Blog che si occupa di geopolitica, politica italiana, storia del comunismo, della sinistra italiana e osservatorio sui movimenti estremistici e sul nuovo antisemitismo
venerdì 27 ottobre 2017
I guerrilleros
La Lega come "costola della sinistra", bicamerale e riforme costituzionali con Berlusconi (da lì i media coniarono l'orrendo termine inciucio), al governo con Mastella e Dini (falce e mastella), streaming con Beppe Grillo e autoflagellazione in sala mensa, governo di larghe intese con Berlusconi e Verdini, con Monti premier e poi la Vergine Letta. Tutto questo non deve scandalizzare, (tranne lo streaming con il bandito a cinque stelle), si chiama far politica in democrazia, che è fatta di compromessi, l'opposto del partito unico che sognano i grillini. Ma quello che non si capisce è perchè improvvisamente baffino e testone si mettono a fare i guerrilleros alla soglia dei settant'anni. Demenza senile?
sabato 21 ottobre 2017
Il mosaico del Pci e le scelte di Togliatti
Fare un ritratto di gruppo dei principali dirigenti del partito comunista italiano è una cosa ardua, da solo perchè la loro carriera politica attraversa la storia italiana e internazionale dalla prima guerra mondiale fino - in alcuni casi - agli anni '90, vuoi per le profonde differenze di carattere e di temperamento personale, vuoi per le profonda diversità di analisi, che è comunque l'aspetto più interessante. I limiti dell'esperienza comunista italiana sono noti, lo scarso approfondimento economico, l'antiamericanismo viscerale, la concezione della democrazia non oltre i limiti della mobilitazione finalistica, per non dire tutto quello che concerne lo schematismo terzinternazionalista, eppure di volta in volta, in ordine sparso, ogni leader seppe travalicare il perimetro ideologico, spesso duramente ripreso dagli altri, per creare un mosaico di eresie e revisionismi mai dichiarati che rendono così diverso il comunismo italiano dall'omologazione sovietica. Stupisce come ogni sortita dissidente fosse portata in solitaria, non ci fu mai coordinamento tra le dissidenze di Terracini, Amendola, Secchia, che anzi spesso si combatterono tra loro, trovando l'interessata alleanza di Togliatti di volta in volta l'uno contro l'altro. Sarebbe altresì però sbagliato indulgere nell'immagine demoniaca di un Togliatti unicamente manovratore e tatticista. Lo stesso Togliatti, seppur più attento degli altri dal non uscire dal cono d'ombra sovietico, mostrerà di saper tracciare analisi non subalterne ai dettami dell'internazionalismo classista, come un'analisi del fascismo quale movimento di rivolta dei ceti medi in parte alimentato dall'estremismo sindacale, che per certi versi e dentro certi equilibrismi verbali, anticiperà di decenni quello che poi verrà interpretato da storici come De Felice, paradossalmente scomunicati dal partito. D'altra parte Togliatti verrà ricordato come l'uomo del brindisi ai carri armati sovietici che invasero Budapest, ma non bisognerebbe dimenticare che la linea moderata del Pci in Italia che evitò al Paese un'altra guerra civile e contribuì a suo modo alla costruzione della democrazia, era passata attraverso la cessione dell'Ungheria e di altri paesi come Polonia e Bulgaria all'Unione Sovietica, secondo gli accordi intercorsi tra Stalin e Churchill. Pretendere che Togliatti sconfessasse questa architettura anche solo partendo dal tassello ungherese, condannando l'invasione sovietica del '56, parlando come si è fatto "di occasione mancata", non tiene conto ne' della realpolitik ne' delle conseguenze che una simile azione avrebbe avuto, con l'Urss che avrebbe reagito con un'azione di destabilizzazione sull'Italia, alimentando elementi ben più settari, estremistici e irresponsabili, che già si agitavano dentro il Pci, come potrebbe aver fatto successivamente negli anni '70. Altre mi paiono le colpe di Togliatti, come aver censurato il dibattito su Stalin e il rapporto Kruscev e come aver creato una formula, "innovazione nella continuità", che si concretizzava nel voltare pagina senza realmente analizzare il passato, creando una doppiezza nei militanti e negli elettori le cui tracce si trovano ancora oggi. Questi sono solo alcuni degli aspetti di una storia che solo negli ultimi anni è uscita dalla storiografia di partito, che comunque rimane un riferimento importante, ma non più l'unico per un quadro sempre più completo e ancora da scoprire.
mercoledì 18 ottobre 2017
La natura dell'antiberlusconismo
Fu il celebre giornalista Montanelli ad individuare con il consueto acume nell'odio verso Berlusconi l'odio verso il parvenu, l'odio di classe della borghesia tradizionale verso un nuovo ceto capitalistico. Montanelli fu molto severo con Berlusconi e ruppe duramente con lui, non è storicamente ascrivibile di certo al berlusconismo, eppure capì come l'antiberlusconismo non era l'espressione di una battaglia di sinistra per la democrazia, ma il rancore snobistico di un ceto incancrenito, moralista e puritano. La lotta berlusconiani/antiberlusconiani ha così sostituito il rapporto destra/sinistra senza che ciò fosse certificato pubblicamente, in questo modo figure di destra come Di Pietro e Travaglio da campioni dell'antiberlusconismo divennero anche campioni della sinistra, in questo modo la tipica battaglia missina contro la democrazia corrotta e corruttrice divenne patrimonio anche dei salotti della sinistra bene.
venerdì 6 ottobre 2017
I martiri dello Ius Soli
Lo ius soli in Italia c'è già. Al compimento dei diciotto anni, chiunque sia cresciuto in Italia diventa italiano. Ma si è sentito l'emergenza, il bisogno, di dover fare una legge più che accogliente (l'Italia è già un paese accogliente), ma anche inclusiva. Per qualcuno lo Ius Soli è diventato non solo una bandierina ideologica da piantare a forza di scioperi della fame, ma anche una linea di demarcazione tra ciò che è di sinistra e ciò che non lo è (Pisapia dixit). Il ministro Del Rio dice: "Sui diritti non ci si astiene ne' ci si lega alla dsciplina di partito". ma caro Del Rio, per carità, nel Pci c'era una disciplina ferrea che negava la libertà individuale, ma a parte che oltre ai diritti bisognerebbe ricominciare a parlare di doveri, non si può passare da un estremo all'altro, bisogna anche attenersi al partito, non è che ogni giorno ci si inventa una questione di principio morale per andare contro il partito, perchè questa disobbedienza da martiri ha anche stufato.
La rottura Pisapia-D'Alema nasce da un paradosso, a differenza di quanto dice Cazzullo
Da tempo mi chiedevo come Pisapia avrebbe spiegato ai suoi elettori l'alleanza con D'Alema e viceversa come D'Alema avrebbe spiegato ai suoi elettori (se ancor ne ha) l'alleanza con Pisapia. Alla fine è arrivata la frattura tra i due, con Pisapia a chiedere a Dalemmah un passo di lato, modo di dire gentile che il rozzo "populista" Renzi avrebbe configurato sotto forma di rottamazione, ma la sostanza è la stessa. Eppure i due sono coetanei, ma così diversi, che davvero pareva difficile questo sodalizio. Ma in cosa sono diversi? Non mi convince il ritratto di Cazzullo fatto sul corriere, dove da una parte c'è il movimentista No War Pisapia e dall'altra il figlio del partito D'alema con le mani sporche della guerra in Kosovo, figlio di partigiani, ma sopratutto pupillo di Togliatti ed erede di Berlinguer. Quello che è andato in scena non è uno scontro secondo uno schema del genere, ma un incrocio, quindi un paradosso, come meglio ritratto sul Foglio. Da una parte quello che sarà anche "il figlio del partito", ma che in realtà da tempo si comporta come l'ultimo dei gruppettari, come un frazionista antipartito, un provocatore trotskista o una canaglia bordighiana, come si sarebbe detto un tempo, dall'altra il movimentista Pisapia che da tempo ha assunto i modi pacati di un Berlinguer e il realismo di buon senso di un Togliatti. Questa strana coppia, secondo i sondaggi non fa faville. Il comportamento di Pisapia forse è ancora da decifrare, D'alema a suo discolpa potrebbe ricordare che Togliatti in gioventù fu un bordighiano e in seguito si attenne alle svolta antibuchariniana di Stalin, lui considerato il Bucharin italiano, senza batter ciglio.
martedì 3 ottobre 2017
Catalogna, la piccola patria cosmopolita
Si consuma in Catalogna il dramma della dissociazione di chi si sente cosmopolita, cittadino del mondo, ma non può tollerare di convivere con i propri vicini, quelli che una volta chiamava charnegos (i lavoratori che provenivano dalle altre parti della Spagna e vivevano in baracche senza luce e gas), che considera inferiori, pur essendo riuscito ad arruolare tra le sue fila alcuni dei suoi figli e nipoti neutralizzando così l'accusa di etnicismo, ma anche il dramma di una minoranza che si autoproclama popolo, con la complicità di mass media che azzerano ogni voce dissidente interna. C'è poi il dramma di chi odia i propri simili in nome di un astratto amore universale per una umanità mondiale che non esiste, ma da costruire a forza di omologazione, nichilismo e sottomissione ai nuovi barbari. Nasce così la pantomina mediatica di questo sinistrismo pacifista e neoinquisitorio alleato ad un nazionalismo trasversale e ambiguo che organizza un referendum illegale e autogestito, senza osservatori indipendenti, che chiedeva solo di essere represso usando i soggetti più deboli come scudi umani per mettere in scena lo psicodramma teatrale intriso di arditi riferimenti storici novecenteschi. Ma compare anche il dramma degli onesti che odiano la corruzione dei politici e poi votano quattro volte ad un referendum più finto di un'elezione venezuelana, di chi vorrebbe abolire gli Stati-nazione dell'occidente strumentalizzando l'europeismo a proprio uso e consumo (gli stessi che per anni hanno gridato "UE stato razzista e imperialista" e inneggiavano a Varoufakis), ma vuole farsi il suo staterello predatandolo alla nascita delle nazioni moderne. Non poteva mancare lo psicodramma totalitario di un nazionalcomunismo da movida, di chi vuole la libertà senza stato di diritto, ma anche di chi è stato così superficiale da non predisporre le pur minime misure di sicurezza antiterrorismo in nome di un multiculturalismo a senso unico e di una tracotanza ideologica, facendo pagare duramente ai propri ciudadanos il prezzo della propria ignavia, di chi parla di democrazia delegittimando un governo legittimo e democratico, di chi considera il voto una prova di forza come nei regimi totalitari con il suo 90% bulgaro e farlocco, di studenti pecoroni, millenials ignoranti, artisti solidali e imbecilli, squadre di calcio e allenatori cool col golfino, pseudointellettuali politicizzati e fanatici, vecchi arnesi sempre in sella, pedine di un gioco geopolitico di destabilizzazione che soffia da Est e che non li rende tanto dissimili da quel populismo di destra che dicono di odiare, ma ne fa solo l'altro rovescio della medaglia. Per tutto questo io dico W la Spagna unita. El Pueblo Unido Jamas Serà Vencido.
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