Pagine

venerdì 17 agosto 2018

L'autocritica che non c'è stata

Tra gli errori di Renzi fortunatamente non c'è stato quello di aver fatto autocritica dopo la sconfitta elettorale del 4 marzo. Quell'autocritica con cui i vari Berja di Gallipoli e Kruscev di Bettola lo aspettavano al varco per finirlo definitivamente. Perchè l'uso della parola autocritica non è stato affatto casuale.

Nella storia della sinistra, infatti, e in particolare dei comunisti, quando si parla di autocritica non si sta parlando di quello che si potrebbe letteralmente pensare. "L'autocritica" è sempre stato qualcosa di molto più pesante; è innanzitutto un rituale, una regola, chiunque venisse messo in minoranza nel partito doveva sempre fare pubblica e solenne autocritica, inteso come atto di sottomissione della minoranza verso la maggioranza, dell'individuo verso il collettivo, solo che Renzi, al momento, non è affatto stato messo in minoranza, pur essendosi dimesso da segretario, ancora nessun congresso o primarie lo ha messo in minoranza. Inoltre, chi gli chiedeva solennemente l'autocritica era ormai fuori dal partito, perciò l'autocritica da parte di Renzi non aveva alcun senso da un punto di vista storico e politico.

Un altro caso in cui nella storia della sinistra e dei comunisti si faceva autocritica era quando si era stati condannati a morte dal partito, la più famosa autocritica della storia della sinistra è infatti quella di Bucharin prima di essere giustiziato, dove l'ex pupillo del partito, si dichiara in toto colpevole e in torto, una sorta di confessione sul modello dei condannati dall'inquisizione cattolica. Anche questo caso non era quello di Renzi, anche se al Berja di Gallipoli sarebbe piaciuto.


Nessun commento:

Posta un commento