Riguardo il rapporto tra i comunisti e il potere, i comunisti e lo stato, vi è stata una cesura totale con tutto il lavoro di Gramsci, di Togliatti e di Berlinguer, tutt'al più richiamati per motivi di marketing politico dalla fazione m-l, o interpretati su un piano di mero tatticismo.
Le due fazioni in lotta sono unite dall'elitarismo, dalla comune area storica di provenienza politica e dal rifiuto di fondo, in un modo o nell'altro, di ogni rapporto reale con lo stato e la società del proprio paese, se non in termini puramente propagandistici o tattici. Se una delle due fazioni dovesse mancare, l'altra perderebbe ogni riferimento, vivendo ormai solo della polemica con l'altra e non avendo nessun altro contatto con la società reale.
Leggendo molti articoli e libri sul tema si nota che manca completamente un terreno d'analisi, che è quello della specificità della storia nazionale. Manca cioè una analisi storica di quello che è la non-violenza nella storia italiana. La vicenda della non-violenza è tutta inquadrata nei rapporti internazionali e tra aree continentali per un verso, e sul piano puramente ideologico dall'altro. Infatti il lavoro in taluni casi, come nel libro di Losurdo, è stato definito "storico-filosofico", ma il piano storico è puramente ed esclusivamente internazionale e subordinato agli aspetti filosofici interni ad un'area politica.
Quando nascono in Italia i movimenti non-violenti che arrivano ai giorni nostri? In che ambito e su quali basi? Ciò avviene ben prima delle vicende interne al Prc del decennio scorso, è negli anni '80 che emergono in maniera significativa i movimenti non-violenti, non certo solo legati a Pannella come ricorda Losurdo, anzi, è nell'ambito della sinistra extraparlamentare e dall'incontro di essa con i movimenti religiosi anti-militaristi e pacifisti (di certo tutti e due non imputabili di essere infiltrati della Cia) che si fanno strada le teorie della non-violenza. Perchè? Sono gli anni in cui migliaia di giovani della sinistra extra-parlamentare aderirono al terrorismo, e la non-violenza fu una risposta tutta interna a quell'area politica rispetto a chi aveva intrapreso la strada del terrorismo. Si trattò di una soluzione che si pretendeva terzista, ma era schematica e superficiale, e non indagava sulle cause profonde del terrorismo sorto nella propria area. Di fronte ai loro (ex?) compagni che sparavano a Guido Rossa, un altro pezzo di sinistra extra-parlamentare non trovò altra soluzione che fare della grande retorica sui "compagni che sbagliano", e/o aderire ad un rifiuto totale di ogni forma di violenza, continuando però a portare avanti le stesse teorie, lo stesso approccio, le stesse posizioni, le stesse metodologie che avevano indotto migliaia di giovani a darsi al più demenziale e criminale terrorismo.
Quando nascono in Italia i movimenti non-violenti che arrivano ai giorni nostri? In che ambito e su quali basi? Ciò avviene ben prima delle vicende interne al Prc del decennio scorso, è negli anni '80 che emergono in maniera significativa i movimenti non-violenti, non certo solo legati a Pannella come ricorda Losurdo, anzi, è nell'ambito della sinistra extraparlamentare e dall'incontro di essa con i movimenti religiosi anti-militaristi e pacifisti (di certo tutti e due non imputabili di essere infiltrati della Cia) che si fanno strada le teorie della non-violenza. Perchè? Sono gli anni in cui migliaia di giovani della sinistra extra-parlamentare aderirono al terrorismo, e la non-violenza fu una risposta tutta interna a quell'area politica rispetto a chi aveva intrapreso la strada del terrorismo. Si trattò di una soluzione che si pretendeva terzista, ma era schematica e superficiale, e non indagava sulle cause profonde del terrorismo sorto nella propria area. Di fronte ai loro (ex?) compagni che sparavano a Guido Rossa, un altro pezzo di sinistra extra-parlamentare non trovò altra soluzione che fare della grande retorica sui "compagni che sbagliano", e/o aderire ad un rifiuto totale di ogni forma di violenza, continuando però a portare avanti le stesse teorie, lo stesso approccio, le stesse posizioni, le stesse metodologie che avevano indotto migliaia di giovani a darsi al più demenziale e criminale terrorismo.
Quando Lenin attaccò il terrorismo, lo fece organicamente ad una critica nelle cause culturali che avevano portato al terrorismo, attaccando senza sconti l'astrazione schematica del populismo e le pratiche elitarie, e così fece il Pci nei confronti delle Br e degli altri gruppi di assassini, non ci fu spazio per l'ambigua retorica dei "compagni che sbagliano", ma ci fu una critica serrata al ribellismo e al massimalismo di quell'area politica, inerente all'incontro tra dottrinari fuori dal mondo e frange spostate della piccola borghesia, alta borghesia o della delinquenza di strada.
Importantissima fu la capacità del Pci di comprendere ben presto che l'obbiettivo del terrorismo, ancor più dello Stato, era la politica gramsciana del Pci, e quindi era il Pci stesso il principale nemico individuato dai brigatisti. In questo terroristi rossi e neri coincidevano. Analisi che la storia ha poi confermato.
Casarini ha capito che i black block NON sono compagni che sbagliano, ma NEMICI. Ci arriva all'età di 50 anni dopo aver mandato allo sbaraglio due generazioni di militanti. Meglio tardi che mai, per fortuna a suo tempo il Pci con le Br lo aveva capito subito, quei burocrati senza cervello del pci. (le ultime 5 parole sono ironiche).
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