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lunedì 27 giugno 2016

Appunti di storia di un nazionalismo di sinistra/ parte 3

...In conclusione l'idea che le nazioni abbiano generato solo fascismo e guerre è un'idea storicamente falsa, le nazioni per milioni di persone hanno significato libertà e affrancamento dalle chiese e dagli imperi, democrazia e libertà, che solo nell'involucro degli stati nazionali hanno potuto affermarsi. L'Europa ha un senso se non pretende di imporsi sulle volontà popolari, se non diventa un organismo totalitario dove forze politiche e culturali minoritarie e respinte alle porte dei parlamenti dall'elettorato, trovano il modo di rientrare dalle finestre delle stanze della burocrazia imponendo i propri schemi, i propri linguaggi e le proprie decisioni sulla pelle dei popoli. Un'Europa che si priva degli stati nazionali è un'Europa che s'indebolisce da sola, l'Europa ha senso come unione delle forze nazionali e non come forza disgregante a tutto vantaggio delle chiese e dei nuovi imperi orientali. L'Europa deve guardarsi dai falsi amici, che la vorrebbero senza confini, quindi debole e sottomessa, e priva di autonomìe, mentre deve trarre una lezione dal messaggio della Brexit per cambiare. Un'Europa non-nazione, ma come melassa multiculturale, porta dritto al totalitarismo e alla tirannìa.

sabato 25 giugno 2016

Appunti di storia di un nazionalismo di sinistra/ parte 2

...Anche nel partito democratico di Renzi si riflette una doppia identità, da una parte l'aspirazione europeista, la determinazione di portare alle estreme conseguenze l'integrazione, dall'altra l'aderenza con l'interesse nazionale, che si rintraccia nel rifiuto di sottostare alle derive ambientaliste difendendo le industrie strategiche e rigettando referendum antinazionali come quello sulle trivelle, ma non solo, si rintraccia anche nel rifiuto della logica da guerra civile a bassa intensità, cara alla fazione antiberlusconista, e nel tema caro a Renzi della costruzione contro il "disfattismo". Il nazionalismo di sinistra di Renzi però non ha il coraggio di dire cose scomode sull'immigrazione, perchè rientra in gioco un altro elemento del renzismo, l'universalismo e il solidarismo cattolico. Anche un ispiratore del renzismo come Napolitano ha spesso parlato di patriottismo in termini positivi, contrapponendolo, non senza un certo schematismo, al nazionalismo di destra. Un atteggiamento però che non gli ha impedito di liquidare neoilluministicamente come tribalismi le identità nazionali dure a morire ed euroscettiche, e in generale anche per la sinistra renziana vale la sottovalutazione delle problematiche legate all'immigrazione. Un modo di porsi che ricorda la superficialità e la presunzione con cui il partito socialista rifiutò le ragioni del reducismo dopo la prima guerra mondiale, gettandolo nelle braccia del fascismo, o come la sinistra berlinguerian-pasoliniana non capì la nuova modernità e le nuove identità popolari, gettandole nelle braccia del berlusconismo. Ma le identità nazionali sono tutt'altro che morte, come il referendum della Brexit ha scoperchiato, e la sinistra, se non vorrà essere travolta, dovrà tornare a coniugare in senso moderno "internazionalismo" con il "nazionalismo".

giovedì 16 giugno 2016

Due nuovi opposti estremismi

Con una crisi economica di cui non si vede l'uscita dal tunnel, lo scenario sociale vede il (ri)emergere di schemi che sembravano ormai passati. Da una parte preme una sinistra che ha abbandonato gli aspetti più europei, occidentali e realisti del marxismo ed è ritornata ad una dimensione di utopismo totalizzante, malata di antiamericanismo e iniettata di imponenti dosi di qualunquismo, falsa indignazione e demagogia, fanatizzata da una classe di intellettuali borghesi rancorosi e invaghita dell'islamismo. Dall'altra riemerge una destra che fatica ad abbandonare il suo passato neofascista, legata ancora ad un'idea di Stato dirigista e innamorata degli autocrati. Due nuovi opposti estremismi che si alimentano tra loro in una serie di reazioni e controreazioni, ma uniti dall'odio per le istituzioni democratiche, per il riformismo, per l'America, il pensiero occidentale, il libero mercato e commercio, gli ebrei. Un terreno comune sul quale cresce il grillismo, vero e proprio trait d'union dei due estremismi. Il grillismo, infatti, mettendo sotto il tappeto l'unico vero punto di discordia delle due parti - l'immigrazione - riesce a fare il pieno da tutte e due, gonfiando a dismisura i consensi, almeno laddove non c'è una proposta riformista credibile. Ma quando c'è - come a Milano - il grillismo si sgonfia, ma la situazione non è meno problematica, perchè i due estremismi allora vanno a condizionare direttamente i due poli moderati, cercando di ingabbiarli. Così per vincere Sala ha bisogno del voto filoislamico e alternativista, mentre Parisi deve prendere i voti da un leghismo al cui interno si muovono culture complottiste ed esponenti neofascisti (anche se sarebbe sciocco ridurre il movimento padano e quello che rappresenta solo ad un partito di estrema destra) e dai postfascisti di Fratelli d'Italia. Sala, di fatto, è già incastrato, per la narrazione dominante se vince al ballottaggio sarà merito della generosa mobilitazione della sinistra antirenziana in suo soccorso, se perde sarà colpa della sua eccessiva vicinanza a Renzi. Difficile dire il potere di condizionamento della destra autarchica nei confronti del socialista riformista Parisi.

mercoledì 15 giugno 2016

Ne' marxisti ne' liberali

Hanno abbandonato il comunismo, ma rifiutano di diventare socialdemocratici, riformisti o liberali, preferendo galleggiare in una melassa catto-ambiental-terzomondista. Hanno sostituito la classe operaia e il popolo con uno schizofrenico mosaico senza capo ne' coda di "gay", "donne", "migranti", "mussulmani", tutti incanalati in una nuova stagione dei "diritti civili", che appare invece sempre più non come una estensione di diritti individuali, ma come una nascente dittatura neoclassista dei bisogni. Un nuovo totalitarismo fatto non più di categorie sociali, ma di genere, razziali e religiose. La loro trincea è una strenua difesa dello status quo, la costituzione non si tocca, il mercato del lavoro non si tocca, il sistema previdenziale non si tocca, la Giustizia non si tocca, le grandi opere non si fanno e le industrie strategiche vanno smantellate e così via, tutto deve rimanere così com'è. Questo è quanto si raccoglie poi sul piano politico nella autoproclamata Sinistra Italiana, formazione che unisce i fuoriusciti da Rifondazione comunista con i fuoriusciti dal Pd, che alle ultime amministrative ha toccato vette come il 4% a Roma e il 3% a Milano e Torino. Ma nonostante tutto non vanno sottovalutati perchè godono di un'esposizione mediatica potentissima e riescono a mantenere il controllo di ampi pezzi del mondo della cultura, della scuola e delle università, dell'informazione, dello spettacolo, delle arti e della satira, oltrechè del Pd, che Renzi non controlla. Il loro obbiettivo politico è appunto quello di bloccare ogni tentativo di riforma del Paese, ma senza avere nessun progetto alternativo di società o proposta concreta differente che non sia un programma economico fatto di tasse, spesa e Stato. Sono portatori di un'idea manichea di destra e sinistra, per loro la destra è ancora il male assoluto, ma la loro battaglia è in realtà sempre contro il Pd renziano, cosa comunque che non gli impedisce di cercare accordicchi con esso in vista di elezioni, per ottenere posticini in parlamento, consigli comunali e prebende. Allo stesso tempo anche il Pd per loro è destra, secondo uno schema già visto: rieccheggia la teoria della socialdemocrazia come socialfascismo di Bordiga, ripresa poi da Stalin, ma anche le tesi moralistiche dell'ultimo Berlinguer sul Psi di destra o la tesi delle due destre di Bertinotti su Ulivo e Centrodestra. Situazioni storiche che nella maggior parte dei casi si risolsero in un ritorno sui propri passi in un modo o nell'altro. I comunisti negli anni '30 cercarono l'unità antifascista, il Pds negli anni '90 fece proprie le tesi economiche e politiche del Psi, Bertinotti si rialleò con l'Ulivo nel 2006. Vicende storiche molto diverse tra loro e con vari aspetti, protagonisti e ideologie molto diverse, vicende tragiche negli anni '20-30, più farsesche negli anni seguenti, quando il nemico non era certo più il feroce nazifascismo. Nonostante ciò è facile prevedere cosa succederà in vista delle elezioni del 2018. Se il centrodestra si riunirà, "Sinistra Italiana" dirà ai propri elettori e militanti che bisogna allearsi con Renzi per sconfiggere l'uomo nero Salvini, tutto ciò dopo anni di insulti, scomuniche e fatwe contro l'attuale presidente del consiglio. Cosa farà il Pd? Tirerà l'ennesima scialuppa di salvataggio tradendo la propria vocazione maggioritaria? Se Renzi sarà ancora segretario e quindi avrà superato indenne lo scoglio del referendum costituzionale, la cosa è molto difficile, vorrebbe dire negare la propria identità, ridurre ad una barzelletta gli ultimi cinque anni. Renzi ha fatto una legge elettorale pensata proprio per evitare il veto dei piccoli partiti: premio di maggioranza alla lista e ballottaggio in caso nessuna lista raggiunga il 40%. E' chiaro che in caso di ballottaggio il premier dovrà chiedere il voto anche di "Sinistra italiana", ma potrà farlo rivolgendosi direttamente agli elettori bypassando la burocrazia del partitino.

martedì 7 giugno 2016

Ora Sala dev'essere se stesso

La vittoria di Sala al primo turno non era affatto una cosa scontata e a differenza di quanto credeva Renzi non era come tirare un rigore. Ci sono almeno due elementi che la rendevano impossibile. Il primo è che l'onda arancione di Pisapia a Milano si è esaurita da tempo, sopratutto nei quartieri popolari che il sindaco uscente in questi cinque anni ha completamente abbandonato a se stessi. E infatti Parisi ha vinto in diversi di questi compresa la rossa zona 9. E' stato quindi un grave errore da parte di Sala (malconsigliato) quello di presentarsi come il continuatore dell'opera di Pisapia, senza nessun elemento di discontinuità, anche perchè dall'altra parte gli ultrà radical-chic di Pisapia non lo hanno votato lo stesso rovesciandogli addosso la solita campagna staliniana ad personam, bollandolo come ciellino, dedestra, amico della Moratti e altre fatwa tribali simili. La solita sinistra schizofrenica che si esalta per la rinascita di Milano e sputa su quelli che l'hanno resa possibile (Expo, Sala, Moratti). Il secondo elemento che non rendeva affatto scontata la vittoria al primo turno è che l'elettorato di centrodestra a Milano non è mica scomparso, si era astenuto in massa nel 2011 con grande fortuna di Pisapia (che in realtà aveva preso gli stessi voti del precedente candidato di centrosinistra), ma ovviamente dandogli un candidato credibile come Parisi è stato rimotivato a tornare alle urne. Milano comunque risulta un laboratorio molto interessante, che dice che se Il Pd e Forza Italia presentano candidati credibili come Sala e Parisi i grillini possono tornare a occuparsi di scie chimiche e microchip sottocutanei, Salvini viene ridimensionato e la sinistra antirenziana non esiste nella realtà, ma solo nei talk-show e nei salotti (ma quest'ultimo dato vale per tutta l'Italia). Sala per vincere al ballottaggio deve quindi provare ad essere più se stesso, fare ovviamente l'opposto di quello che in queste ore gli dice Gad Lerner, uno che non ne ha mai azzeccata una nella vita, non parlare ai gruppetti, ma ai cittadini e poi dovrebbe dire qualcosa di meno ambiguo e superficiale su sicurezza e Islam, ma abbiamo visto come la candidatura dell'esponente dei fratelli mussulmani (che con la sinistra non c'entrano nulla) è qualcosa di molto potente anche a livello internazionale e le voci critiche e documentate all'interno del Pd sono state marginalizzate e isolate. Gli errori di comunicazione di Sala sono stati quindi due: Presentarsi come un Pisapia 2 e cercare di mettere in difficoltà Parisi sollevando i casi dei suoi candidati estremisti e antisemiti, quando è evidente a tutti che anche dalla parte di Sala non mancano candidati estremi e l'antisemitismo è oggi molto più presente a sinistra che a destra, come Parisi gli ha rimpallato con grande facilità.