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venerdì 2 settembre 2016
La biografia di Togliatti di Giorgio Bocca/ parte 1
La biografia di Togliatti scritta da Giorgio Bocca ha cambiato per sempre la storiografia del comunismo italiano. Per la prima volta emersero in piena luce i contrasti interni al partito comunista, che non apparve più come un monolite granitico e ieratico. Emerse tutta la debolezza del centralismo democratico, quell'idea di dare un'immagine del partito ultraunitaria all'esterno s'infrangeva con l'immagine contradditoria, problematica e amletica che Bocca dava del partito e sopratutto del suo leader, rendendolo in questo modo molto più umano e accattivante. Dirigenti comunisti come Pajetta non lo capirono e reagirono aspramente stizziti alla pubblicazione del libro, che pure avevano largamente contribuito a scrivere rilasciando ampie confidenze all'autore in fase di stesura, che poi liquidarono come pettegolezzi, delegittimando Bocca con la tipica campagna di diffamazione ad personam alla maniera sovietica, che la sinistra italiana ancora oggi non ha abbandonato. Ma la realtà è che Togliatti era cordialmente detestato dai dirigenti comunisti filosovietici, pur non avendo nessuno di loro il carisma e la preparazione per mettere in discussione il suo potere. Eppure da questa ricca biografia basata - come detto - tantissimo sulle testimonianze orali dei diretti protagonisti, scritta a 10 anni dalla morte del Migliore, Togliatti ne esce alla fine bene, senza eroismi, con tutte le sfumature e le doppiezze, che spesso però altro non erano che il riflesso della dialettica interna. "Uomo dei tempi lunghi", mai di rottura, seppe gettare i semi del pensiero nazionale e democratico, seppur alla maniera guardinga e egemone verso le altre culture, in un partito ancora inconsapevolmente bordighiano e massimalista, amante dei riti ortodossi e delle romanticherie rivoluzionarie, ma sotto sotto consapevole di aver bisogno di un leader realista e preparato, tacitamente revisionista, senza mai rinnegare. Accusato da destra di essere un finto democratico e un agente dell'Unione Sovietica, da sinistra di aver tradito la rivoluzione e di essere un riformista (social)democratico, da destra e da sinistra di essere un sicario di Stalin, Palmiro Togliatti - secondo Bocca - non era nessuno dei tre. Era la sua linea dalla svolta di Salerno in poi una astuzia tattica per far abbassare la guardia agli anticomunisti e nel frattempo occupare le casematte dello stato? Così sicuramente la intendevano i colonelli Secchia e Longo, sicuramente Togliatti sapeva che la vera lotta per il potere si faceva nei gangli dello Stato e non con le lotte sindacali, ma la sua intenzione di affrancarsi dall'Unione Sovietica e di non tornare indietro dalla linea nazional-democratica è netta, e quando scoppia la guerra fredda e ritorna la paranoia staliniana, rifiuta di farsi coinvolgere, si oppone alla ricostituzione della terza internazionale sotto forma di cominform negandosi a Stalin, che lo voleva a capo della nuova struttura internazionalista, trovandosi solo nel partito, che decisamente più staliniano di lui, cercò di liquidarlo rimandandolo all'Est e acconsentendo quasi in blocco alla richiesta di Stalin. La solitudine dei numero uno, fortunata opera dei nostri giorni, si potrebbe riportare alla vicenda di Togliatti, che fu costretto a tornare in Urss accompagnato dalla fedele Nilde Iotti, ma solo per dire no a Stalin, deciso a rimanere segretario del partito comunista italiano e sopratutto a tornare e rimanere in Italia, fedele alla via nazionale al socialismo, contro il suo stesso partito. L'amarezza fu tanta, così come le cattiverie di chi imputava alla compagna Nilde Iotti il suo rifiuto al piccolo padre georgiano, ma anche la sua deriva antirivoluzionaria.
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