Pagine

martedì 6 marzo 2018

L'analisi della sconfitta

Diciamo che impostare la campagna elettorale sui temi di antifascismo, Stati Uniti d'Europa e quanto è bella la società aperta e la globalizzazione non è stata una grande idea. Forse perchè bisognava impostare la campagna elettorale su fascismo, No Euro e autarchia? Certo che no, però diciamo che il tema è più complesso e allo stesso tempo non è facile quando ormai la politica si fa non più su una teoria della società alle spalle, ma appunto su due, tre temi qualificanti, spesso legati al territorio, verso i quali ogni formazione politica si identifica e si caratterizza.

Andiamo con ordine. La paventata ondata nera neofascista si è concretizzata in un 0,8 a Casa Pound e ancora meno a Forza Nuova. Per fortuna le solite percentuali da prefisso telefonico a cui i neofascisti ci hanno abituato da 20 anni a questa parte. Forse era meglio occuparsi dell'ondatona grillona, del nuovo Re delle due Sicilie e del loro reddito di cittadinanza. In una parola occuparsi di lavoro, dando una risposta a questo tema che per una forza di sinistra non potrà mai essere assistenzialismo, ma coniugare diritti e sviluppo. Una risposta che in realtà il governo uscente ha provato a dare in questi anni, senza però difenderla e non mettendola al centro del dibattito. Sull'antifascismo c'è poi un discorso molto lungo (in parte già analizzato qui: Tattica e strategia alla base della nuova pavloviana stagione antifascista ), dal fatto che non era certo il tema del momento a come Renzi si è fatto trascinare su questo terreno temendo di perdere voti a sinistra (ma poi si è visto come chi si colloca alla sua sinistra è tra l'1 e il 3%), passando per come l'antifascismo è sì un valore in sè, ma da 70 anni a questa parte è stato strumento di egemonìa di una parte politica, proprio quella che Renzi vorrebbe superare, e dunque di come non esiste un antifascismo, ma più antifascismi, infine come è decisamente miope bollare come fascista tutto l'elettorato della Lega, fatto di operai, artigiani e piccoli imprenditori, pur tenendo conto della deriva di Salvini.

Passiamo al tema scottante dell'Europa. Anche qui, non si tratta di un problema di collocazione, ma di priorità, gradazione, sfumature e coniugazione. Certamente, a differenza dell'antifascismo, l'Europa è un tema considerato di primo piano dalla gran parte dei cittadini, quindi era inevitabile prendere una posizione, ma teniamo conto che anche questo appare come un tema imposto al Pd, considerato che si potrebbe dire che aumentare il debito pubblico per alimentare la spesa statale è sbagliato e contro l'interesse nazionale a prescindere che lo dica l'Europa. Certo è, che tra l'immagine euroentusiasta data dalla campagna elettorale del Pd, corrobata dall'alleato autodenominatosi non a caso e frontalmente rispetto al sentire comune Più Europa e dall'altra parte l'antieuropeismo vittimistico, complottistico e antioccidentale di Lega e grillini, si poteva trovare una diversa gradazione e una terza via. C'è poi il problema della coniugazione, come coniugare l'europeismo con il patriottismo democratico di cui Renzi si è fatto portatore e presente anche sulla bandiera tricolore del Pd, quando l'Europa per esempio (o per meglio dire gli stati membri) abbandonano l'Italia di fronte all'emergenza immigrazione? Come poi considerare la politica estera dell'Europa, se ne esiste una e se esiste è decisamente filoislamica, ambigua e doppiogiochista, infine chiedersi dov'è l'anima dell'Europa, dov'è il suo senso di comunità se non in qualche aperitivo degli studenti in erasmus? Io mi chiedo se non era meglio investire su un tema che tutte le altre forze politiche stanno abbandonando o ne sono aspramente contrarie, un tema che potrebbe comprendere l'Europa e darle un senso più chiaro, un tema che si chiama Occidente, valori occidentali: cioè quella capacità esclusiva di questa parte geopolitica (fino a quando di fronte all'ondata populista?) di saper coniugare democrazia con rispetto delle minoranze e delle istituzioni, mercato e tutele sociali, libertà individuale e senso di comunità.

Ed eccoci alla globalizzazione, alla società aperta, la terza bandiera esposta dal Pd in questa campagna elettorale. Confesso di avere un passato No global che sinceramente non butto via del tutto. La globalizzazione, l'universalismo non mi hanno mai entusiasmato, sono sempre stato un comunista non ortodosso, di tipo gramsciano, nazional-popolare, inoltre tra la rivoluzione permanente e il socialismo in un solo paese ho sempre preferito il secondo, per di più la società multiculturale mi è sempre sembrata una cosa dove tutti abbandonano la propria identità per un modello unico, un'omologazione collettivistica in nome di una falsa diversità che non esiste. Certo, il movimento No global era in realtà un movimento antiliberale più che antiglobalizzazione, più antiamericano che anarchico, ma in generale aveva saputo percepire che questo entusiasmo per il mondo globale era per lo più relegato nelle elites e non nel popolo. Il punto è che gli stati-nazione non sono quell'orpello archeologico e anacronistico che molti vorrebbero dipingere, che non si dovrebbe gettare nelle braccia dei Salvini e delle Meloni il discorso della sovranità. Ma poi c'è un altro punto: il voto ci restituisce la mappa di un'Italia divisa, più localistica che nazionale: i grillini al sud, il centrodestra al centronord e il Pd relegato nei quattro grandi comuni del centronord (Milano, Torino, Bologna e Firenze). Quindi un tema aperto, che necessita un dibattito, ma comunque da non spendere come bandiera a meno che non si voglia di fatto alimentare un nuovo conflitto città-campagna divenendo la roccaforte esclusiva di quelle quattro-cinque città italiane a vocazione europea e cosmopolita.

Quali dovevano essere quindi le bandiere del Pd in questa campagna elettorale? A mio modo di vedere Lavoro, Sinistra Occidentale e un approccio meno snobistico verso le paure della gente.

Renzi ha perso? Sì, ma vediamo come le alternative di sinistra al renzismo nemmeno scendono in campo. Da una parte Più Europa, che prende poco più del 2%, che potremmo definire come il partito dei renziani delusi della prima ora, una concezione del renzismo che porta agli eccessi modernismo, nuovismo, ultraindividualismo narcisistico, disfattismo, universalismo omologante, negazione del concetto di territorio, dall'altra le opzioni di sinistra novecentesca, che in qualche modo compenetrano questi elementi insieme anche ad un tatticismo esasperato, visioni ultraideologiche, anticapitalismo ossessivo, schematismi postmarxisti che sostituiscono il conflitto capitale-lavoro con identarismi generazionali, di genere e terzomondisti, e una riduzione di ogni discorso di sinistra ad una banale logica di Robin Hood.

Dall'altra invece sviluppo e non decrescita, scienza e non santoni, sinistra prudente con un po' di sano conservatorismo, sano patriottismo, ma anche libertà più che egualitarismo, sano individualismo e comunità.

Nessun commento:

Posta un commento