Pagine

venerdì 31 gennaio 2020

Gualtieri, un Robin Hood un po' particolare

Il ministro Gualtieri ha rilasciato al sole 24 ore una intervista in perfetto stile sovietico, un fiume di parole per dire poco o nulla. Tra tanto fumo si sono capite tre sole cose concrete, verranno abbassate le tasse al lavoro dipendente e invece ci saranno tagli alle detrazioni fiscali, poi ci sarà un aumento dell'Iva cammuffato con la meravigliosa parola di rimodulazione, cioè tradotto aumento delle tasse a imprese, partite Iva, commercianti e aumento delle spese sanitarie, scolastiche e domestiche delle famiglie, ma anche merci più care.

Tutta l'architettura della "rimodulazione" dell'Iva è dettata da una logica da Stato etico e totalitario che punisce certi consumi, considerati immorali e premia altri prodotti considerandoli etici, sani. Una logica da razionamento sovietico, ma in cui traspare un ulteriore salto di qualità delle idee neototalitarie.

Lo stile Robin Hood con cui è nato questo governo poco amato dalla maggioranza degli italiani, si tradurrà in concreto nel solito attacco ai ceti medi e un contentino ai lavoratori salariati. D'altronde, essendo i grandi patrimoni già all'estero, ci si rivale sulle classi medie, magari aumentando anche la tassazione sulle cosiddette rendite finanziarie, che concretamente significa anche qui colpire di fatto i piccoli investitori e i risparmiatori, cioè sempre le classi medie, e non certo le grandi rendite.

Il tutto coincide con uno storico obbiettivo intermedio della sinistra massimalista: La proletarizzazione dei ceti medi, in modo da mandarli a ingrossare le file dell'esercito del proletariato il quale nei loro sogni contorti dovrebbe poi dare l'assalto ad un non meglio precisato "ordine costituito" (magari la stessa democrazia e il diritto di voto per tutti) sotto la loro sapiente guida.

Il sendero luminoso ovviamente necessita di una rieducazione culturale del popolo, che appare rozzo, razzista, ignorante (dove per ignorante s'intende non pensarla come gli intellettuali di sinistra), cattivo.

Quindi si procederà spediti verso il radioso futuro "green", fatto di decrescita, austerità, bassi consumi, ovviamente poi ci sarà qualcuno più uguale degli altri, d'altronde anche Fidel Castro e Che Guevara si assegnarono per se le migliori ville coloniali di Cuba, dopo rigoroso esproprio proletario.

lunedì 27 gennaio 2020

Analisi del voto in Emilia-Romagna, 26 gennaio 2020

Per il Pd una boccata d'ossigeno. L'assalto delle truppe leghiste da Ovest e da Est verso Bologna, si è fermato alle porte della città e a dire il vero già nel reggiano da una parte e nel forlivese dall'altra.

La Lega, infatti, da Ovest vince nel piacentino e a Piacenza città, nel parmense - però non a Parma città - ma si ferma nel reggiano e via via che ci si muove verso il centro storico di Bologna la vittoria di Bonaccini appare più netta fino ad assumere i contorni di un plebiscito nel centro cittadino, dove il barbuto ottiene più del doppio dei voti della Borgonzoni. Stesso discorso da nordest e da sudest, vittoria padana nel ferrarese e a Ferrara città, nel riminese e a Rimini città, ma l'avanzata si ferma a Forlì-Cesena.

Tre fattori della vittoria del Pd: 1) Lo stesso Bonaccini, che con la sua lista civica fa letteralmente la differenza, prendendo centotrentamila voti (6%), che sono quasi l'esatta differenza tra le due coalizioni (un milione e due il centrosinistra e un milione il centrodestra). Basti pensare che la lista civica della Borgonzoni si ferma all'1,7 prendendo appena 40mila voti.

2) Come detto sopra la realtà territoriale, con l'area di Bologna che porta quasi il 30% dei voti complessivi alla coalizione di centrosinistra e più in generale si conferma una tendenza già vista, cioè la Lega vince nelle periferie e nei territori rurali e il Pd che si arrocca nei centri cittadini.

3) Le sardine, che hanno portato in dote i voti di estrema sinistra che negli anni scorsi erano andati ai cinque stelle, i quali infatti sono praticamente scomparsi, ma non solo, anche dalle tante liste di estrema sinistra che in Emilia-Romagna storicamente sono forti: in questa tornata se ne presentavano ben tre, una neostalinista, una movimentista-centrosocialesca e una postvendoliana, ma sommate tutte insieme raccolgono solo l'1 per cento dei voti.

Tutti questi aspetti in realtà non fanno che rendere ancora più aggrovigliata la situazione in casa piddina. Bonaccini, per esempio, sembra intenzionato a mettersi alla testa della neocorrente del "Pd del nord", il partito degli amministratori che competono sul terreno con la lega e potrebbero tentare ora una controffensiva in Veneto, ma sopratutto la scalata al partito romano.

La realtà territoriale non fa che confermare la tendenza del Pd ad arroccarsi nei centri storici perdendo il contatto con vaste fasce di territorio e ceti sociali.

Le sardine portano in dote voti, ma vorranno in cambio qualcosa e rendono ancora più confusa l'identità di un partito che nominalmente si dice socialdemocratico, riformista, ma è ingrossato da una base elettorale sempre più radicale, rabbiosa e composta non più dall'elettorato storico operaio comunista di un tempo, ma bensì dagli ex sessantottini di matrice intellettuale-professionistica, che negli anni'70 erano nella sinistra extraparlamentare, oltre che dai paragrillini.

D'altra parte, un così azzeramento dei grillini stessi, da una parte cambia i rapporti di forza all'interno del governo a favore del Pd, ma dall'altra fa del Pd un partito alleato con lo zero e di fatto il governo è così ulteriormente delegittimato.

Per quanto riguarda il centrodestra è la sconfitta di Salvini, ma non della Lega. Il partito supera il 30 per cento prendendo settecentomila voti (poco meno del Pd), cioè trequarti della coalizione di centrodestra, mentre Forza Italia "scompare" al 2,5% e Fratelli d'Italia non supera la fatidica soglia del 10%. Eppure il leader, avendoci messo la faccia, ne esce sconfitto, ma alla luce dei fatti la sua leadership nel centrodestra al momento potrebbe essere messa in discussione più da un altro esponente leghista che da Berlusconi e la Meloni. Viene in questo senso in mente l'accoglienza gelida che la platea dei delegati della lega riservò a Salvini all'ultimo congresso a Milano, quando questi invitava il partito e i suoi militanti a "uscire dalle stanze", a inserire idee e volti nuovi e a guardare al futuro dandosi anche una dimensione di geopolitica internazionale.



mercoledì 22 gennaio 2020

"Elogio" da liberale di Stalin

I tre grandi eredi di Lenin furono Stalin, Trostski e Bucharin. Essendo continuatori ognuno a loro modo di una dottrina votata all'eliminazione totale di ogni diversità, non potevano che essere tutti e tre perseguitori di un'opera antiumana come quella leninista, ma a differenza di quello che si crede e di quello che le anime belle di sinistra hanno raccontato, non fu Stalin il peggiore, parlando da un punto di vista liberale e democratico. Bucharin infatti era un opportunista che voleva l'egualitarismo per gli altri e il suo orticello per sè e i suoi accoliti Nepmen. Trostki un dogmatico fanatico che odiava il popolo e molto più dittatore di Stalin. Mentre il despota georgiano, con tutti i suoi difetti ampiamente dimostrati dalla storiografia, fu anche uno stratega prudente, che andava in guerra solo se era sicuro di vincerla e sapeva accordarsi coi nemici, ma anche con le classi sociali che non fossero la classe operaia o gli intellettuali. A lui perciò si deve purtroppo il patto con Hitler, ma anche l'accordo con Churchill e Roosvelt e paradossalmente fu attraverso i suoi dettami che i comunisti in Occidente, perlomeno in certe fasi storiche e tattiche, abbandonarono le velleità golpiste e accettarono la democrazia, seppur senza mai aderirvi veramente e cercando con ogni altro mezzo - culturale, burocratico, amministrativo, sindacale - di limitarla e condizionarla. A lui anche l'intelligenza di non demonizzare e deridere il sentimento popolare patriottico e il sentimento popolare religioso, che ne fece un leader oggettivamente molto amato.

il nulla avvolgente di Zingaretti

Due ore di ospitata a Porta a Porta del segretario del Pd Zingaretti mi hanno restituito l'idea di una grande placenta, umida e avvolgente, ma totalmente priva di contenuti. In due ore di pose analiticorassicurantipseudotogliattiane, di buonismiveltroniani, dirancorisommessipostberlinguerianianticraxiani, non c'è stata una collocazione geopolitica, una proposta economica, un riferimento a qualsivoglia blocco sociale, una proposta di riforma dello stato (giustizia, parlamento, aziende nazionali, costituzione), ma solo alla fine una retorica antidestre similfrontista, una totale sottomissione al grillismo, una trovata neoumanista del "prima le persone" che nessuno sa cosa vuol dire. Detto questo Zingaretti non va sottovalutato, proprio per quest'aria bonaria e fintoumile, pr questo politicismo "apolitico" può sicuramente incantare molte persone.

mercoledì 8 gennaio 2020

I risultati concreti di Trump in medio oriente e la sua strategia

Ancora una volta gli scenari catastrofisti dei media che accompagnano ogni azione di Trump non si sono verificati alla luce dei fatti. Guardiamo l'eliminazione del "Bin Laden" iraniano Souleimani dal punto di vista dei risultati: da una parte non ha prodotto nessuna escalation militare da parte dell'Iran, che ha fatto finta di rispondere per salvare la faccia tirando dei vecchi missili su una base americana in Iraq avvisando il governo iracheno in anticipo e senza fare nemmeno un ferito, dall'altra quindi non ha portato Trump a impantanarsi nell'ennesima guerra che lo stesso presidente americano non vuole minimamente. L'unico risultato concreto dunque, è proprio che è stato eliminato un pericoloso terrorista, candidato a diventare in futuro il leader politico dell'Iran. E' stato inflitto un colpo durissimo - politico-militare-psicologico - ad un paese che, dopo il disimpegno di Obama dal medio oriente, aveva spadroneggiato nell'area invadendo la Siria, l'Iraq, estendo la sua influenza sul Libano e Gaza e minacciando Israele, ma allo stesso tempo senza far venire meno quel disimpegno americano voluto anche da Trump, ma, al contrario di Obama, non per favorire l'Iran e i suoi sponsor cino-russi, ma perchè Trump è sempre stato contrario alla strategia neocon-internazionalista-interventista-troschista di Bush, ritenendola dannosa e preferisce una linea differente fatta di sanzioni economiche e appunto interventi mirati.

Bisogna chiarire una cosa, Trump viene accusato di non avere una strategia, di non avere una "dottrina" come ha detto Pipes e infatti Trump è un empirista, non un ideologo e perciò non piace agli intellettuali e ai politici di professione. E allora l'esperienza gli ha detto che tutti gli ultimi conflitti in cui gli Usa sono entrati (conflitti localmente già preesistenti a differenza della retorica sugli yankee guerrafondai) non hanno risolto i conflitti e sono costati morti e soldi al popolo americano. Qui entra in gioco un altro aspetto: Trump è un democratico di fatto, non di nome, vuole fare gli interessi del suo popolo ed esprimere la sua volontà, non educarlo o condurlo. E il popolo americano non capisce più certe guerre, che non corrispondono ai suoi interessi concreti. E qui entra in gioco un altro aspetto: l'America, a differenza di certe rituali e datate spiegazioni, non ha nessun interesse economico in medio oriente, avendo raggiunto l'indipendenza energetica e petrolifera da tempo. L'unico motivo di interesse è proteggere l'alleato israeliano da psicopatici come Saddam Hussein o Khameini e frenare l'espansionismo cinese e russo in medio oriente, perchè i veri imperialisti oggi sono i cinesi e russi, oltre all'Iran.

In conclusione, Trump si sta muovendo in maniera equilibrata, dove l'equilibrio sta a metà tra gli interessi nazionali e popolari del suo paese, la protezione di Israele e frenare l'espansionismo russo e cinese.




domenica 5 gennaio 2020

Nostradamus de noantri

Quelli che nel 1991 sancivano la fine della Storia, gli stessi che predicevano nel 1980 vita eterna all'Unione Sovietica, oggi predicono una crescita illimitata per la Cina e la fine dell'Occidente. Fossi nei cinesi mi toccherei i coglioni e fossi un occidentale non sarei così pessimista.

giovedì 2 gennaio 2020

Lapidare da morto chi si è osannato da vivo e viceversa

Una legge storica costante dell'intellighenzia di sinistra è lapidare da morto chi si è osannato da vivo e riabilitare da morto chi si è demonizzato da vivo. La creme del creme dell'intellettualità politico-cultural-artistica italiana, da Scalfari a Ingrao, da Bobbio a Dario Fo, fu fervente fascista e mussoliniana negli anni '30-'40, poi fatto a pezzi il cadavere di Mussolini, questi capetti universitari fascisti passarono ad osannare Stalin. Morto però anche il dittatore georgiano, si passò a rinnegarlo inorriditi.

Percorso inverso invece per chi si è massacrato da vivo. Se si trattava di nemici interni, lo si fa per appropriarsi delle loro battaglie e del loro spazio politico, se si trattava di avversari dell'altro campo  lo si fa in chiave strumentale per attaccare il leader contemporaneo dello schieramento avversario o un misto di tutte e due le cose.

Si pensi alla riabilitazione attuale da parte della sinistra di Bossi e Berlusconi, dipinti come il "male assoluto" negli anni '90, quando si passò a riabilitare gli "statisti" della prima repubblica, ora che sono politicamente morti tocca a loro, per dire sempre che il nemico di oggi è catastroficamente il peggiore di sempre e ovviamente riconducibile al peccato originale (che in realtà è il loro peccato originale, ma loro trasferiscono sul popolo italiano), il mussolinismo.

Voglio bene a Bossi, insieme a Natta e Pannella è stato il primo leader che ho seguito, ma oggi i suoi attacchi a Salvini sembrano la ripicca di un bambino dell'asilo, ma sopratutto ne fanno un pupazzo rimbambito della sinistra, quella sinistra che ora si appropria della Questione settentrionale dopo averla dipinta per anni sotto le tinte più fosche del peggiore razzismo barbaro, ignorante e becero.

Va da sè che il Bossi più estremista e velleitario non ottenne alcun risultato, mentre appare più fattibile nel raggiungimento dell'obbiettivo dell'autonomia del Nord la strategia di Salvini di farla con il consenso del Sud e dando l'autonomia da Roma anche al Sud e nel contesto dell'unità nazionale, consapevoli anche che nel 2020 ci sono altre sfide e questioni economiche e geopolitiche da affrontare e coniugare con le battaglie storiche.