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venerdì 28 ottobre 2011

Anticlericalismo senza più significato

Quello che gli anticlericali contestano alla chiesa cattolica è ormai la sua materialità, il suo essere politica, il suo essere in realtà la chiesa più secolare e meno spirituale che esista al mondo. Quello che gli dà fastidio non è già la corruzione, ma il fatto stesso di avere le banche, uno Stato, una linea politica, di essere un organismo, esistente e potente, e non solo una filosofia. Quello che gli dà fastidio sono i suoi aspetti moderni. L'anticlericalismo può quindi essere una forma di eretismo cristiano, di neopaganesimo, di settarismo fanatico, di ribellismo idealistico e antimoderno.
Ma nell'anticlericalismo c'è anche il riflesso del disprezzo dei nuclei di aristocrazia operaia verso le masse contadine, e tutto il disprezzo goliardico dei circoli dottrinari verso le masse contadine.
I primi nel loro tecnicismo utilitarista non sopportavano molte cose del mondo contadino, tra i quali i tempi lunghi, l'apparente immobilità, la saggezza non manualistica, che scambiavano con la superstizione facendo un tutt'uno.
Uno dei grandi meriti storici di Togliatti fu l'aver allontanato il partito da ogni forma di anticlericalismo, e al contempo di aver liberato il partito dalla cappa soffocante dell'aristocrazia operaia e dalla cappa soffocante del dottrinarismo cattedratico dell'idealismo.
Anche grazie a ciò e dall'intreccio di queste cose il Pci fu così il primo autentico partito del popolo italiano ed il primo autentico partito delle masse contadine.

domenica 23 ottobre 2011

L'estate dell'antipolitica / parte 3

L'Estate dell'Antipolitica / Parte 3


Chiaramente non si tratta di vedere il fatto quotidiano et similia come un deus ex machina o di scadere nel complottismo. Candidati come pisapia e de magistris erano riusciti a coinvolgere importanti settori dell'antipolitica, che però hanno mantenuto l'impostazione antipolitica, si sapeva che c'era una dialettica che poteva volgere in un modo o nell'altro con questo elettorato. La bravura di Pisapia, Zedda e De magistris è stata proprio in questo, nell'ascoltare forme e persone lontane dalla politica, che nessuno aveva mai ascoltato o non in questo modo.
Pisapia ha interpretato consapevolmente questo ruolo di tramite tra la politica e cittadini rivolti all'antipolitica, cioè chiarendo in maniera netta che lui era politico e sul terreno della politica, de magistris invece è sembrato tentato di interpretare il ruolo della testa d'ariete dell'antipolitica per distruggere la politica, e l'evolversi della situazione nelle ultime settimane ha confermato quest'impressione.
Anche Vendola è apparso ondivago tra politica e antipolitica, e le prese di distanza di Pisapia da Vendola erano dovute a questo.
Credo però che la politica, dopo le elezioni, abbia distolto lo sguardo dalla società, e sia tornata alle sue diatribe autoreferenziali. La mancata indizione delle primarie in tempi brevi ha portato alla rottura con il Pd da parte di Vendola, che è così ritornato ad una retorica che ammica all'antipolitica e in alcuni casi scende sul suo terreno.
E' quindi chiaro cosa paralizza la politica e cosa favorisce l'antipolitica: La mancata decisione da parte di alcuni leaders della sinistra di scegliere se stare sul terreno della politica o dell'antipolitica, dando appunto un idea di debolezza, divisione e immobilismo, proprio dal momento in cui i leaders della sinistra civettano con l'antipolitica.
E' la vecchia retorica ingraiana del "sbagliate, ma in fondo avete ragione", del comunista supponente e ingenuo che crede di egemonizzare i "movimenti" e invece si fa egemonizzare.
8 settembre 2011

sabato 22 ottobre 2011

Togliatti e il destino dell'uomo, l'incontro coi cattolici

Togliatti e il così noto "dialogo" coi "cattolici", sancito dal discorso di Bergamo sul "destino dell'uomo" del 1963.

Parlare però di dialogo coi cattolici è fuorviante e generico. Fuorviante è il termine dialogo e generico il termine cattolico. Quello che fu, in realtà, era un incontro e un dialogo basato sugli elementi di novità della storia. Nella Resistenza partigiana antifascista avevano combattuto insieme atei, laici e cattolici. La Resistenza e la nascita della Repubblica democratica vedevano l'irruzione per la prima volta nella storia italiana delle masse popolari e la nascita della passione politica di massa.
Riproporre l'anticlericalismo ottocentesco e l'ateismo militante in quel contesto sarebbe stato regressivo, controproducente, assurdo, meccanico. Così come ultrasinistri, socialisti e radicali spesso effettivamente erano.
(Non a caso la fine del PCI ha fatto riemergere a sinistra quel modo di fare politica in senso lato arruffone, e tutte quelle puerilità e la faciloneria pressapochista della sinistra italiana pre-marxista, che Gramsci spesso aveva denunciato nelle sue dure polemiche con il PSI).


Tornando al termine cattolici, Togliatti, in seguito all'estromissione del Pci dal governo, non dialogava con la Dc, ne' con le gerarchie ecclesiastiche, spesso si rivolgeva direttamente alle gerarchie ecclesiastiche per by-passare la DC, al fine di mostrarla, agli occhi dei cattolici più progressisti e dinamici, come un mero strumento della Chiesa privo di autonomia politica e culturale, cosa che in quella determinata fase storica e per alcuni parziali settori di quel partito era anche veritiero.
Quindi non tanto dialogo coi cattolici, ma confronto con quella fondamentale parte di società italiana, che era in grande trasformazione e vitalità nel secondo dopoguerra, il tutto sul terreno delle conquiste democratiche e antifasciste e in un contesto internazionale di rischio di guerra atomica, con tutto quello che comportava.

Togliatti dunque aprì un confronto con il mondo cattolico, e nel mentre conduceva una dura opposizione al governo democristiano ed alle posizioni internazionali del Vaticano.
Questo per inciso ci dice due cose:

-Il pci era un partito molto agile

- In Italia esistevano due culture nel senso organico, pieno e formato del termine, quella Marxista e quella Cattolica.

Le altre arrancavano nel minoritarismo autoreferenziale, nella ripetizione meccanicistica dei propri dogmi, mentre il Pci diventava una grande partito di massa e popolare, mantenendo al contempo una forte identità.

giovedì 20 ottobre 2011

Humanas actiones non ridere, non lugere, neque detestari, sed intelligere.

martedì 18 ottobre 2011

Differenze tra il movimento di Genova e il movimento indignados / parte 1

differenze tra il movimento di dieci anni fa e l'attuale movimento degli indignados.
Il movimento nato a seattle, poi detto semplificatoriamente no global, aveva un punto di vista forte sui più importanti snodi storici del momento: caduta del campo socialista, fine della storia proclamata dai liberali, globalizzazione neoliberale, diritti dei migranti; erano questi glli snodi fondamentali sui quali il movimento aveva un punto di vista netto, seppur con sfumature, articolazioni e qualche contraddizione al suo interno (soprattutto sul giudizio sull'urss e conseguente linea da condurre intorno alla sua fine).
Il movimento aveva un'ottica globale, per questo chiamarlo noglobal era fuorviante, una locale, e seppur più timidamente si occupava anche delle questioni nazionali investite dalla globalizzazione, e quindi si può ben dire che aveva anche un otttica nazionale.
L'attuale movimento degli indignados, invece, ha un'ottica puramente individuale, è il punto di vista del giovane tradito dalla società liberale e dalle sue false promesse, spinto non da un progetto di alternativa, ma da uno spirito di vendetta (Vendetta è il film simbolo di questo movimento, insieme  a matrix).
Il movimento di dieci anni fa era anche in piccola dose tradizionalista, in base al difendere quello che di meglio le tradizioni nazional-popolari avevano da offrire, rispetto ad un modernismo dogmatico, distinguendole invece dalle tradizioni reazionarie, da rigettare e combattere.
Questo movimento degli indignados è totalmente iconoclasta e antitradizionale, con un odio verso gli anziani (che ruberebbero le pensioni ai giovani) e la politica e i politici intoto (causa di tutti i soldi mancanti) e l'economia finanziaria (con disarmante facilità l'antisemitismo e la sua versione italiana, l'anticattolicesimo, ci sguazzano in questo movimento). Aspetti inquietanti che aprono squarci su altri elementi arrivistici-apolitici di questo movimento.
Sulla giornata di sabato 15 ottobre 2011 devo dire che l'ingenuità degli indignados è pressochè uguale all'ingenuità che si ebbe a genova 2001. In questo i due movimenti sono uguali.
Diversa però la dinamica delle giornate. Premesso che io ero a Genova, ma non c'ero l'altro ieri a Roma, mi pare che se allora a genova ci furono premeditate, feroci azioni di violenza e tortura contro tutti i manifestanti da parte di polizia, carabinieri e finanzieri, la situazione di sabato sia stata di un certo immobilismo da parte delle forze dell'ordine. In tutte e due i casi manca totalmente il lavoro di prevenzione nei confronti di chi vuole agire non solo contro la legge, e questo è principalmente, ma non del tutto, compito delle forze dell'ordine, ma che ci sia anche una incomprensione culturale da parte del movimento e dei partiti che simpatizzano per il movimento, della violenza di piccoli gruppi a mio modo di vedere largamente annunciata, che va consapevolmente contro questi movimenti, come già indirettamente avevo affrontato nei mesi scorsi attraverso post non direttamente inerenti.
Un' ultima importantissima cosa sulle infiltrazioni. Il movimento di genova mai e poi mai avrebbe ammesso e ammise ogni tentativo di infiltrazione fascista, coi fascisti non si parla e nemmeno si parla con chi parla coi fascisti. L'antifascismo era una componente fondamentale e sentitissima del movimento di genova e i tanti tentativi di aggancio che i fascisti tentarono, furono respinti con ogni mezzo, con un unica eccezione, da parte del patetico gruppuscolo di Preve e del "campo antimperialista", rimasugli del peggio del troschismo (per intenderci quella corrente del troschismo che già negli anni '40 negava l'olocausto e convergeva in toto coi neonazisti). Nel movimento indignados invece si è visto un clima da c'è posto per tutti, fascisti compresi, basta appunto che siete indignati. Ecco appunto il movimento di genova mai avrebbe scelto un nome del genere, essendo dentro una traiettoria storica e fortemente politico (e infatti accusato dai detrattori di essere ideologico, mentre questa specie di antiideologismo (da non confondere con le critiche che marx faceva a certe ideologie ed a un certo modo non dialettico d'intendere il campo delle idee),) ha guarda caso nutrito una buona simpatia da parte dei giornali anticomunisti nei confronti degli indignados.
Queste note non sono esaustive, per il momento inquadrano le differenze fondamentali, a mio modo di vedere abissali, tra i due movimenti distanti dieci anni l'uno dall'altro.

lunedì 17 ottobre 2011

Internet

Internet

pubblicata da Francesco Poli il giorno venerdì 9 settembre 2011 alle ore 14.50
Il vero snodo di internet è nella fruibilità che ne hanno le giovani e giovanissime generazioni.
I più giovani non solo sono manipolabili, ma chiedono di essere manipolati, perchè non hanno ancora il senso della direzione e della responsabilità, e chiedono che qualcuno gli dica cosa fare.
Per questo i siti complottisti, fascisti, postoperaisti e antipolitici, sono quelli che hanno più successo tra le nuove generazioni, perchè forniscono spiegazioni facili, parole d'ordine immediate e di facile ricezione, spiegazioni manichee della realtà. buoni e cattivi. amici e nemici.
Qual'è stato il primo movimento studentesco della nostra storia? Il fascismo, influenzato dal Dannunzianesimo e dal Pirandellismo.
Qual'era la base sociale del fascismo? giovani soldati reduci dalla prima guerra mondiale (spesso partiti come volontari dalle università) e studenti. Studenti e soldati, studenti soldati, studenti militarizzati, formano soldati politici che vedono la politica e ogni rapporto sociale e umano solo come una presa di possesso dello spazio, della collina, come i soldati mandati al massacro dai generali della prima guerra mondiale, generali codardi, ciarlatani, dottrinari.
Qual'è stato il secondo movimento studentesco della nostra storia? il '68 operaista e libertario, che ha prodotto le brigate rosse.
Da quasi cent'anni studenti universitari, di idee socialiste, anarchiche e comuniste magari un po' ingenue e poco formate, vengono manipolati da professori o da poeti di strada e da palcoscenico, di idee reazionarie, ma che camaleonticamente spacciano per socialiste e di sinistra, per piacere ai propri studenti e ai propri fan e fascinarli.
Le idee da sole, senza una direzione responsabile, una linea politica concretamente attuabile, e un rapporto non strumentale ma dialettico con la società, vengono manipolate dal fascismo.
La sola azione, senza una consapevole coscienza storico-dialettica, viene manipolata dal fascismo.

domenica 16 ottobre 2011

La diatriba violenza o non-violenza

Tutta la diatriba interna al PRC e al movimento avvenuta nel decennio scorso su violenza non-violenza è stato il proseguimento degli scontri interni alla sinistra extraparlamentare avvenuti a cavallo tra i '70 e gli '80, tra libertari e difensori del verbo m-l o della spontaneità della violenza di "classe", tra teorizzatori del rifiuto del potere (che hanno provato ad uscire dallo stagno con l'idea dell'ingresso nelle stanze del potere solo come sparigliatori o portavoce dei movimenti) contro teorizzatori dell'inevitabile approdo all'ora X dell'insurrezione armata, secondo la strada maestra predeterminata nei sacri testi o atrraverso l'inserruzionalismo metropolitano. Una diatriba fuori dal tempo e da ogni luogo reale, dove tutti quelli che hanno cercato di mediare, sfumare o ragionare su un piano di maggiore complessità o richiamare ai problemi reali della società in cui viviamo, sono stati bollati ora dall'una ora dall'altra fazione, come complici dell'altra fazione.
Riguardo il rapporto tra i comunisti e il potere, i comunisti e lo stato, vi è stata una cesura totale con tutto il lavoro di Gramsci, di Togliatti e di Berlinguer, tutt'al più richiamati per motivi di marketing politico dalla fazione m-l, o interpretati su un piano di mero tatticismo.
Le due fazioni in lotta sono unite dall'elitarismo, dalla comune area storica di provenienza politica e dal rifiuto di fondo, in un modo o nell'altro, di ogni rapporto reale con lo stato e la società del proprio paese, se non in termini puramente propagandistici o tattici. Se una delle due fazioni dovesse mancare, l'altra perderebbe ogni riferimento, vivendo ormai solo della polemica con l'altra e non avendo nessun altro contatto con la società reale.

Leggendo molti articoli e libri sul tema si nota che manca completamente un terreno d'analisi, che è quello della specificità della storia nazionale. Manca cioè una analisi storica di quello che è la non-violenza nella storia italiana. La vicenda della non-violenza è tutta inquadrata nei rapporti internazionali e tra aree continentali per un verso, e sul piano puramente ideologico dall'altro. Infatti il lavoro in taluni casi, come nel libro di Losurdo, è stato definito "storico-filosofico", ma il piano storico è puramente ed esclusivamente internazionale e subordinato agli aspetti filosofici interni ad un'area politica.

Quando nascono in Italia i movimenti non-violenti che arrivano ai giorni nostri? In che ambito e su quali basi? Ciò avviene ben prima delle vicende interne al Prc del decennio scorso, è negli anni '80 che emergono in maniera significativa i movimenti non-violenti, non certo solo legati a Pannella come ricorda Losurdo, anzi, è nell'ambito della sinistra extraparlamentare e dall'incontro di essa con i movimenti religiosi anti-militaristi e pacifisti (di certo tutti e due non imputabili di essere infiltrati della Cia) che si fanno strada le teorie della non-violenza. Perchè? Sono gli anni in cui migliaia di giovani della sinistra extra-parlamentare aderirono al terrorismo, e la non-violenza fu una risposta tutta interna a quell'area politica rispetto a chi aveva intrapreso la strada del terrorismo. Si trattò di una soluzione che si pretendeva terzista, ma era schematica e superficiale, e non indagava sulle cause profonde del terrorismo sorto nella propria area. Di fronte ai loro (ex?) compagni che sparavano a Guido Rossa, un altro pezzo di sinistra extra-parlamentare non trovò altra soluzione che fare della grande retorica sui "compagni che sbagliano", e/o aderire ad un rifiuto totale di ogni forma di violenza, continuando però a portare avanti le stesse teorie, lo stesso approccio, le stesse posizioni, le stesse metodologie che avevano indotto migliaia di giovani a darsi al più demenziale e criminale terrorismo.
Quando Lenin attaccò il terrorismo, lo fece organicamente ad una critica nelle cause culturali che avevano portato al terrorismo, attaccando senza sconti l'astrazione schematica del populismo e le pratiche elitarie, e così fece il Pci nei confronti delle Br e degli altri gruppi di assassini, non ci fu spazio per l'ambigua retorica dei "compagni che sbagliano", ma ci fu una critica serrata al ribellismo e al massimalismo di quell'area politica, inerente all'incontro tra dottrinari fuori dal mondo e frange spostate della piccola borghesia, alta borghesia o della delinquenza di strada.
Importantissima fu la capacità del Pci di comprendere ben presto che l'obbiettivo del terrorismo, ancor più dello Stato, era la politica gramsciana del Pci, e quindi era il Pci stesso il principale nemico individuato dai brigatisti. In questo terroristi rossi e neri coincidevano. Analisi che la storia ha poi confermato.

mercoledì 12 ottobre 2011

Napolitano: riflessi istituzionali

LA NOTA DEL QUIRINALE:

http://www.unita.it/italia/napolitano-il-voto-ha-riflessi-istituzionali-1.341099

Più di cosi' il capo non può fare, è il presidente della Repubblica e quindi ha determinate funzioni, non è vittorio emanuele, per fortuna; è uno dei presidenti più popolari della storia della nostra Repubblica, destinato ad essere più popolare e con un più vasto consenso di Pertini. Viene dal pci.

VIDEO SULLA NOTA DEL QUIRINALE

http://video.unita.it/media/Politica/Monito_del_Colle_a_Berlusconi_3400.html

L'estate dell'antipolitica parte 1

L'estate dell'antipolitica

Prima parte

Eravamo rimasti alle grandi vittorie delle amministrative, ai trionfi di milano, napoli, cagliari e poi alle travolgenti vittorie nei referendum. Il vento del cambiamento, la ritrovata passione per la politica da parte di tante persone e associazioni, che sembravano essersene allontanate o mai avvicinatesi prima. Il centrodestra è minoranza nel paese, bossi e berlusconi sono allo sbando, sembra arrivato il momento della politica, della costruzione di un'alternativa reale di governo, credibile e fattibile a questa destra, un centrosinistra nuovo.

Il giorno dopo il referendum la prima gelata arriva da di pietro, con le sue dichiarazioni sulla destra sociale, il rifiuto di unirsi alla richiesta di d'alema di dimissioni del governo, e il suo attacco a vendola e alla sinistra.
(http://forumsinistra.info/discussione-il...a-l-idv-2)

Il momento topico sicuramente quando l'ex candidato sindaco di forza italia a sesto san giovanni, denuncia un caso di corruzione da parte di penati, inchiesta doverosa della magistratura, e ovviamente parte la fanfara di Giornale e Libero, che equiparano, parlano di sistema consolidato da decenni. A questa campagna si unisce anche il Fatto Quotidiano. L'attacco è palesemente strumentale per una serie di fattori riguardanti il caso, che a qualsiasi persona oggettiva e imparziale suggerirebbero semplice cautela, che non è difesa d'ufficio, anzichè fiato alle trombe:
-Il denunciante è l'ex candidato sindaco a sesto san giovanni di forza italia, che si sveglia per denunciare fatti che sarebbero avvenuti più di dieci anni fa.
-Ci sono già stati casi precedenti di millantatori che hanno denunciato falsità in passato su quel partito (vedi telekom serbia e non solo), e sono poi stati smentiti dallo svolgimento delle inchieste.
-l'inchiesta è appena iniziata, Penati non è nemmeno ancora stato interrogato dai pm e non ha ancora avuto modo di difendersi nelle sedi della Repubblica (che non è la redazione di un giornale), invece per il Fatto Quotidiano, il fatto (ma è già un fatto?) è urgente e centrale, è quotidiano appunto.

Sempre in quei giorni vi è poi la vicenda del "precario della casta", a cui centinaia di migliaia di persone non par vero di dar credito, ma tutta una serie di elementi ben descritti in questo articolo (http://www.valigiablu.it/doc/442/lo-stra...casta.htm) suggerivano un momento di riflessione in più a chiunque voglia analizzare i fatti e non procedere con la logica del tutto fa brodo. I privilegi e l'incompetenza dei politici esistono, ma ciò non vuol dire che qualsiasi ciarlatano o lestofante diventa un eroe da seguire se parla male dei politici.
29 agosto 2011

lunedì 10 ottobre 2011

Lo snodo fondamentale del '76-'84 per comprendere la storia del nostro paese.

I brigatisti non uccidevano coloro che consideravano "riformisti" o "revisionisti", ma, soprattutto nella loro fase cadente, uccisero chi aveva profondamente studiato e compreso la loro natura e struttura, e senza tema di smentita sbugiardato le loro astratte velleità. La lettura del libro di Benedetta Tobagi mi sta aiutando molto a capire questa tesi, in un contesto storico mai indagato a fondo dalla sinistra e nel mentre strumentalizzato dalla destra; laddove si è fatta grande confusione sui mandanti culturali del terrorismo, mandanti che c'erano senz'altro, ma non parlo di strategie internazionali, seppure c'erano anche quelle. 

Bienno rosso o bienno rossonero?

(Vedi anche post precedente)

Bienno rosso o bienno rossonero? Analisi di un movimento dialettico storico fondamentale, fautore del piede sbagliato con il quale il Pci nascerà, che verrà corretto e cambiato attraverso le tesi di Lione e in seguito con l'espulsione del fascista rosso Bordiga (Bordiga: "Peggio del fascismo c'è l'antifascismo".)



Da GIORGIO AMENDOLA

INTERVISTA SULL'ANTIFASCISMO

A CURA DI PIERO MELOGRANI

EDITORI LATERZA

PAGINA 36-37

D: Tutto ciò si accorda molto bene con i giudizi limitativi da te stesso espressi a proposito del bienno rosso del 1919-20, un bienno che preferisci chiamare addirittura bienno "rosso-nero".



Il cosidetto bienno rosso in realtà è un bienno di grande confusione, nel quale due processi avanzano intrecciati: il processo di radicalizzazione a sinistra e il processo di reazione a destra. Direi che l'iniziativa è presa dalle forze di destra: la chiassata alla scala contro Bissolati è del gennaio 1919, l'incendio dell' "Avanti!" ha luogo in aprile.
Ossia già in un primo momento ha luogo lo scatenamento di una violenza contro la quale il movimento operaio che cosa oppone, a parte tutte le farneticazioni e le illusioni? Oppone, di fatto, soltanto una tattica elettorale nella quale la fedeltà delle adesioni popolari si fa sentire. Nelle elezioni del '19 si fa sentire, ma con limiti geografici, molto netti, con un mezzogiorno che ragguinge a malapena il 10% dei voti socialisti. Tuttavia ci furono i 153 deputati al parlamento, che sono un fatto importante, e ci fu la conquista di una serie di comuni e via di seguito.
E poi che cosa oppone? Oppone una tattica sindacale, più prudente di quella che si dava a vedere, perchè poi i sindacati erano in mano ai riformisti: con certe forzature, come il patto agricolo della valle padana del '20*, con certe conquiste del tutto legittime nelle fabbriche, sopportabili dal capitalismo (le punte più avanzate del capitalismo , come agnelli, le sopportavano), e con un disordine - ecco - un disordine generale, che alimentava le paure della destra; ma le alimentava senza costrutto. Poi questi disordini in cosa si manifestavano: si manifestavano nei moti per il carovita del luglio '19, in cui i fascisti giocarono lal loro parte come la giocarono, e in violenze sporadiche, molto sporadiche, dei massimalisti.

Quindi l'immagine di un'Italia che è sconvolta dalle violenze sovversive è un'immagine che il fascismo ha creato e che la storiografia ha molto speso accettato con una visione di comodo, e che invece bisogna correggere. Bisogna dire che gli interventisti democratici concorsero ad ingigantire la leggenda di una "minaccia bolscevica" in realtà inesistente.




*Nel marzo '20 le leghe socialiste di Ferrarra riuscirono ad imporre patti molto onerosi ai proprietari terrieri. Cfr. P. R. Corner, il fascismo a Ferrara. 1915-25, Laterza, Roma bari1974, e A. Roveri, le origini del fascismo a Ferrara, feltrinelli, milano 1974.

Estremismo malattia infantile del comunismo, infantilismo malattia estrema del comunismo

giovedì 6 ottobre 2011

La nascita del Pci in un 'analisi di Amendola

Il Pci nasce da una necessità storica, far uscire la sinistra dal linearismo positivista e idealistico del Psi, che spesso sfociava nel suo contrario massimalistico-nichilistico, e il Pci contemporaneamente nasce da una analisi sbagliata e per di più attraverso una lettura di fase tardiva di quell'analisi. L'analisi sbagliata era che il cosidetto bienno rosso fosse una situazione rivoluzionaria.

Da GIORGIO AMENDOLA

INTERVISTA SULL'ANTIFASCISMO

Ed. Laterza

Pagina 35


" Ripeto che ogni forza politica, che voglia contare, deve avevre una coscienza storica. Questo è un grande insegnamento di Gramsci: avere coscienza storica della propria funzione, il che vuol dire del posto che si è avuto, o che non si è avuto. Quindi è evidente che l'analisi che noi oggi facciamo della situazione italiana contraddice l'analisi che faceva Lenin nel '19. Ma Lenin stesso, nel '21 aveva già corretto l'analisi del '19. Nel '19 parlava di situazione rivoluzionaria in tutta Europa; nel ' 21 già tirava i remi in barca. Mentre invece in Italia soltanto nel '21 si cominciava ad applicare con una certa serietà l'analisi di due anni prima, che era già superata.
Infatti quandoi ha luogo il congresso di livorno, nel gennaio '21, già la situazione internazionale è cambiata, dopo l'arresto dell'avanzata sovietica in Polonia, ed è cambiata la situazione interna italiana, dopo l'occupazione delle fabbriche. Il congresso di Livorno si colloca all'inizio di una fase calante e continua invece ad affermare tesi che risalivano a due anni prima. (...)
Gramsci stesso, nei quaderni dal carcere, quelle posizoni del '19-'20 le rivede. A mio avviso mancò completamente la capacità di vedere come l'obbiettivo che si poneva in Italia in quel momento fosse un obbiettivo democratico avanzato, di repubblica democratica. Quando Gramsci dice: - o avremo una vittoria della rivoluzione, o ci sarà un periodo di reazione - quell' o significa, di fatto, indicare la prospettiva della sconfitta; già significa accettare l'ipotesi della vittoria della reazione. Perchè manca poi un'alternativa positiva che non sia quella, irrealizzabile, della rivoluzione socialista. Per evitare la reazione cos'era necessario? Noi oggi diciamo: ci vuole una certa politica e via di seguito. Questa indicazione positiva, concreta, allora mancò, e mancò in tutte le forze politiche; ossia mancò la capacità di individuare i problemi che in quel momento corrispondevano al grado di maturazione delle forze in Italia e del Paese. Mancò alla sinistra ma anche alla destra del movimento operaio. E di qui derivò la sconfitta. "
"Estremismo malattia infantile del comunismo, infantilismo malattia estrema del comunismo"

domenica 2 ottobre 2011

"In me e nei compagni raccolti nel gruppo dirigente intorno a Togliatti, è sempre stato vivissimo il senso dello spessore reazionario accumulato nei secoli nella società italiana. Da qui l'accettazione di una prospettiva necessariamente lunga di trasformazione democratica, (...) ma anche di una riforma culturale, nazionale, morale, in senso gramsciano." Giorgio Amendola