondazione del Pd, creatura invece fortemente voluta da Veltroni, e in difesa del mantenimento del Pds da parte del passeggiatore con i capi di Hezbollah.
sabato 27 febbraio 2016
Non siamo tutti uguali
La legge Cirinnà deve essere una buona legge, indipendentemente dal fatto che la firmataria è la stessa che vorrebbe imporre un menu vegano a tutti i bar e ristoranti d'Italia. Lo si intuisce dagli strepitii, dagli insulti e le minacce che arrivano dagli estremisti di una parte e dell'altra. Lobbisti che vorrebbero che il paese fosse a loro immagine e somiglianza, movimentisti che vorrebbero sostituire le piazze intolleranti al parlamento, odiatori frustrati da Twitter, grulli del vaffa, tutti accomunati dal non accettare il fondamento della politica e del lavoro parlamentare, il compromesso, a cui vorrebbero sostituire la guerra di religione, come quei pseudolaici che volevano fare di una questione etica e di coscienza una bandiera identitaria, riducendo la destra, ma sopratutto la sinistra, a due sette religiose. E' una vicenda dove c'è stata molta confusione, dove i desideri sono stati scambiati per diritti, gli interessi di minoranze organizzate per diritti individuali, ma non reggono nemmeno le dicotomie sinistra-destra o laicicivilievoluti-cattolicioscurantisticavernicoli. Non solo perchè ci sono cattolici che hanno preso posizione a favore delle adozioni omossessuali e atei convinti che si sono espressi a sfavore, ma anche perchè gli episodi di inciviltà e intolleranza hanno riguardato maggiormente il fronte dirittista. Questo perchè, a dispetto della rivestitura che è stata data a questa battaglia - che ha assunto ben presto i toni della crociata - che è la rivestitura dei diritti civili, ci troviamo invece di fronte all'idea illiberale che ogni condizione vada estesa a tutti, in una logica omologante, uniformante e livellante. Per cui si pretende di abolire ogni diversità, si vuole equiparare l'unione tra un uomo e una donna con l'unione di una coppia dello stesso sesso, e se è vero che quest'ultima ha diritto al riconoscimento e a tutele come la riversibilità della pensione, è evidente che non ci troviamo di fronte alla stessa cosa e con le stesse caratteristiche, a cominciare dalla possibilità di avere figli, al quale solo con la barbarie incivile dell'utero in affitto si può ovviare.
lunedì 1 febbraio 2016
Cossutta ultimo baluardo comunista, parte seconda
Cossutta vide lucidamente come nella mozione 1 del congresso della bolognina che sancì la fine del Pci, non c'era una reale autocritica della storia del comunismo, ma un'operazione opportunistica e trasformistica di chi voleva cambiare formalmente nome e simbolo al partito solo perchè capiva che il vento era cambiato, oltre che perchè per accedere al governo del paese era necessario farlo. Paradossalmente il vecchio comunista, bollato come "ortodosso" e "conservatore", invitava invece ad una profonda revisione, autocritica e rinnovamento, ma senza cambiare il nome e il simbolo, senza perdere gli ideali comunisti. In questo riecheggiava la posizione originale di Togliatti rispetto al xx congresso del Pcus, quando difese Stalin dalle critiche opportunistiche invitando invece ad una seria riflessione su tutto il sistema sovietico. Cossutta vide come il partito stava perdendo la sua base elettorale popolare, e non certo perchè l'Unione Sovietica aveva represso Solidarnosc o perchè era intervenuta in Afghanistan, ma perchè non interpretava più le istanze popolari. Lui stesso però mise le basi per l'alienazione della rifondazione comunista da un elettorato di massa, quando analizzò il fenomeno dell'immigrazione non su basi marxiste, ma con la retorica "anti-eurocentrica" e terzomondista, cadendo per primo nel cortocircuito di sposare le tesi pro-immigrazione della Confindustria e del Vaticano. Inoltre non capì il conflitto tra il pubblico e privato, schierandosi acriticamente per il pubblico, anche quando questo era deformazione burocratica. Infine perseverò nell'errore di scambiare la guerra dei palestinesi come una guerra patriottica e nazionalistica e non per quello che era, una guerra fondamentalista e antisemita di religione, e in generale sottovalutò il tema dell'Islam radicale. Questi tre elementi formano il paradosso della rifondazione comunista, che mentre cercava di combattere la liquidazione del comunismo da parte di Occhetto e D'alema, metteva in piedi una Rifondazione Comunista che smarriva le basi dell'analisi marxista; mentre criticava il vecchio partito di non interpretare più le istanze popolari, commetteva lo stesso errore nei tre temi sopracitati. La storia ha poi confermato questi errori teorici.
giovedì 28 gennaio 2016
Il libero Iran e il regime di Renzi
Sbavare per tornare a fare affari con l'Iran e coprire le nostre opere d'arte non vuol dire avere una politica estera. Ma si può fare di peggio, come fece Berlusconi con Gheddafi anni fa o come hanno rigirato la frittata in queste ore Libero, il tg4, Porta a Porta e Vittorio Sgarbi, che hanno negato che qualsivoglia richiesta fosse arrivata dal dittatore iraniano, dipinto come un autorevole ospite che mai si sognerebbe di imporre alcunchè, proveniente da un "grande paese", dove le donne e gli omosessuali sono liberi e c'è democrazia, a differenza dell'oscuro regime di Renzi, evidentemente.
martedì 26 gennaio 2016
C'è una contraddizione tra sinistra e terzomondismo?
C'è un conflitto tra l'ideologia terzomondista e il femminismo? E più in generale, c'è un conflitto tra l'ideologia terzomondista e la stessa sinistra? L'idea che la sinistra debba parteggiare sempre e comunque con i paesi del terzo mondo, accogliendo acriticamente anche ogni aspetto delle loro culture, anche quando queste calpestano i diritti delle donne, sono reazionarie, antimoderne, razziste, omofobe, non va contro l'idea stessa di sinistra? Ci sono più punti di contatto tra il terzomondismo e la sinistra o tra il terzomondismo e l'idea mussoliniana delle nazioni proletarie? La contraddizione è esplosa in questi giorni, con i noti fatti di Colonia e di tante città europee, allorquando di fronte ad un'aggressione organizzata e premeditata da parte di migliaia di mussulmani provenienti dal NordAfrica e dai paesi arabi nei confronti delle donne occidentali, alcune femministe e l'estrema sinistra hanno dato la colpa al.. maschio, bianco e occidentale. Pare incredibile, ma si è riusciti a relativizzare in maniera grottesca un fenomeno premeditato, sociale e motivato da pregiudizio razziale, mentre si definisce impropriamente come femminicidio, cioè genocidio, ogni caso di omicidio commesso in Italia, nonostante le statistiche dicano che in Italia gli omicidi da parte di ex mariti e fidanzati siano in diminuzione e siano in numero minore che in altri paesi non cattolici. Lo stesso tipo però di rapporto e di subordinazione lo si vede tra la lotta per i diritti degli omosessuali e il terzomondismo. Per la sinistra radicale e le associazioni gay la battaglia per i diritti civili delle coppie gay vale finchè non entra in contraddizione con il terzomondismo, alla quale pare subordinata. Basti vedere come la visita in Italia del premier dell'Iran - un paese che impicca i gay in quanto tali e opprime le donne - non è stata accompagnata da nessun tipo di protesta, mentre verso chiunque si esprima semplicemente in difesa della famiglia tradizionale si rivolge un odio fanatico e viscerale. Perchè tanta ipocrisia? L'impressione è che le donne e i gay siano strumentalizzati da fini politici che con i diritti civili c'entrano ben poco.
martedì 12 gennaio 2016
Populisti ovunque
A differenza di Benedetto Croce, che considerava il fascismo una parentesi superficiale nella storia d'Italia, un qualcosa che non aveva realmente attecchito nell'humus degli italiani, che vi avevano aderito senza reale convinzione, ma per paura del pericolo rosso, la maggior parte dei leaders della resistenza e dei fondatori della repubblica definì il fascismo invece come un fenomeno di massa profondamente entrato nelle viscere dei popoli italiani. Questa convinzione ha portato ad una doppia soluzione. Da un lato, in alcuni casi e per certi aspetti, rari a dire il vero, una (auto)critica del minoritarismo, dell'autoreferenzialità, dell'elitarismo, ma dall'altro lato anche la profonda convinzione che la sovranità popolare porti inevitabilmente al plebiscitarismo e vada riequilibrata con poteri costituzionali, legislativi e giudiziari molto forti, talora più forti dell'esecutivo, così come è seguito l'immediato sospetto verso qualunque leader che abbia avuto un largo seguito popolare, considerato un possibile nuovo duce. Da qui l'ossessiva critica ai populismi, ai plebiscitarismi, all'uomo solo al comando, anche nella sua forma più o meno accettata di "populismo soft" renziano. E' la sclerotizzazione del costituzionalismo e dell'antifascismo, figlie anche di quel razzismo antropologico che le "elites culturali" esprimono verso il popolo. L'accusa di populismo si rivolge così praticamente a tutti i movimenti politici. E' populista Forza Italia, la Lega, il Movimento 5 stelle e persino il primo Renzi rottamatore. Nessuno si salva, tranne le mitiche forze progressiste. Ma più l'accusa di populismo viene mossa, più la popolarità dei "populisti" sale. Sarebbe invece meglio sottolineare la deriva neototalitaria della democrazia diretta grillina, il comunitarismo coniugato in salsa putiniana di Lega e parte di Forza Italia, l'incompetenza ancora dei grillini e la loro retorica fatta di decrescita economica, avventurismo utopista e deliri antioccidentali, tutti argomenti che passano in secondo piano, coperti dall'accusa controproducente di populismo.
domenica 3 gennaio 2016
La favola di Saddam Hussein laico e l'Italia filo-Putin
Uno dei fenomeni più significativi degli ultimi anni, ignorato dai commentatori, è la convergenza tra forze di destra, di sinistra e di varia provenienza nel campo geopolitico su posizioni filo-russe. E' vero che è sempre esistito un antiamericanismo sia di destra che di sinistra, ma mai era successo che questi due poli venissero attratti e riorganizzati da un unico centro di potere con base a Mosca e di fatto riunificati in una piattaforma di opinioni e tendenze convergenti. Indubbiamente in questo hanno influito anche gli errori dell'amministrazione Usa e della sinistra liberal che con le sue scelte ha fatto di Putin quello che in realtà non è: a seconda dei casi e della platea un baluardo contro la colonizzazione islamica o un uomo di pace o un "antimperialista". E' poi anche indubbio che in chiave antiIsis l'occidente con Putin dovrà parlare e forse anche allearsi. Ma sul piano delle sintonìe culturali appare interessante come la convergenza appare sempre più organica, meno esplicita in Italia, ma già operativa in Grecia con l'alleanza in chiave filo-russa tra Tsipras e nazionalisti di destra. Chiaramente anche le motivazioni storiche sono importanti, caduta l'Unione Sovietica, molte forze di estrema destra hanno abbandonato il filoamericanismo tattico per tornare al loro congenito antiamericanismo. Che invece forze di sinistra facciano gli interessi di Putin ritorna più alla categoria che Lenin chiamava degli "utili idioti", a un pigro riflesso da guerra fredda o all'antiamericanismo complottista sessantottino a senso unico. C'è poi il caso sui generis di Forza Italia, dove il filo-putinismo di un partito nato per fare la rivoluzione liberale sembra dettato più dall'amicizia personale del suo capo, o il caso di Salvini che scambia Putin per il salvatore contro l'Islam, lui stretto alleato dell'Iran. ma alla base di ciò c'è sopratutto l'occupazione di un vuoto. Come in geopolitica Putin approfitta del vuoto lasciato dall'inerzia di Obama, sul piano della propaganda si sente solo la voce della Russia nel silenzio di qualsiasi altra voce. L'offensiva mediatica di Putin, iniziata almeno dieci anni fa ed esplosa cinque anni fa - quando le rivoluzioni iraniane e ucraine furono abbandonate a loro stesse, bollate dal cretino collettivo controinformatosi nella spazzatura di Internet come colpi di stato della Cia - è particolarmente forte sul web, dove per ogni platea c'è un Putin: c'è il Putin comunista, il Putin duce, il Putin baluardo della cristianità e dei valori morali, il Putin antiislam, il Putin socialdemocratico e il Putin uomo del fare. E se Putin bombarda la Siria nessuno ha da ridire, pronti a tirar fuori le bandiere della pace appena l'occidente muoverà un dito. Alla base di tutto ciò c'è una narrazione divenuta egemone e verità incontestabile che suona più o meno così: "Milosevic, Saddam Hussein, Gheddafi e Assad erano dei popolari leaders laici e socialisti, magari non del tutto democratici, ma garanti della stabilità e argini contro gli estremisti integralisti islamici, che in combutta con con gli Usa e gli ebrei hanno destabilizzato l'area, così come le rivoluzioni arancioni, che sono in realtà dei colpi di stato della Cia". Si tratta di false idee in cui fino a dieci anni fa si identificava solo qualche gruppuscolo di estrema sinistra o di estrema destra, ma che oggi sono senso comune di un grillino come di un berlusconiano, di un leghista come di un prodiano, di un comunista come di un fascista, dicendo molto anche della deriva neototalitaria della nostra società. Ovviamente non c'era niente di laico, ne' di stabilizzatore in quei dittatori, i rapporti tra Al Qaeda e Saddam sono precedenti al 2003 e L'Isis è formato in larga parte da ufficiali baathisti, mentre la convergenza tra Isis e Assad in chiave antiopposizioni è fattuale, per non parlare di Gheddafi, patrocinatore di tutti i possibili terrorismi destabilizzanti degli ultimi quarant'anni ed integralista islamico non meno di Bin Laden. Appare quindi chiaro che se nella guerra al terrore possono essere stati commessi degli errori, gli obbiettivi non erano sbagliati, se non per chi ha interesse a reprimere lo sviluppo democratico, dividere l'Europa dagli Stati Uniti o crede che l'aggressione islamica si neutralizzi con la codardìa e la difesa di un apparente status quo.
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