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mercoledì 26 giugno 2019

Luci e ombre dell'appello di Calenda

L'appello di Calenda per un nuovo partito di centro liberaldemocratico alleato della sinistra-sinistra parte in maniera paradossale dall'idea che ormai tra la sinistra di Zingaretti e il centro liberale non ci siano più differenze, mentre oggi vivremmo un attacco alla democrazia liberale da parte della destra, per il quale dobbiamo stare tutti uniti contro questo pericolo nero. Allo stesso tempo però, a detta di Calenda, il senso di appartenenza dei due schieramenti interni al Pd (la sinistra-sinistra di Zingaretti e l'ala centrista dei postrenziani) necessita di una componente centro-liberale distaccata dal Pd(s). Come dire, io e Zingaretti la pensiamo ormai uguale su tutto, ma la base non capisce, è divisa e ha bisogno di una distinzione identitaria. Si tratta di una analisi non condivisibile e che infatti lo stesso Calenda contraddice nella seconda parte dell'appello, tra l'altro lanciando l'idea di primarie di coalizione per la leadership, che denota meno ingenuità rispetto alla stessa analisi di base dell'appello.

Innanzitutto non è vero che tra socialdemocratici italiani (ma sarebbe meglio parlare di postcomunisti) e liberali non ci siano più differenze. Se infatti nel corso del '900 i liberali hanno acquisito e interiorizzato molti elementi socialisti, come il diritto alla giusta retribuzione dei lavoratori, allo studio, alla casa, alla pensione, da coniugare però con la stabilità dei conti, lo sviluppo economico e la cooperazione tra classi, i postcomunisti italiani non hanno realmente acquisito e interiorizzato molto del liberalismo, mantenendo di fatto in vita i due capisaldi del comunismo novecentesco: il pregiudizio antiamericano e il pregiudizio sia verso gli imprenditori ma anche verso i ceti medi, che sarebbero però questi ultimi da attrarre per motivi tattici dalla propria parte, ovviamente in condizione di subalternità. Il tutto avendo ormai perso il voto operaio e di fatto rappresentando solo il mondo dei professionisti, degli intellettuali e delle arti, dello spettacolo e della comunicazione.

Ma infatti nella seconda parte dell'appello Calenda ci tiene a precisare che l'alleanza si romperebbe nel caso Zingaretti si alleasse con i grillini, di fatto rendendo concreta questa ipotesi. Ma perchè Zingaretti, che secondo Calenda è un liberale specchiato, dovrebbe allearsi con il partito più antiliberale e antidemocratico che esiste in Italia? Evidentemente l'ala di Zingaretti, che da anni considera i grillini dei compagni che sbagliano, non crede tanto nella democrazia liberale, quanto nel vecchio schema che in poche parole consiste in questo: Inventarsi un'inesistente emergenza sul ritorno del fascismo (incarnato ovviamente non dai 5 stelle ma da Salvini), chiamare tutti i "sinceri democratici" a raccolta mettendosi alla testa di una grande coalizione antifascista e costituzionale, a cui il centro e le altre sinistre si devono accodare in posizione subordinata. Questo schema, a dire il vero, non ha mai funzionato (sia con la svolta di Salerno, sia con il compromesso storico, sia in chiave antiberlusconiana), senza tener conto delle dissidenze all'estrema sinistra, o per l'emergere di un leader centrista che ha messo in minoranza la sinistra, la quale a questo punto torna alla lotta dura e pura abbandonando il centrosinistra non potendolo controllare e comandare, o per la netta affermazione della destra come negli anni '90, che però, è il caso di Berlusconi, non porta a nessun regime fascista.

Anche in questi mesi l'allarmismo sul ritorno dell'uomo nero strombazzato ai quattro venti dal mondo degli agit-prop e degli artisti militanti è stato smentito dal ridicolo risultato delle due liste di estrema destra, ferme allo 0,3 e 0,1 per cento alle ultime elezioni europee. Ovviamente si potrebbe dire che il voto neofascista è tutto confluito nella Lega di Salvini, che tra l'altro è stato alleato per un breve periodo con Casa Pound, per poi rompere, ma un sondaggio dell'istituto SWG dice che ad oggi solo il 27% degli elettori della Lega si definisce di destra, il 45% si definisce di centrodestra, il 12% non si colloca, il 7% si definisce di centro e il 9% di sinistra. Altri dati dicono che la metà degli operai italiani recatisi alle urne ha votato Lega, che il 10% dei tesserati della Cgil vota lega. Una situazione complessa, dati di certo da interpretare in vari modi, ma che sicuramente non prestano il fianco ai facili schematismi strumentali.


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