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domenica 26 ottobre 2014

La fine del sindacato

Vent'anni fa, alla nostra generazione furono date tre strade: lavoro precario, lavoro gratis, disoccupazione. Il sindacato ha fatto la guerra al lavoro precario, condannandoci così alla disoccupazione e al lavoro gratis. Non c'è nessuna battaglia per l'estensione universale dei diritti, ma solo la difesa dei privilegi dei garantiti delle generazioni precedenti. Come spesso capita con gli universalismi, si tratta alla belle meglio di utopismi, alla peggio di una truffa ideologica sulla pelle dei giovani. Preso com'è tra interessi particolari e universalismi utopistici illusori, la Cgil, anche per il suo essere una cinghia di trasmissione impazzita, ha perso del tutto la dimensione nazionale concreta che aveva avuto nel secondo dopoguerra fino ai primi anni '90, che gli aveva permesso di prendere decisioni nell'interesse della nazione, allacciando ad esso i ceti che rappresentava. Oggi la Cgil è un sindacatino autonomo di classe alla deriva, non più la classe operaia, ma il ceto improduttivo dei dipendenti pubblici, che vogliono costringere il paese ad una spesa pubblica abnorme, condannando il resto del paese produttivo a morire di tasse. I dirigenti di questa organizzazione sono dei rozzi burocrati che vivono della rendita che i Di Vittorio e i Lama gli hanno lasciato, ma questo capitale era tenuto vivo dall'essere un sindacato di carattere nazionale, perso questo il capitale è destinato ad esaurirsi. Inoltre, perso il controllo del partito principale della sinistra, il quale nel frattempo ha preso la via della vocazione maggioritaria. Rimangono solo alcune case matte nel campo mediatico, universitario e nella magistratura disposte ad appoggiarlo, ma si tratta di altrettante cinghie di trasmissione impazzite e destinate ad esaurirsi per gli stessi motivi.