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martedì 6 dicembre 2016

Perde il partito della nazione, ma Renzi vince a sinistra

Ha vinto nettamente il No. Non è stato un No nel merito della riforma, ma un No volgarmente Politico, Un No esistenziale, un No d'odio, un No antigovernista, che rappresenta soprattutto una contestazione giovanile sterile e rabbiosa, che ci riporta agli anni '70, con Putin e Maduro al posto di Mao e Che Guevara, e un sud nichilista, fomentato dai caudilli locali, un nord spaventato dall'immigrazione. Il sì vince solo a Milano, in Emilia-Romagna, Toscana e stravince tra gli italiani all'estero, non a caso quelli che lasciano il paese proprio a causa del suo immobilismo e più aperti al cambiamento. Cervelli in fuga, ma qui si vota con la pancia. E' stato un No nostalgico, di chi rimpiange la prima Repubblica, la spesa, un No dei figli di chi viveva di clientelismi e favori politici e ora se ne trova privato, pensando che ora i politici pensano solo a mangiare senza spartire più la torta con loro. Un movimento anti-casta che vuole essere casta, con il redditto di cittadinanza da dare a 10 milioni di persone e uno Stato dirigista da restaurare. E' un No, sicuramente, privo di proposta, categorico, senza se e senza ma, disunito, vuoto, ma di sicuro con un vincitore: Beppe Grillo, gli altri sono accattoni che cercano di intestarsi la vittoria. Un No che però ora è privo del suo bersaglio, del suo pungiball preferito, che ha spiazzato tutti dimettendosi e gettando nel silenzio Beppe Grillo, che ha mandato avanti Di Maio e Di Battista, i quali hanno chiesto elezioni subito senza troppa convinzione. Ma è stato anche un No ideologico, di chi si immagina un popolo di costituzionalisti che vota No per difendere la costituzione repubblicana e antifascista dalla deriva autoritaria, addirittura un No contro il populismo per qualche professore bollito. Renzi, con il suo populismo soft e temperato in una solida cultura democratica e liberale, è l'ultimo argine contro il populismo vero e proprio, anche se sicuramente ha commesso anche lui un errore a indire questo referendum pensando di fare breccia in pezzi di elettorato di centrodestra e grillino, indulgendo in questa forma di democrazia diretta, che è sempre anticamera del totalitarismo. Ma d'altronde questo era il progetto del partito della nazione, allargare il perimetro della sinistra ad altri ceti ed elettorati, che si è infranto domenica. Eppure Renzi consolida il proprio voto proprio a sinistra, dove i soloni dicevano che era un intruso, un usurpatore. Il popolo del Pd vota in larga parte per il Sì e di fatto il segretario conferma il 40% delle europee da solo contro tutti, aumentando i voti assoluti, che ora superano i 13 milioni, cioè oltre la fatidica soglia storica della sinistra dei 12 milioni di voti e aumentando comunque di 15 punti percentuali il minimo storico del 2013 di Bersani. L'impressione è che chi ha votato Renzi nel 2014 lo abbia fatto con maggiore convinzione nel 2016, convincendo sia pezzi di sinistra storica, sia il centro ex montiano. Si va verso un bipolarismo Renzi contro Grillo con la destra sempre più a rimorchio di Grillo se dovesse prevalere l'ala salviniana o vittima delle ambivalenze di Berlusconi e una minoranza dem del tutto marginale, ridotta ad esultare scompostamente per la vittoria di Grillo al referendum, una burocrazia parassitaria indifferente agli ideali, priva di elettorato e sopravissuta a tutte le mutazioni storiche del partito solo per il potere. Infine, è un no che delinea un quadro geopolitico della nazione nuovo: Sud grillino, Nordest leghista, Milano, Toscana ed Emilia-Romagna (più italiani all'estero) renziano, Nordovest e resto del centro combattuto.

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