Blog che si occupa di geopolitica, politica italiana, storia del comunismo, della sinistra italiana e osservatorio sui movimenti estremistici e sul nuovo antisemitismo
venerdì 28 luglio 2017
Terra, libertà e cattivi maestri
Terra e libertà è un vecchio film di ken Loach, che ha segnato la mia giovinezza, la potenza visiva di questo film è ancora oggi attuale, capace di rendere il pathos di quei anni e quell'estetica vestiaria e facciale così diversa dal sinistrismo sessantottino, ma che nel finale trascende in una emotività antistorica, ma che sopratutto non coglie l'aspetto di quei anni, pur mostrandolo chiaramente in alcune scene centrali del film, che vengono però sovrastate dal clima epico del finale: Quello che nel film solo traspare è che gli anarchici e i trotskisti erano più stalinisti degli stalinisti e avrebbero fatto in Spagna quello che Stalin aveva fatto in Russia, la collettivizzazione forzata della terra, l'oppressione e l'eliminazione dei kulaki, se non fosse che Stalin preferiva evitare di farlo in terra iberica per motivi tattici e pragmatici. La teoria del socialismo in un solo paese, già in nuce in Lenin, mette in evidenza come in Europa occidentale il comunismo fosse finito dopo la fine della prima guerra mondiale e che ai comunisti occidentali non restava che portare avanti una politica di alleanze e di riforme o di aspettare il precipitare della situazione internazionale in vista della terza guerra mondiale e dell'avanzata dell'armata rossa. Ma intorno a ciò si sviluppò una narrativa della rivoluzione tradita, delle occasioni mancate, che negli anni '70 trascese nel terrorismo e nella lotta armata. In questo senso quello di Ken Loach è un bel film, con molte sfaccettature, ma il suo messaggio di fondo rientra apieno titolo nella categoria dei cattivi maestri.
domenica 23 luglio 2017
La contraddizione dell'intellettuale marxista
E se la storia avesse da insegnarci qualcosa? Certo, ci ripetono, fare analogie storiche può essere sbagliato e fuorviante, la storia non si ripete mai uguale, ogni epoca ha le sue peculiarità, ma se invece conoscere la storia potesse servire a capire il presente, a non commettere gli stessi errori del passato? Mi sono avvicinato alla storia in una qual misura strumentale, da militante politico, per dimostrare la giustezza di certe tesi in un certo momento che venivano abbandonate, non senza un certo opportunismo, o se vogliamo in una logica di ritirata strategica, ma se invece la storia fosse neutra? Se si potesse ricostruire oggettivamente. Certo, ma il marxismo ha voluto costruire un intellettuale nuovo, che non si limitasse allo studio speculativo, ma a modificare il presente, a incidere sulla realtà, eppure tanti intellettuali marxisti sono poi giunti alla conclusione, mai ammessa esplicitamente, che non si può essere partigiani e intellettuali allo stesso tempo. Il volontarismo, tornando alle lezioni della storia, ha prodotto mostri, il tempo fa il suo corso, sapendo che alla lunga il buon senso vince sempre e il propagandismo schiude alla paranoia.
sabato 22 luglio 2017
La natura del Pd
Si può essere a favore di Renzi o contro Renzi, tutto ciò chiaramente è legittimo e valido reciprocamente, ma quello che è oggettivamente irreale è l'idea che Renzi abbia snaturato il Pd e la sinistra. Il Pd non è il Pds e non è nemmeno un Pds che ingloba la Margherita, ne' la fusione a freddo dei due partiti, non lo è mai stato. Il Pd, la cui fondazione trovò la strenua opposizione di D'alema, nasce per superare un partito che si limitava a presidiare il territorio della sinistra ortodossa, ricucendo i rapporti con l'estrema sinistra e infine alleandosi con il centro per mere questioni di somme algebriche elettorali. Il Pd, nell'idea del suo fondatore e primo segretario Veltroni, nasce per superare questo schema, per creare un partito dalla dimensione nazionale in grado di farsi carico delle domande che vengono anche dai ceti moderati e da quelli popolari non riconducibili ad un'idea stereotipata di popolo, per esplorare nuovi territori, un partito non statico, non fedele allo schema di gioco di sempre, ma aperto, mobile. Questo è il Pd. Lo è sempre stato. Organismo di una sinistra capace di non ridurre il concetto di uguaglianza ad un mero odio per i ricchi, ad un pauperismo intriso di invidia sociale e rancore, ma metterlo in relazione con il vero valore della sinistra: la libertà. Una sinistra non prigioniera di parole d'ordine perentorie e astratte, ma capace di dare concretezza ai valori.
mercoledì 19 luglio 2017
In difesa del partito
Per Togliatti i partiti erano la democrazia che si organizza, ma anche, aggiungiamo noi, la democrazia di un partito si vede dalla sua organizzazione. Oggi, di partito, nel vero senso della parola, dopo il "golpe" di tangentopoli, ne è rimasto in piedi uno solo. La democrazia, certo, è sporca, corrotta, disonesta, meticcia, contraddittoria, compromissioria, "inciucista", liquida. Le dittature invece sono oneste, pure, lineari, coerenti, solide, efficienti. Gli psicoguru e gli arruffapopoli hanno sempre ragione. Questo è il discorso egemonico che sta minando anno dopo anno le istituzioni. Ma d'altra parte oggi stiamo assistendo ad un attacco senza quartiere e concentrico tanto contro Renzi o per lo più contro il Partito come partito? Colui che veniva accusato di sfasciare il partito non lo stava forse modernizzando e portando nel ventunesimo secolo, oggi la nobiltà di partito che diceva di difenderlo dal rottamatore non si è scoperta come i peggiori frazionisti e antipartito, disposti a tirare la volata a Grillo e Salvini pur di decapitare e disarticolare la sinistra? Oggi la battaglia non è solo contro il rozzo populismo di destra, ma anche contro quello eversivo di sinistra, ma non solo, compito del partito è rispondere alle sfide del populismo senza cedere all'aristosinistra tecnocratica ed elitaria. Quanti danni ha fatto la delegittimazione degli ultimi governi, nati dal voto parlamentare, come tutti i precedenti, quanto è totalitaria la retorica della democrazia diretta e quanto apre la strada a scorciatoie dittatoriali? Può sembrare di questi tempi una affermazione ridicola, ma la difesa del partito democratico ha a che fare con la democrazia reale, con la libertà sociale e individuale, si può pensare a una democrazia senza partiti? L'identità di un partito è dato dalla sua organizzazione e basterebbe vedere come sono organizzati gli altri partiti per capire che l'unico partito democratico è quello che porta il suo nome e che gli altri non sono partiti nel senso repubblicano del termine. Solo il Pd fa le primarie aperte a tutti, così tanto denigrate, discute pubblicamente, non ha mai espulso chi quotidianamente in questi anni è andato contro la linea ufficiale. La base democratico-borghese e quella democratico-popolare si deve mobilitare per bloccare questa manovra a tenaglia, populisti di destra, pupulisti eversivi di sinistra, aristosinistra tecnocratica ed elitaria. Compito del partito democratico oggi è combattere il populismo di destra e di sinistra, ma anche quelle elite schizofreniche che odiano il buon senso e la logica e cinguettano con il sovversivismo.
martedì 18 luglio 2017
Quando la sinistra parlava di nazionalismo correttamente inteso
Se dici patria in Italia, dici fascismo. Può sembrare ovvio, d'altra parte il fascismo non fu forse un movimento nazionalista? Può sembrare normale che qualunque "democratico" o persona di sinistra non ne voglia sapere di parlare di patria, ma non è così. lasciamo da parte il risorgimento democratico e socialista di cui nessuno si ricorda, ma la stessa resistenza antifascista fu patriottica. Non solo gli antifascisti non comunisti, ma anche i comunisti consideravano l'antifascismo una forma di patriottismo da contrapporre al nazionalismo fascista. Nel campo comunista fu Stalin a voler dare questo segno alla lotta contro Hitler e Mussolini, arrivando a sciogliere la terza internazionale e facendo dire a Dimitrov che "il nazionalismo correttamente inteso non è contrapposto all'internazionalismo". La natura tattica, ma sopratutto temporanea di questa linea non impedì che in Italia fosse interpretata in senso strategico dai togliattiani più conseguenti, come il leader comunista Giorgio Amendola. Pertanto, fu solo con l'esplodere del '68, nel contesto di una dura contestazione al Pci togliattiano, che questa interpretazione patriottica dell'antifascismo e in ultima analisi del comunismo italiano venne bollata come "retorica" e "controrivoluzionaria", venendo messa in severa discussione in nome di un nuovo internazionalismo che guardava alla Cina di Mao e ai movimenti terzomondisti, che per inciso erano a loro volta ipernazionalisti dal loro punto di vista, facendo quindi fare la figura degli utili idioti ai loro epigoni occidentali. Fu quindi solo allora che il patriottismo e parole come patria divennero degli appestati a sinistra, dal momento che anche l'Unione Sovietica aveva da tempo abbandonato quella linea e aveva introdotto il pacifismo come linea tattica che i comunisti occidentali dovevano portare avanti nel contesto della guerra fredda, da alternare con il ritorno del rivoluzionarismo. Cosa rimane oggi di tutto ciò? Siamo nell'era che è stata definita postideologica, e questo sarebbe un bene, ma che potremmo anche dire postgeopolitica e postpolitica, nel senso che molte persone assumono posizioni senza avere la coscienza del significato geopolitico, storico e politico delle loro posizioni.
venerdì 14 luglio 2017
L'antisemitismo è la vera essenza del nazifascismo
C'è una sinistra che tende a definire come "fascista" e di destra tutto ciò che non la pensa come lei, ma si dimentica che il nazismo e in un secondo momento anche il fascismo, furono sopratutto antisemitismo, l'odio per gli ebrei è la vera natura del nazifascismo, il resto sono chiacchiere.
giovedì 13 luglio 2017
Maggioranze e minoranze
Esiste una cultura politica che dice che la minoranza deve avere diritto di parola e possibilità di provare a modificare la linea, ma non può avere diritto di veto e di ricatto. E' un costume che attraversa la storia nelle sue fasi anche più drammatiche e tragiche, ma che ha in ultima analisi una sua giustezza, al netto degli errori della storia. Questa cultura si chiama centralismo democratico e disciplina di partito. Chi lo dice è un individualista convinto, altrettanto convinto però che le ragioni di una comunità devono prevalere sulle ragioni di corporazione e di gruppetti e correnti.
Considerazioni storiche sul dibattito destra-sinistra
Da anni si discute del superamento di destra e sinistra. E' un discorso che sembra sempre nuovo, ma in realtà risale a cento anni fa. Una certa ortodossia di sinistra, tende a considerare ogni discorso del genere come un cammuffamento della destra. Tutto ciò che è ne' destra e ne' sinistra tenderebbe naturalmente a destra, sarebbe in realtà destra. Si tratta di una legge politica che ha un fondamento storico nel fatto che i primi a rompere con la dicotomia destra-sinistra furono i fascisti, che però in effetti a ben vedere sarebbe riduttivo definire un movimento solamente di destra. Il fascismo era proprio l'unione di idee di estrema sinistra e di estrema destra e ciò rende attuale il fatto che destra e sinistra, pur esistendo innegabilmente, non possono spiegare tutto, e che se portate su un piano rigido risultano uno schematismo, ma soprattutto che esistono da decenni due destre e due sinistre, una sinistra e una destra moderata e una sinistra e una destra estremista. La vulgata "progressista" ha invece sempre voluto considerare il fascismo di destra, a volte estrema destra, ma per una certa ortodossia di sinistra la destra moderata neppure esiste, per cui tutto ciò che è destra è fascista, dove inoltre la destra è il male e la sinistra non può che essere il bene su un piano etico-morale. Se invece il fascismo è anche un po' di sinistra, forse c'è qualcosa che non va anche nella sinistra, e in particolare in quella che storicamente si è sempre nutrita di "uomo nuovo", "rivoluzione", massimalismo, forse c'è qualcosa che non va nel socialismo, in certe concezioni totalitarie della società. Tutto questo ragionamento è sempre stato rifiutato dal "centro" della sinistra, cioè da chi, secondo una certa storiografia, è tatticamente di sinistra moderata, ma strategicamente di estrema sinistra. Questo rifiuto con il fare i conti con gli elementi di sinistra del fascismo, effettivamente va a dimostrare la natura strategicamente estremista del "centro" della sinistra.
martedì 11 luglio 2017
I pregiudizi verso Renzi, questione politico-ideologica, odio antropologico o mera questione d'immagine?
Abbiamo visto in precedenza come Renzi rompe con la tradizione della sinistra anticapitalista, antioccidentale, con lo schema della sinistra ulivista alleata con la sinistra radicale, ma tutto questo non basta di certo a spiegare lo schieramento antirenzi, il quale è composto anche da una larga fetta di sinistra che di marxista o vagamente tale e nemmeno socialdemocratico non ha più nulla, se mai lo ha avuto. L'odio per Renzi allora è antropologico, riguarda la sua persona, il suo ottimismo boy-scout, le sue giacche di pelle, le sue camice bianche, le sue cravatte scure e azzurre, il fatto di non essere uno pseudointellettuale borghese, il suo navigare nelle ragioni degli altri, ma anche tutto questo non basta a spiegare. L'odio per Renzi in definitiva è l'odio per la sua comunicazione da parte di una sinistra senza sostanza per la quale la forma, l'immagine, la comunicazione, la narrazione è tutto. La colpa di Renzi è la colpa di chi ha affermato che la comunicazione di Berlusconi è più efficace di quella manipolatoria e mobilitante di Repubblica, delle poesie barocche di Vendola e di quella bombardante de La 7. Con le sue slides, i toni informali, le battute da toscano, l'ottimismo della ragione, la sinistra del fare, è lontanissimo dai toni fintamente e posatamente riflessivi delle madonne addolorate della sinistra etica e dai soporiferi toni professorali di un Letta o di un Monti, ma anche lontano dall'indignazione psicomoralista della sinistra filogrillina. Per una sinistra per cui la comunicazione e l'immagine è tutto, la comunicazione e l'immagine di Renzi è intollerabile, a scapito magari di contenuti che non risulterebbero così insopportabili in bocca ad un altro.
domenica 2 luglio 2017
Ottimismo, tradizione e innovazione
La sinistra negli ultimi cent'anni, per non dire dalla sconfitta della Comune di Parigi, si è duramente scontrata con la realtà, è andata incontro a molte sconfitte, ad analisi e previsioni sbagliate, a errori commessi. Ogni fase storica ha portato con sè errori che hanno portato nei leaders della sinistra la necessità di operare svolte, cambiamenti, innovazioni, anche radicali, nella struttura stessa della sinistra, che hanno trovato molte resistenze interne che sono alla base delle divisioni che attraversano questa parte politica. La sconfitta, ma anche solo la fine di una fase storica, ha portato in molti al riflesso di rifugiarsi nella mitizzazione della fase storica precedente e nello spiegare le sconfitte con la retorica della "rivoluzione tradita", nel tradimento dei capi, con il complottismo e con una visione cristallizzata che vorrebbe fermare le lancette dell'orologio della storia. Se le cose non sono andate come dovevano, si preferisce rifugiarsi e rimpiangere quella fase in cui sembrava che le cose sarebbero andate come dovevano, ma in realtà certi meccanismi erano presenti già in quella fase storica, che inoltre non era spianata come ci si ricorda. Il bisogno di essere fedeli ad una tradizione è un meccanismo umano a cui nessuno sfugge. Anche i rivoluzionari si curano di rendere subito tradizione il proprio percorso, si pensi alle celebrazioni, alla narrazione, alle date della rivoluzione francese e bolscevica. Ogni leader innovatore deve tenere conto di questo aspetto e non deve cadere nel nuovismo. Lenin stravolse e ribaltò tutto il pensiero di Marx, avendo cura di presentarsi come un suo allievo e continuatore della sua opera e rispedendo l'accusa infamante di revisionismo sulle spalle di Bernstein. Togliatti seppe bene costruire un percorso di innovazione nella continuità. Negli ultimi 25 anni la storia ha iniziato a viaggiare ad un ritmo vorticoso, mentre la percezione è che sia tutto immobile, fermo agli anni '90, ma non è così, tutto è cambiato dal crollo dell'Unione Sovietica in poi e ha continuato a cambiare. Stare al passo della storia, non estinguersi è stata la bussola di molti leaders della sinistra, ma non è stato facile farsi capire dal proprio popolo e spesso si è caduti nell'errore del nuovismo, distruggendo nomi, simboli, riferimenti, linee. Ciò ha provocato una infinita serie di scissioni e divisioni, che hanno aperto la strada a demagoghi, opportunisti, fenomeni regressivi, neoutopistici, neopopulistici, intellettualistici. Come Marx riconobbe i meriti storici del socialismo utopista per introdurre la fase del socialismo scientifico, oggi le forze del cambiamento devono evitare di essere iconoclaste, ma dare un senso ottimista al proprio progetto, riportando quanto di buono è stato fatto nel passato e dando nuova linfa. Ottimismo, tradizione, innovazione sono i tre punti cardine e integrati tra loro alla base del discorso nuovo.
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