Massimo D'alema si presenta come il difensore della tradizione comunista-togliattiana contro l'usurpatore Matteo Renzi. Come il fondatore del Pd spodestato dal corpo estraneo, sempre lui, Renzi. Ma la posizione di D'alema ricorda più quella di Pietro Secchia, il potente capo dell'organizzazione comunista, che negli anni '50 si oppose all'idea del segretario Togliatti di estendere la base sociale del partito operaio alla media borghesia dei professionisti, degli intellettuali e financo dei piccoli imprenditori. Oggi, che la base del partito è invece fatta di professionisti, intellettuali o presunti tali, e dipendenti pubblici, il tentativo di Renzi di (ri)allargarla ai ceti produttivi, operai e borghesi, risulta più marxista, in un contesto dove il conflitto capitale-lavoro ha perso ragion d'essere, della difesa conservatrice del proprio recinto del baffino prodiano. Forti sono anche le analogie con il tentativo di Pietro Secchia di intercedere presso le sedi internazionali del comunismo, e nella fattispecie presso Stalin, per fermare il progetto di Togliatti, con il tentativo di D'alema in Europa di agire presso i think thank socialisti per escludere Renzi dall'Internazionale Socialista. Ma D'alema risulta poco credibile anche dal punto di vista di fondatore usurpato del Pd, sono rintracciabili in rete le sue dichiarazioni contro la fondazione del Pd, creatura invece fortemente voluta da Veltroni, e in difesa del mantenimento del Pds da parte del passeggiatore con i capi di Hezbollah.
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