Blog che si occupa di geopolitica, politica italiana, storia del comunismo, della sinistra italiana e osservatorio sui movimenti estremistici e sul nuovo antisemitismo
venerdì 30 giugno 2017
I diritti civili come strumento del totalitarismo
La vicenda dei gay ebrei espulsi dal gay pride di Chicago, perchè per gli organizzatori si trattava di una manifestazione di carattere "antisionista" e "più inclusiva e orientata verso la giustizia sociale" chiarisce bene che il movimento Lgbt, almeno nelle sue componenti più radicali come nella città americana, non è un movimento di omossessuali per i diritti civili, ma una delle cinghie di trasmissione di un progetto più ampio tendente a destabilizzare gli stati occidentali attraverso una piattaforma neototalitaria e antiliberale, dove l'individualità è subordinata all'universalità, la diversità all'uguaglianza e l'inclusività alla giustizia sociale. Anche se è vero che la comunità Lgbt ebraica ha potuto sfilare in Italia, ma tra gli insulti di alcuni gruppetti che nessuno ha condannato, sfogliando alcuni dei siti dei numerosi gay pride locali disseminati per tutta Italia non si riesce a trovare una sola parola per i gay impiccati in Iran, per i gay presi a pallottole di gomma in Turchia, gettati dalle finestre nello Stato Islamico o ammazzati nella Palestina oscurantista di Hamas, ma solo duri attacchi agli stati democratici e alle loro strutture territoriali attraverso una retorica schematicamente e superficialmente marxisteggiante e una chiara visione di matrice tardoterzomondista, oltre alla vecchia e strumentale battaglia per piegare la Costituzione ai propri fini politici. Un movimento che appare fortemente fortemente politicizzato dunque, che vorrebbe creare un velleitario blocco sociale composto da immigrati, femministe e gay, sottomessi e al servizio di residuati bellici delle lotte "anti-imperialiste" (violente e non-violente) degli anni '70 e di vecchi e nuovi interessi geopolitici, i cui risultati tangibili sono stati imporre ai Media e parte della società un linguaggio orwelliano e il cui prossimo obbiettivo di medio termine è una legislatura repressiva che imbavagli la stampa e la libertà d'espressione. Usare il tema dei diritti civili come "utile idiota" non è una cosa nuova nella storia, nel '900 i movimenti per i diritti civili in diverse parti dell'occidente erano aree cuscinetto per movimenti terroristici strettamente correlati con l'Unione Sovietica. La storia non si ripete mai uguale (forse), ma ci insegna sempre qualcosa.
giovedì 29 giugno 2017
Governare l'immigrazione non con gli slogan, ma con la serietà
L'immigrazione è un fenomeno che va governato. Secondo le stime dei sindaci l'Italia non è in grado di accogliere più di 200mila richiedenti asilo all'anno. Di questo passo quest'anno ne arriveranno due milioni. Ma non è solo una questione di numeri. L'immigrazione va affrontata con il giusto criterio culturale e avendo il coraggio di espellere chi non ha il diritto di stare sul nostro territorio, ristabilendo la legalità e il rispetto dei confini. Uno stato democratico ha tutto il diritto di difendere i propri confini, altro che no borders e altri slogan infantili da psicomoralisti. Vi sono poi le implicazioni sociali del fenomeno. E' un dato di fatto che l'immigrazione è un fenomeno ben visto dalle elites, da chi sta in alto, e malvisto e non voluto da chi sta in basso. Non si tratta di fare della demagogia o del populismo, il popolo può anche avere torto, ma è un altro dato di fatto che il peso e i costi dell'immigrazione ricadono tutti su chi sta in basso, su chi sta nelle periferie. Troppo comodo dire welcome refugees e poi sono gli altri a dover accogliere.
mercoledì 28 giugno 2017
Le anime belle del populismo chavista
L'articolo del Foglio, "i rumorosi silenzi dei bolivariani d'occidente", spiega bene lo schema delle anime belle e anche in cosa consistono le anime belle di cui da decenni si sente spesso parlare nel dibattito a sinistra. Di fronte allo sfacelo storico di un sistema si trova un capro espiatorio e si rimpiange il padre fondatore, in realtà vero responsabile del disastro, pur di non fare i conti con la storia. Di fronte al disastro del leninismo, le anime belle trovarono in Stalin il perfetto capro espiatorio, di fronte al disastro del populismo chavista, si trova in Maduro il capro espiatorio. Gli ideali erano giusti, i fondatori puri, ma un solo cattivo usurpatore ha distrutto tutto. Ma il solo socialismo che può soppravivere è quello di mercato e non solo per una questione di fallimento storico-economico del socialismo integrale o di libertà civili e politiche. Abolire il profitto personale è una misura antiumana che riduce l'ambizione personale al potere e alla carriera politica o alla feroce competizione che s'instaura nei sistemi totalitari per essere cittadini modello in una gara di fedeltà all'ortodossia ideale, con la catena dei sospetti, delle paranoie, delle accuse e delle controaccuse.
lunedì 26 giugno 2017
Elezioni amministrative 2017, roccaforti simboliche e controtendenze
Le elezioni amministrative del giugno 2017 hanno determinato nei comuni con più di 15000 abitanti 67 vittorie del centrosinistra, 59 del centrodestra, 8 del Movimento di Casaleggio, due del centro, venti di liste civiche e due della sinistra radicale. Il dato sensibile è sicuramente quello di una certa vitalità dell'elettorato di centrodestra (con una netta controtendenza, come vedremo, in Veneto), tornato a mobilitarsi dopo anni, il dato più evidente è il tracollo dei grillini, mentre meno si è parlato di un certo astensionismo dell'elettorato di centrosinistra e dell'incapacità del Pd di attrarre voti fuori dal proprio perimetro in occasione dei ballottaggi, vero tallone d'achille del partito e che però sta portando anche a considerazioni fuorvianti tra i commentatori. E qui viene fuori la difficoltà di trasportare a livello nazionale un voto non solo locale, ma strutturato in maniera differente. A livello nazionale non c'è il ballottaggio e dunque se è vero che in caso di confronto Pd-cinque stelle l'elettorato di centrodestra tende ad andare in aiuto dei grillini in funzione anti-Pd come successo nel 2016 e precedentemente, mentre in caso di ballottaggio Pd-centrodestra i grillini tendono ad aiutare il centrodestra come successo quest'anno, con una legge nazionale proporzionale questo discorso tende a scemare, anche se rimane a indicare certi vasi comunicanti e dall'altra un certo isolamento del Pd, che ancora fatica a sviluppare il progetto renziano di uscita dal recinto. Questo ha ovviamente portato i fautori della rifondazione ulivista a spingere per una riedizione del centrosinistra allargato, magari a trazione sinistra-sinistra e arancione, ma laddove si è verificato, in un comune simbolico come Genova, si è andati incontro a una netta sconfitta, mentre a Padova e Lecce, il Pd alleato con pezzi di centrodestra vince (e qui si segnalano le incredibili parole del governatore Emiliano, che non ha mai sostenuto il candidato di Lecce e a vittoria avvenuta s'intesta la vittoria blaterando di centrosinistra unito). Ma anche qui intervengono fattori locali, la voglia di discontinuità amministrativa (ma non si sa se anche politica) dei genovesi, le divisioni locali del centrodestra a Lecce e Padova. Ma la cosa ancora più fuorviante è data dal fatto che il centrodestra unito tende a vincere localmente, ma a livello nazionale in realtà è tutt'altro che unito. D'altra parte sarebbe anche illusorio pensare che i grillini siano finiti, anche se in questi anni sono stati gonfiati dai sondaggi, dai media e dalle vittorie di Torino e Roma determinate da situazioni locali e particolari. Il vero dato interessante, completamente oscurato, è quello del Veneto: Mentre tutti si soffermano sul valore simbolico della caduta di alcune roccaforti storiche della sinistra come Genova, Sesto San Giovanni e Carrara, alimentando la psicoegemonìa rifondazionista dei valori del passato traditi, nessuno si accorge della netta avanzata del Pd in Veneto, Verona a parte, e del forte arrettramento del centrodestra in questa regione, frutto di situazioni locali o segnale che il progetto renziano di riportare la sinistra nei centri produttivi, abbandonando il mondo della cultura autoreferenziale e dell'arte uguale a sè stessa inizia a prendere piede?
venerdì 23 giugno 2017
Come "diversità" e inclusione distruggono la libertà personale/ 2
Dunque come abbiamo visto il concetto di diversità non è solo unilaterale, ma è anche rinchiuso in un contesto di inclusione collettiva e quindi di eguaglianza. "Diversi, ma uguali" è uno slogan che spesso si sente proferire in varie sedi per rappresentare il mondo che si vorrebbe e che ha una doppia funzione. Da una parte serve a dare una sembianza di pluralità ad un concetto come l'uguaglianza che nel corso del '900, con lo sfacelo degli esperimenti socialisti, si è deteriorato ed è stato sempre più visto come monolitico, omologante e grigio, e dall'altra, come avevamo già visto, rimette in gioco l'uguaglianza a discapito della libertà. Dobbiamo fare un passo di venti-trent'anni indietro a questo punto. Il liberalismo ha sconfitto il socialismo quando sempre più persone si sono convinte che la libertà deve avere più importanza e più peso dell'uguaglianza e che l'uguaglianza può vivere solo nella libertà, ma non viceversa. E' sorta così una sinistra moderna, un nuovo tipo di riformismo che non si poneva più l'obbiettivo di smantellare pezzo per pezzo il capitalismo in forme graduali per giungere al socialismo, ma di migliorare il capitalismo integrandosi con esso. Un'ala sinistra del liberalismo perciò, una collocazione che ha però fatto inorridire tanti trinariciuti sopravvissuti ai disastri dei totalitarismi del '900 e alla bancarotta delle socialdemocrazie, che hanno iniziato così una battaglia ideologica per resuscitare le loro idee egualitariste, riproposte, e qui torniamo al punto di prima, in termini come "diversità", "inclusione", "multiculturalismo". Un'azione di egemonìa linguistica ancor prima che culturale, che ha permesso agli sconfitti del '900 di rientrare in gioco (Ovvio, la crisi economica dal 2008 ad oggi ha favorito un forte ritorno dell'anticapitalismo, ma solo un determinismo economicista può far pensare che sia quello il motivo principale). Proviamo a fare un esempio concreto. La legge dello Ius Soli. Servono però alcune premesse. Lo Ius Soli in Italia esisteva già. I figli degli stranieri cresciuti in Italia e che hanno frequentato le scuole dell'obbligo in Italia al compimento dei diciotto anni possono chiedere la cittadinanza italiana. Sarebbe dunque assurdo opporsi a qualcosa che esiste già. Ma vediamo come la modifica dell'attuale legge crea una finta diversità omologante e inclusiva, ma non aggiunge, anzi toglie libertà. Tralasciamo ovviamente gli aspetti squisitamente politici della vicenda che qui non interessano (pressing del Vaticano, cioè di uno Stato straniero sullo Stato italiano, tentativi di spostare a "sinistra" il Pd, o meglio su posizioni cattocomuniste, nell'ottica di una resurrezione dell'Ulivo con annessa alleanza alla sinistra radicale) e vediamo in cosa consiste la legge. Potranno ottenere la cittadinanza italiana anche i neonati da almeno un genitore straniero residente in Italia da cinque anni o i bambini nati all'estero che hanno fatto un ciclo di studi in Italia. Saranno i genitori a chiedere per loro la cittadinanza senza che dei neonati o dei bambini di dieci anni possano avere la minima consapevolezza di cosa significhi il concetto di cittadinanza e di conseguenza la libertà di scegliere se ottenere quella del paese dei genitori o quella italiana. Un grado in meno di coscienza, di consapevolezza e quindi di libertà, ma maggiore inclusione secondo il dogma un po' xenofobo che recita "nessuno è straniero", come se essere italiani fosse un titolo di merito ed essere stranieri comportasse una condizione negativa sul piano soggettivo o oggettivo. Ricordiamo che gli stranieri legalmente residenti in Italia godono degli stessi diritti degli italiani e sono uguali davanti alla legge, ma sopratutto essere straniero è una condizione di diversità che dovrebbe arricchire la società e dare una personalità a chi la detiene quando questa si integra con il tessuto nazionale e ne accetta i valori fondanti, ma che invece in nome della finta diversità e attraverso questa sorta di nazionalismo del cuore si vuole abolire.
giovedì 22 giugno 2017
Come "diversità" e inclusione distruggono la libertà personale
Diversità, inclusione, multiculturalismo sono i concetti che stanno sostituendo a mano a mano i valori fondanti della nostra società come libertà e individualità. Questo fenomeno arriva a toccare i punti più impensabili ed ogni aspetto del nostro mondo occidentale. Persino la famosa bambola Barbie ha deciso di adeguarsi ai nuovi valori, come titola trionfante La Repubblica "addio perfezione, Ken e Barbie sono sempre più normali", tradendo un cortocircuito con la diversità, che non dovrebbe essere "normale". Succede che Barbie era troppo bella, troppo bionda, troppo consumista e occidentale e quindi, in nome della diversità, deve omologarsi a un concetto stereotipato di normalità. Ora avremo Barbie e Ken con tutti i tipi di colore della pelle e vestiti secondo le mode del momento. Una bambola neorealista come forse nemmeno in Unione Sovietica avrebbero pensato. Quindi ora Barbie e Ken potranno essere "diversi" anche loro. Ma diversi da cosa? Diversi da se stessi e uguali a tutti e nessuno. Per diventare diversi bisogna perdere la propria personalità, la propria reale diversità. E' una non-diversità e per di più a senso unico, perchè se Barbie da principio fosse stata una militante afroamericana, nessuno le avrebbe chiesto di diventare bionda e bianca in nome della diversità. Questa è la truffa della finta diversità e del finto multiculturalismo a senso unico in cui viviamo, figli dell'odio di sè degli occidentali e che si accompagna ad un'altra ossessione contemporanea: l'inclusività, nessuno deve essere escluso, dobbiamo essere inclusivi, dobbiamo far tutti parte dello stesso progetto di società, di un'unica nazione universale, in questo caso non si tratta di una truffa ideologica, ma di una genuina e franca concezione totalitaria del mondo. Ecco perchè più siamo inclusivi, multiculturali, "diversi", e meno siamo liberi, siamo senza personalità, omologati e sempre più conformisti.
giovedì 15 giugno 2017
Renzi in cinque passaggi chiave
Volendo semplificare il percorso di Renzi, potremmo dire che il segretario del Pd ha colto alcuni passaggi vincenti nella sua scalata. Innanzitutto ha individuato in D'Alema il suo antagonista, capendo che l'ex segretario del Pds era un gigante dai piedi d'argilla. Oggi sembra scontato, ma quando Renzi ha deciso di sfidarlo si trovava di fronte ancora un personaggio potentissimo, ma frutto più di una rete di relazioni che di una solida struttura programmatica. Ma perchè D'alema? Questo introduce il secondo passaggio: Renzi, in continuità con Veltroni, ha deciso di cambiare lo schema politico del partito d'alemiano, capendo che questo schema, centrosinistra alleato con la sinistra radicale o estrema sinistra che dir si voglia, era fallito. Questo introduce il terzo elemento, la politica di Renzi è incentrata su idee economiche incompatibili con la sinistra anticapitalista, dove sinistra per il renzismo è coniugata con l'idea di opportunità e sviluppo, rifiutando l'assistenzialismo, la politica tasse e spesa, sostituendola con una politica di riforme dove la libertà d'impresa non è più vista come il nemico. Il quarto elemento riguarda la politica estera e il passaggio dalla politica tradizionalmente filo-araba della sinistra postbrezneviana a una più filo-israeliana e filo-occidentale, seppur con alcune cautele, si veda l'equidistanza tra atlantismo e Russia. Come si vede Renzi non ha inventato nulla, ma ha saputo giocare bene le sue carte portando alle estreme conseguenze alcuni punti che leader della sinistra comunista e postcomunista come Amendola, Napolitano e Veltroni avevano timidamente abbozzato ed è favorito nella costruzione di una sinistra liberale e riformista dalla deriva populista del centrodestra da una parte e dalla deriva populista e filo-grillina dell'estrema sinistra dall'altra, dove la dialettica marxista del superamento del capitalismo sulle basi del capitalismo stesso, è stata sostituita da un anticapitalismo radicale, manicheo, primitivista e antimoderno. E' anche per questo che Renzi ha visto in Grillo il suo nemico principale, facendo gli altri il suo gioco e aprendogli spazi. Nemico interno, politica delle alleanze, politica economica, politica estera e spazi da sfruttare sono i cinque passaggi chiave del renzismo. In questo articolo è rimasto fuori il discorso, importantissimo, dell'organizzazione del partito e dei militanti, il sesto elemento. Renzi non avrà saputo conquistare i salotti e le redazioni di sinistra, ma ha saputo conquistare la base del Pd, quando una volta perse le prime primarie contro Bersani, si è comportato con disciplina di partito sostenendo Bersani, viceversa quest'ultimo e D'alema, una volta perso la maggioranza, si sono comportati come i peggiori frazionisti antipartito, perdendo ogni credito tra i volontari del partito.
domenica 11 giugno 2017
Bassa affluenza, vera democrazia
Ogni volta che si verifica una bassa affluenza ad una tornata elettorale, c'è sempre chi si affretta a proclamare il funerale della democrazia rappresentativa: si tratta di uno dei tanti tasselli dell'opera di delegittimazione che da 25 anni viene portata avanti in Italia e in tutto il mondo occidentale nei confronti della democrazia parlamentare, precisamente da quando, caduto il socialismo reale, molte forze della destra populista hanno potuto abbandonare la loro alleanza tattica con la democrazia occidentale in chiave anticomunista, per ribadire le loro posizioni antidemocratiche, mentre dall'altra parte, sulle ceneri della crisi del marxismo e della socialdemocrazia, è sorta una sinistra neoutopista e antiliberale. In realtà è vero il contrario, è nei regimi totalitari che assistiamo alle code davanti ai seggi di gente trascinata più o meno a forze dalle squadre di partito e a percentuali bulgare di votanti. Nelle democrazie liberali una medio-bassa affluenza è un buon segno, dovuto al fatto che evidentemente non sono andati a votare coloro che odiano la politica (almeno quella intesa come arte del possibile e del compromesso, quindi quella tipica delle democrazie mature non legate ad un'idea totale di popolo), ma che se ci andassero sarebbero attratti dalle forze antisistema. L'affermazione di Macron in Francia e il flop dei grillini alle amministrative vanno lette in quest'ottica.
venerdì 9 giugno 2017
Sinistra regressiva e sinistra progressista
Il vuoto lasciato dal marxismo ha generato una deriva regressiva in quella sinistra che non è diventata liberale. La fine del marxismo, già deteriorato da Lenin in poi, ha creato solo in parte lo spazio per una sinistra moderna, ma gran parte di quello spazio è stato occupato da una sinistra premarxista, che ha rigenerato l'utopismo, il populismo, l'egualitarismo livellante. Sono in questo modo maturate due sinistre incompatibili tra loro, una liberal-socialista, l'altra populista, una sorta di riproposizione dei riformisti e dei massimalisti di un tempo, ma senza più il "centro" marxista. In Italia, ma anche negli altri paesi, chi si ripropone come "centro", è in realtà appiattito sulle posizioni dei populisti. Oggi è necessario, che come il partito comunista occupò lo spazio che era dei riformisti, la sinistra liberale occupi anche lo spazio del centro della sinistra che oggi nel senso comune è ritenuto proprio della sinistra radicale. Serve un'offensiva profondamente di sinistra. Sarebbe necessario che venissero rimarcate le analogìe tra il populismo di estrema sinistra e quello di estrema destra, divisi soltanto dal tema dell'immigrazione, ma uguali in tutto il resto. E' chiaro che oggi i liberali devono andare sempre più a sinistra, di fronte a una destra che non è cambiata, ma che ha mantenuto i caratteri demagogici e la natura antioccidentale di un tempo.
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