Una classe politica inetta non ha saputo eleggere un nuovo presidente della repubblica. Di questa classe politica fa parte il movimento 5 stelle che in questi due mesi ha paralizzato il paese con la sua intransigenza. La scelta di Napolitano è comunque democraticamente legittima e Rodotà ha fatto bene a prendere le distanze dal cattivo maestro Grillo e dalla sua marcia su Roma.
Il Pd avrebbe potuto votare Rodotà alla quarta votazione, quella della scheda bianca, dopo il disastro Marini e Prodi, se non altro per far vedere che non c'erano i numeri. Il primo effetto delle manifestazioni di piazza contro la rielezione di Napolitano invece è stato aprire la strada alla riforma in senso presidenzialista del nostro stato, vecchio cavallo di battaglia della destra. Grillo ha urlato al golpe, ma finchè sarà libero di definire in questo modo una democratica rielezione del presidente della repubblica con il voto di tre quarti del parlamento, potremo dire di essere in democrazia e in uno stato di libertà. Il Pd dopo aver sottovalutato Grillo per anni, lo ha inseguito in questi due mesi, proprio quando la sua intransigenza cominciava a stufare un popolo che ha come priorità ora risposte concrete alla crisi e non più la cacciata della casta. L'elezione in Friuli, dove i cinque stelle hanno dimezzato i voti, ne è la conferma. Presto per dire che il Pd sia finito, sempre in Friuli è bastato candidare un volto nuovo come la Serracchiani per raggiungere una vittoria insperata. Lo hanno capito anche i giovani turchi, che dopo aver trattato Renzi come un infiltrato, ora lo vedono sempre più come leader e lo propongono anche come presidente del consiglio. Renzi giustamente non si fida, sa bene che l'ala sinistra del Pd lo vede bene come segretario porta-voti in un partito saldamente controllato da loro nelle strutture territoriali e nell'organizzazione e come presidente del consiglio bruciato dall'accordo con il Pdl. Infine Vendola, dopo aver spaccato il Prc nel 2008 (esperienza comunque storicamente conclusa), ora si appresta a dividere il Pd, sempre dopo avervi fatto entrismo per due anni e averlo usato per rientrare in parlamento con il 3%, per poi rompere l'alleanza al primo ostacolo.
Blog che si occupa di geopolitica, politica italiana, storia del comunismo, della sinistra italiana e osservatorio sui movimenti estremistici e sul nuovo antisemitismo
mercoledì 24 aprile 2013
giovedì 18 aprile 2013
Il 2013 orribile di Bersani
Gli errori di Bersani non sono cominciati ieri, ma si sono rincorsi per tutto il 2013. Dalla campagna elettorale sbagliata al prostrarsi dai grillini per due mesi per ottenere la fiducia, dalla lista comune con Vendola all'esclusione di Renzi. Un tentativo di accordo con il PdL per l'elezione del capo dello stato di per sè non è uno scandalo (un certo antiberlusconismo alla Travaglio, il Fatto, Flores è molto più dannoso), Grillo è un pericolo per la democrazia molto più di Berlusconi, la cosa inaccettabile è farne voto di scambio per il governo. La cosa suicida è che la scelta di Marini spacca il Pd, non tanto per i talebani brucia tessere che vogliono un partito di sinistra-sinistra succube di Grillo, ma per quelle anime fondatrici dello spirito originario del Pd, di cui Renzi ne è piena espressione.
venerdì 5 aprile 2013
A volte ritornano
Il tentativo di Bersani di ottenere la fiducia dai grillini può essere letto sotto due diversi strati. Il primo strato è quello del buon senso, può essere visto come un tentativo che va fatto da parte del Pd per riallacciare un ponte tra la politica e i cittadini, offrendo una sponda per il cambiamento e il rinnovamento della politica a quell'elettorato attratto da Grillo, attraverso provvedimenti concreti e nel merito. Ma successivamente prende contorno lo strato di una presa di distanza di Bersani dall'esperienza del governo tecnico di Monti, bollato dalla parte di sinistra tradizionalista e identitaria come un inciucio e un tradimento, verso la quale l'ala bersaniana appare fortemente egemonizzata, si pensi all'abbraccio mortale con Vendola, che tanto è costato in termini elettorali, ma anche in termini di lacerazione interna del Pd. La rigidità con cui Bersani porta avanti questo tentativo ("Non c'è un piano B", "o va in porto l'accordo coi grillini o niente"), escludendo ogni altra soluzione tecnico-istituzionale (ma non l'eventualità di un accordo con il PdL) fa pensare che prevalga questa seconda chiave di lettura, che questo secondo strato sia più profondo. Se si considera che il M5S per molti aspetti ha preso il posto della sinistra radicale, di certo assorbendo quasi tutto il suo elettorato, e che a fare da pontieri nel tentativo di accordo M5S-Pd c'è sempre la SeL di Vendola, emerge più chiaramente la logica stantia del "nessun nemico a sinistra", nonchè un nuovo tentativo di ricostruire un centrosinistra allargato a sinistra, a guida socialdemocratica, una guida però che è a sua volta condannata ad essere ostaggio del purismo della sinistra radicale ed ora dei grillini, che i socialdemocratici cercano di dividere assorbendone una parte per modificare gli equilibri interni nel centrosinistra, ma da cui risultano essere pesantemente condizionati e ipotecati. E così proprio in queste ore mentre Orfini chiama Vendola ad entrare nel Pd per "ridefinirlo" e "cambiare la qualità dell'offerta politica", il governatore della Sicilia Crocetta, laboratorio di un'intesa Pd-M5S, cerca di resuscitare la Rivoluzione Civile di Ingroia e i rottami di Rifondazione tentando di recuperarli nella sua lista civica. E poi fanno passare Renzi per scissionista e sabotatore.
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