Vittorio Arrigoni era un attivista della causa palestinese che viveva a Gaza e proprio a Gaza fu ucciso da un gruppo salafita nel 2011. Gli imputati al processo giustificarono la loro azione criminosa descrivendo Vittorio come un elemento che aveva portato la corruzione occidentale in Palestina. La sua colpa era quella di essere gay.
Purtroppo è questa la grande contraddizione per chi si schiera per la causa terzomondista e si ritrova a confronto con realtà reazionarie e oscurantiste. Il mai risolto rapporto con la modernità e le mai abbandonate tesi sull'imperialismo di Lenin portano ad un cortocircuito insolubile, per cui il giornalista del Manifesto, Michele Giorgio, è arrivato a scrivere " “tre dei quattro imputati per l’assassinio di Vittorio Arrigoni hanno lanciato un insidioso tentativo di gettare fango sulla figura dell’attivista e giornalista italiano“, come se essere gay fosse una accusa infangante, ma è lo stesso reporter a spiegare il senso di per sè incomprensibile di una frase detta da un giornale che sostiene in Occidente il movimento lgbt: “Vittorio conosceva bene le tradizioni di Gaza, rispettava la sua gente ed era attento a non turbare le sensibilità locali.“
Quindi questa è la gerarchia, al primo posto la geopolitica, la lotta contro l'Occidente e Israele, in secondo luogo gli ideali politici e all'ultimo posto la difesa della diversità, che in realtà appare come un mero strumento della lotta ideologica, subordinata a sua volta alla geopolitica.
La sinistra riformista e i liberali in generale devono perciò riprendere in mano la battaglia per la diversità, sottraendola dal gioco dell'egualitarismo, ma non facendosi strumentalizzare a loro volta dai nazionalpopulisti, che anche loro scavano nelle ipocrisie della sinistra egualitaria, ma solo per imporre il loro egualitarismo di estrema destra, che al conformismo sociale e ideologico dell'estrema sinistra, contrappone un conformismo morale e antropologico.
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